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pervenire ai compaesani nostri, dispersi oltre i confini, la voce affettuosa e il soccorso fraterno, fu perchè quel nome, che è per noi l'altissima gloria, ricorda anche, nelle sembianze dell'esule, le miserie nostre e le acute umiliazioni. Esule ancora Dante sull'alto simulacro di Trento 1), ma non nel sepolcro di Ravenna. Durante i primi fervori del risorgimento, Genova restituisce a Pisa le catene del porto e riprendono il volo le aquile infrante alla Meloria; e se Ravenna contende ancora e sempre a Santa Croce di Firenze il cenere di Dante, Firenze appende sulla tomba solitaria di Ravenna la votiva lampada che alimenteranno in perpetuo gli ulivi di Valdarno, insegna delle inestinguibili speranze, levate al cielo dalla fiamma purificatrice. E nella pietosa simbolica offerta, Firenze volle con sè Trento, Gorizia, Trieste, Istria, Fiume e Dalmazia. < Amore provvide il metallo lo apportarono i più ricchi ed i più poveri ». È metallo fuso da foco di amore. Per tal modo il pellegrinaggio a Ravenna, che è una espiazione, diventa forse una profezia. Là sul mare che prospetta lo spazio, dalla « ruina di qua da Trento », « a Pola presso del Quarnaro ». Il sentimento di patria, fuori dei confini, esce dalle angustie particolariste, si solleva alle aureole non di vanagloria, ma della gloria vera; si vivifica in potenza scevra d'egoismo e dona a noi stessi, giusta l'espressione di Bonghi, un più gagliardo fervore in pro dell'idea.

Per sua virtù noi, colla evidente responsabilità del passato, sentiamo di dover stare saldi nella missione civile, di essere longanimi ma forti, al fine di operare secondo il glorioso incarico che ci tramandarono i secoli. Per la munificenza di un imperatore biancheggia tra le ilici ed i pini della villa Borghese il monumento a Volfango Goëthe. L'autore delle Elegie romane avrebbe forse scelta la scalea di Trinità dei Monti, in ascensione superba verso il sole, dominando quel sentimentale quartiere di artisti e che è ancora la Roma di Goëthe, vagante nei crepuscoli di pal

1) Ora non più! (1921).

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lida viola la dolce fantasima dell'amica, bionda negli occhi ceruli: l'imagine di Angelica Kaufman.

Là furono le contemplazioni; e la visione di amore sorrise al poeta col fascino dell'arte grande che raccoglie intorno all'idea italiana gli ardori, gli entusiasmi, le gentilezze dell'anima universale. Sogna i suoi formidabili fantasmi romantici V. Hugo sotto le ombre della Villa romana e la casa dei poeti sulla piazza di Spagna, che Alfieri abitò, risveglia le dolcezze dei canti ispirati dal cielo di Roma come nei versi di Keats: « non vi pare che sia molto bello, dopo il tramonto, quando fluttua qualche candida nube e poche stelle scintillano? ».

Non lungi è la lapide che ricorda Nicola Gogol. Or ora si chiuse a Sorrento, in faccia alle tombe di Virgilio di Sannazzaro di Leopardi quella di Marian Crawford. I monumenti, le ruine, i paesaggi d'Italia recano la spirituale impronta degli sguardi delle meditazioni, delle fantasie, dei pensieri, degli affetti, che sgorgarono dal cuore, che si ispirarono ai ricordi, che si fortificarono nella dottrina e nella erudizione e posero lauri sulle fronti insigni.

Ospite infaticabile della coltura universale, l'Italia ha il culto di quel linguaggio che significa la sua missione fra i popoli, come dovere di reverenza ai popoli che vengono ad essa, cercando di coglierne il fiore. Essa difende nella sua lingua il patrimonio delle genti; e per tal modo adopra questa difesa, che le invide competizioni ne sono superate e saranno debellate. Minacciata, si richiama alla nobiltà del suo dovere in faccia al mondo e il suo grido di guerra è ancora un' invocazione al diritto umano. Alle provoca zioni che le vengono dai vicini essa risponde coll'acclamare l'idea italiana; e allorchè di recente, risonò nell'assemblea nazionale la denuncia del misfatto 1), il popolo d'Italia si strinse a noi, a questa nostra associazione, che nel nome di Dante invoca l'umano sentimento, il trionfo dell'idea sulla forza, la communione degli spiriti in civile dignità, in cortesie intellettuali. Per ciò la nostra associazione

1) La violazione del trattato di Berlino compiuta dall'Austria, 1908.

non tanto mira, come quelle di altre nazioni, a supremazia, o a diffusione economica e politica. Noi miriamo oltre. Noi stendiamo la mano a quella cara italianità che lotta e che soffre lontano da noi, per fare che mai venga il giorno che la parola di odio sia scagliata. Le rivendicazioni nostre non offendono le ragioni degli altri popoli perchè noi sappiamo il dolore. Nelle più dure sofferenze noi abbiamo pur sempre lanciato il grido di fraternità. Pensatori, statisti, guerrieri hanno parlato questo nobile linguaggio. Anche nei più desolati giorni dell'oppressione si elevò la voce: ripassin l'Alpi e tornerem fratelli »; e dalle barricate di Milano, di Brescia, dalle mura di Roma, dagli spalti di Venezia non si distoglie il pensiero dalla pacifica unione dei popoli, imaginando e vaticinando il patto federale. Vittorio Eman. «non insensibile al grido di dolore» si avventa al nemico; poi, raccogliendo in Roma per la prima volta i rappresentanti del popolo, ricorda ad essi, colla romana grandezza, l'alto dovere civile; e Garibaldi depone la spada liberatrice per consigliare ai popoli la unione feconda del lavoro. L'idea cristiana che fa sciamare per il mondo i messi della parola divina, le suore della Carità, nelle nostre coscienze si accorda all'idea politica, per darci la costanza che è il virile dono.

Essa ci preserva dalle rassegnazioni imbelli e ci innalza ai propositi della disciplina che è la vera fortezza.

Noi intanto, soci della Dante », ci siamo costituiti in tutela del pensiero, con l'intento morale di far rifiorire in Italia e fuori dei confini d'Italia quella genialità umanistica, cui già la nostra lingua diede la espressione delicata e gentile: il suono ed il motto, come si diceva dei trovatori, col proposito di mantenere le grandi tradizioni di coltura, di alimentare, fra l'oscurità degli egoismi, il fuoco di quella fraternità che non può essere sincera se non si eleva sopra le cose vane e vili con intelletto di amore e di sapienza. Questa nostra non è di certo un'associazione di arrivisti o di scettici, bensì di entusiasti e di credenti.

Alte speranze ci fanno devoti alla patria: esse sono il valore della nostra coscienza; per esse noi difendiamo

l'italianità. All'Italia, salutata in vetta del Monginevro dalla sublime apostrofe di Francesco Petrarca, in vetta dello Spluga dalle intenerite parole di Cristina Rossetti, noi consecriamo i coraggiosi orgogli del Risorgimento: noi vogliamo dare ad essa la suprema gloria: quella di assidersi fra i popoli, cancellate le avversioni, affratellati dalla scienza, dall'arte, unificati nelle coscienze veramente cristiane, aquetati dalla concordia e dalla giustizia.

Prepariamo questo avvenire, educandoci austeramente nelle tradizioni della nostra coltura, traendo dai pazienti eroismi del passato gli ammaestramenti. Vanno fra le genti i figli dell'Italia. Sentano l'eco delle nostre speranze, sieno sorretti nel pellegrinaggio dalla parola che conforta, dall'atto che aiuta. Giunga ad essi la voce della sacra genitrice e la sappiano rispettata ed ascoltata. Apparisca tale che sia dignità appartenerle e sia insegna di onore e presidio di difesa il suo nome. La ritrovino nelle scuole da noi aperte sui lidi lontani, nei libri da noi donati alle navi che li trasportano verso il lavoro e verso la fortuna, nelle sezioni estere di questa società nostra disseminate moltiplicate a traverso i continenti, per offrire all'emigrato l'imagine del focolare, gli echi della nativa contrada, una visione dolce che susciti, entro il cuore sgomento, il ricordo di carezze, di sorrisi, di emozioni liete, di emozioni tristi, di imagini care, onde si faccia meno dura la lontananza e l'affetto si nutra di affetto, espresso col linguaggio balbettato da fanciulli sulle ginocchia della madre. Un sogno ? No certamente. Noi vediamo la mèta luminosa e vi camminiamo con la vivacità e la costanza del convincimento incrollabile.

Il nostro entusiasmo è fatto di amore.

Noi amiamo la patria per quanto ha dato, per quanto darà a noi ed al mondo. Noi l'amiamo con giovanile impeto e con sacra fede; noi l'amiamo per le idee generose, perchè prospera e felice la vogliamo; l'amiamo perchè nelle sembianze dell'Italia noi raffiguriamo l'Umanità sulle incontaminate vie del suo fine divino.

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Eravamo ragazzi e ci si mise in presenza di Dante. Quella faccia magra, tagliente, segaligna, coronata di un lauro, irto come ferro di lancia, incorniciata fratescamente nel lucco fiorentino, ci spaurì.

Come a Dante « IL GRAN DESERTO OVE PERDEA LA SPERANZA DELL'ALTEZZA quella faccia a noi parve un enigma di dolore e di rampogna. Ma, per allora, non andammo oltre quella tal popolana di Ravenna, che, in vederlo passare pianamente diceva: questo è ito all'inferno e n'è tornato » 2).

Di poi, nel ritratto giovanile, col libro sotto braccio, dove, « come par nell'abito benigno, così al mondo fu con tutte le sue virtù » 3), dove lo sguardo è limpido; e la mano porge fiori, quasi in omaggio all'« idea che il ciel propose » 4), quel volto, a niun altro somigliante, si colorì per noi d'alquanta dolcezza, senza che scemasse l'impressione del misterioso; nè meravigliammo al sentire di certi canti della DIVINA COMMEDIA ritrovati per arcana indicazione; di un ritratto scoperto per suggerimento dello spirito di lui, apparso ad un suo ammiratore 5), della madre sognante il suo neonato a cibar bacche di lauro, degli astri cospiranti per la sua fortuna, onde l'antico maestro: SE TU SEGUI TUA STELLA, NON PUOI FALLIRE A GLORIOSO PORTO »; e Dante stesso rico

1) Par. XVII, 55-70.

2) E. Carlyle. - L'eroe come poeta.

3) Ant. Pucci, cf. Zenatti. - Dante a Firenze.

4) Carducci - Beatrice.

5) Memorie del Sen. Angelo Bargoni.

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