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Tedeschi, benchè non punto seguitati da Farinata, assalirono con tanto furore il campo de' Fiorentini, che molti ne uccisero, e a molti più fecero volger le spalle. Ma i capitani, avvedutisi della piccola schiera con che aveano a fare, fatto voltar il viso a' fuggitivi circuirono quegli sciaurati, i quali, quantunque combattessero aspramente, rimasero tutti fino all' ultimo uccisi. E i Fiorentini, avuta in mano la bandiera del re, quella trascinarono nel fango per tutto il campo. Ma i Sanesi e i Ghibellini non si moveano dalla città: onde veggendo i Fiorentini di non poterli cavar fuori a battaglia, se ne tornarono alle case loro. Questi fatti avvennero nel maggio del 1260.

L'indegnità usata alla bandiera reale acerbamente commosse l'animo di Manfredi, sì che agevolmente prestò orecchio alla proposta, che gli venian facendo i Sanesi, di prendere al loro soldo un migliaio di quei Tedeschi, che tanto valore diceano aver dimostrato in quel funesto combattimento. Ei dunque li concesse, ed 800 ne volle aggiunger del proprio, che alla fine di luglio mandò a Siena sotto la condotta del conte Giordano, capitano valoroso ed esperto. Farinata, ch' era de' primi capi di quel partito, considerando che i Tedeschi non eran condotti che per tre mesi, e che alla fine della condotta non vi eran denari sufficienti per raffermarli, vedeva che tutto questo sforzo era per dover riuscire di poco o niun giovamento, quando i Fiorentini non volessero nuovamente uscire in campo. Al qual uopo cominciossi dal bandir l'oste sopra Montalcino loro confederato: ma i Fiorentini non si moveano. Ad altra sottil malizia egli ebbe allora ricorso; ed insiem con Gherardo Ciccia de' Lamberti, trovati due frati minori, andò mostrando loro, com'essi non poteano più reggere a' modi superbi di Provenzan Salvani, che tutte a suo arbitrio governava le pubbliche faccende: 17 che per questo erano disposti non solo a rinunziare all'amicizia de' Sanesi, ma a dare eziandio Siena in potere de' Fiorentini, a condizione però che fosser lor dati diecimila fiorini d'oro che questa cosa poteva conseguirsi agevol

mente, quando i Fiorentini, sotto cagione d'andare a rifornir Montalcino, venissero insino al fiume dell'Arbia; ed essi avrebbon consegnato loro la porta, che mena ad Arezzo, detta la porta di San Vito. I frati, credendo tutto vero, furon tosto a Firenze : e, significato agli anziani che avean da dire cose di grandissima importanza in beneficio della repubblica, quando due di essi fossero deputati ad intenderle e promettessero il segreto, non che l' osservanza de' patti, fu fatto secondo che costoro chiedevano. In breve, i Fiorentini caduti nell' aguato, accolsero quanto da' loro nemici si proponeva; e, messo insieme un esercito poderosissimo per quei tempi (trentamila pedoni e tremila cavalieri) furono sollecitamente in sul fiume dell' Arbia, nel luogo detto Montaperti, aspettando che venisse loro dischiusa la porta, siccome era stato convenuto. Ma in quella vece la mattina del 4 settembre 1260 vedendo da tutte le porte rispondenti a levante, uscir l'esercito de' fuorusciti, de' Sanesi e de' Tedeschi, ordinato a battaglia, furon dapprima per l' inaspettata novità soprappresi da timore, ma poi indignati dell' inganno lor fatto, e resi animosi dalla presente necessità, si fecero arditamente incontro a' nemici. E benchè l' assalto de' Tedeschi, ch' erano nella prima fronte, fosse stato terribile, non fu però debole il contrasto e la difesa de' Fiorentini, cosicchè nel bel principio la battaglia sostenevasi; quando i Ghibellini occulti, che trovavansi nell' esercito fiorentino, e che s'erano già indettati con Farinata, passando al campo nemico e rivolgendo le armi contro quelli stessi in compagnia de' quali eran venuti, gettarono lo scompiglio fra le schiere de' Guelfi. Pur nonostante lo sdegno per così vituperevole tradimento infuse in essi novello vigore, e seguitavano a combattere arditamente come dapprima, quando un atto di somma perfidia pose in disperazione le cose de' Guelfi. In mezzo alla schiera de' cavalieri fiorentini portava quel dì l'insegna della repubblica un cavaliere della famiglia de' Pazzi, uomo di gran valore, il cui nome fu Iacopo del Vacca. Appresso di lui stava Bocca degli Abati, il quale essendo anch' esso uno di quei

Ghibellini occulti, che avean promesso passare ai nemici, spintogli il cavallo addosso, gli trasse un gran colpo su quella mano con che teneva l' insegna, e tagliogliela di netto.18 Quest' orribile tradimento mise in tanto disordine i cavalieri, i quali furono i primi a conoscere di non più sapere a chi potersi fidare, che si diedero precipitosamente alla fuga : lo che fu cagione che pochi di essi rimanessero morti, o prigioni in quella memorabil battaglia. Ma i fanti, a cui il fuggire riusciva meno agevole, ed a cui non era noto il tradimento di Bocca, sostenevano audacemente l'urto degl' irrompenti nemici, e con inestimabil valore difendevano il Carroccio, intorno al quale stavano i più valenti, che perciò fu forza quasi tutti tagliare a pezzi. Dopo la perdita del Carroccio (e fu quella la prima volta che i Fiorentini lo persero) non fu nell' esercito guelfo che fuga e strage.

Non è a dirsi quale fosse la desolazione della città alla nuova di tanta ruina; ma ne faccia fede la deliberazione che gli avanzi del disfatto esercito, e i Guelfi ch' eran rimasti in Firenze presero ben tosto di abbandonarla: lo che fecero nel dì 13, refugiandosi a Lucca. Entrati i Ghibellini tre giorni appresso nella quasi vuota città, nè potendo sfogar l' ira loro contro le persone, si volsero all' usata pazzia di disfar le case e i palagii de' loro nemici. Poi i principali di essi, de' Sanesi, de' Pisani, degli Aretini, e quasichè tutti i conti e signori di Toscana, convennero in Empoli ad un general parlamento, ove trattar doveasi del modo, con che potesse assicurarsi lo stato loro comune. E cominciate le consulte, si venne da tutti in questa sentenza, che se si avea da temere pericolo alcuno, questo non d'altronde potea venire che da Firenze; la quale, essendo naturalmente di fazion guelfa, tanto avrebbe sopportato di star soggetta al governo de' Ghibellini, quanto la forza l'avesse costretta; ma se mai le si scoprisse occasione favorevole, non esser dubbio alcuno ch' ella avrebbe richiamato i Guelfi e discacciatone i Ghibellini: e di ciò esserne gli esempii freschissimi. Il perchè, se voleasi una volta per sempre assicurarsi, non restava a ciò altro mezzo che

disfarla. Di siffatta proposta indignato Farinata degli Uberti, levatosi in piè con turbato volto prese a ragionare di que

sta sentenza :

Dopo una tanta e sì gloriosa vittoria, qual è quella che noi abbiamo ottenuta, io non mi pensava d' avermi a dolere d'essere restato in vita; perchè l'ingiuria più duole quand'ella è fatta da' proprii consorti, che quando è da' nemici. E quale ingiuria fia maggiore di questa, di voler disfare la patria a chi tanto ha sudato e sofferto per lei? Io non ho imparato l'arte del dire siccome coloro che han parlato innanzi di me; ma parlo com' io so, e dico quello che ho nell' animo, secondo l'antico proverbio, com' asino sape, così minuzza rape. Pure io dirò che reputerei troppo misero me stesso e i miei concittadini, se fosse in vostro arbitrio e potere il disfare la città nostra. Certamente, che per via di ragione voi non potete farlo; perchè noi abbiamo una confederazione eguale, nella quale siamo entrati non per rovinare le città, ma per mantenerle, rinnovandone solo gli ordinamenti. Ond'è che i vostri consigli si deono reputare più temerarii che crudeli; ma si può dire che e' siano e l'uno e l'altro, poichè vi date a credere poter far quello che non è in vostro arbitrio, e dimostrate odio e crudeltà contro gli stessi vostri confederati. Ma chi consiglia con passione consiglia male, e chi cerca nuocere al compagno, non brama l'utile comune. Ma voi dite: Firenze è capo di parte guelfa; ed io vi rispondo, che ella era quando la tenevano i Guelfi; ma ora ch'ella si tien per noi, qual è la ragione, per che non debba dirsi ghibellina? Non son le case e le mura secondo gli abitatori? Ma il popol minuto (voi soggiungete) è sempre in cuore più guelfo che ghibellino. Or se è così, perchè i nostri avversarii hanno piuttosto voluto abbandonar la città, che por fidanza in esso? Ma poniamo che la plebe ne sia mal fida: noi che abbiamo combattuto al vostro fianco non meritiamo d'esser tenuti a sospetto; e per una sospezion che non cade su noi, voi non avete ragione di privarne di quello stesso, che voi o tenete o desiderate.

Alle case vostre tornerete voi dunque gloriosi e felici, e noi derelitti e raminghi andremo domandando altrui un asilo? Le vostre città saran dunque conservate, e la nostra distrutta? È egli alcuno di voi che mi stimi cosi codardo da comportare siffatta scelleratezza? Se io so perseguitare coll'armi i miei nemici, io non so mai offendere ed odiare la patria; anzi il sudore e 'l sangue ch' io ho sparso, l'ho sparso per riacquistarla. Nè quella città, che lasciata or son pochi di da' miei avversarii, è stata da lor conservata, patirò mai che sia distrutta da me. Non acconsentirò mai che ne' futuri secoli i miei nemici abbiano ad esser chiamati conservatori, ed io distruttore della patria; poichè non può esser cosa nè più infame nè più vile del disfare la propria città, per tema ch'ella non diventi albergo de' propri avversarii. Ma che vo io moltiplicando in parole? Esca finalmente da questo petto una voce degna di me. Io dico, che se del gran numero de' Fiorentini non restassi che io solo, io non patirò mai, finchè potrò reggere questa spada, che la mia patria sia distrutta; e se mille volte bisognasse morire per lei, mille volte son pronto ad incontrare la morte.

La gravità delle parole, l'autorità dell' uomo, l'atto ch'ei fece ponendo la mano sull' elsa della spada, e l'uscir del consiglio tutto sdegnoso, fecero mutar di parere gli assembrati, nè di questa cosa si parlò più. Bene pertanto potè il nostro Poeta far dire a quel magnanimo (Inferno, canto X, v. 91):

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Ma fu' io sol colà, dove sofferto

Fu per ciascun di torre via Fiorenza,
Colui che la difesi a viso aperto.

Quantunque i Ghibellini nel 25 novembre di quell' anno raffermassero la loro lega, e nel 16 e 23 maggio dell'anno appresso v'aggiungessero alcuni capitoli ; quantunque mosse le armi contro Lucca, la costringessero, dopo alcun contrasto, ad espellere dalle sue mura i Guelfi, che perciò doveron ricoverarsi a Bologna; pure il loro preponderare non fu di lunga durata. Di troppa importanza era pei papi, che la

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