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Eppure non s'ha da rimanere pecorelle mal pasciute. È di codesta sostanza la vita interiore, quella del core saldo e dei convincimenti impavidi. Dei due libri, l'uno completa l'altro.

Espressione di sublime anelito nei secoli, il Vangelo; espressione, la DIVINA COMMEDIA dell'anima italiana in tutti i tempi. Dagli insegnamenti del primo vennero la virtù di pensiero, la scintilla di affetti, la coscienza del diritto, i germi sani della nostra storia, raccolti tutti nella grande luce del libro di Dante.

Questo libro, questa DIVINA COMMEDIA ricerca tutto ciò che fa pensare, sperare, temere e lo aduna nel verso che sgorga miracolosamente dalle intimità dello spirito e risuona nella meravigliosa concordanza dell'imagine e del pensiero coll'accento e col ritmo. Musica che intenerisce, turba, sbigottisce, incanta, accarezza. Vibrazione di anima, sinfonia dell'inesprimibile. E si amplia su ciò che fu, su ciò che sarà.

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Sentiamo Dante in noi; e, meglio noi in lui, ai deliziosi momenti, come quando l'indice del tempo si fa melanconia nell' << ORA CHE VOLGE IL DESÌO »; o simpatia, nell'« ORA CHE COMINCIA 1 TRISTI LAI LA RONDINELLA, PRESSO ALLA MATTINA » e ci si sorprende improvvisamente capaci di un inconscia collaborazione, per l'indicibile apprensione del sentimento, al quale egli si impone.

Ma il senso dell'umano è in lui così vivacemente italiano, che gli stranieri, pur ammirando Dante altrimenti che la donnetta di Ravenna, non possono, come noi, rapirsi nella complicata emozione di atavico incantamento, nel rispetto al datore delle tavole di nostra legge, al quale chiediamo con deferente curiosità il giudizio sulle impressioni, sulle tendenze, sui pensamenti nostri.

Appena albeggiava il rinascimento, da dirsi meglio crescenza, poi che mai in Italia fu inerte, anche nei secoli oscuri, l'attività della mente; e Dante, nell'apparire, oltrepassò.

La antichità classica gli illustra il pensiero cristiano nel canto che MINERVA SPIRA E CONDUCE APOLLO ». E, per tal modo, spregiudicatamente, egli risale, senza scrupolo

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gretto od ascetica temenza alle sorgenti dell' intellettualità, e serba intatta la sua fede, inviolata la sua dottrina. Giudicando la terra, ristora e redime la sua anima, contemplando le glorie del cielo.

Durava da 60 anni la paralisi dell'impero.

Dopo l'ecclissi degli Svevi, più non era seguita un'incoronazione imperiale e gli italiani più non avevano veduto un imperatore. Arrigo di Lusemburgo ruppe gli indugi, e nel 1310 scese in Italia.

In un lampo di entusiastica speranza, « L'UMILE ITALIANO DANTE ALIGHIERI, FIORENTINO IMMERITAMENTE ESULE Scrive ai re, senatori, duchi, marchesi, conti, al popolo d'Italia, invocando che la concordia si faccia incontro al pacificatore.

Invero Arrigo era tale; e lo sa Ivrea, dove egli sostò, a metter pace. Le fazioni non gli consentirono il bene. Apportatore di pace, Arrigo fu costretto a guerra; promettitore di speranze, recò calamità e nulla conchiuse. Nuovo dolore per Dante, e senza rimedio.

A lui s'aperse in Romagna l'ultimo rifugio.

Nel disinganno patito, oh quanto pietosa dalle cime dell'Apennino, dal dosso del Catria la vista del giogo di Falterona ove nasce il suo bel fiume d'Arno e nel lontano, il cielo di Firenze: nel roseo lume placidi sorgenti i monti si rincorrono fra loro, fin che sfumano in dolci ondeggiamenti, entro vapori di viola ed oro 1) ».

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Come solenni i pensieri!

E quali preghiere in quel chiostro di Fonte Avellana, nei ricordi di quel Pier Damiano che più di due secoli avanti vi si rinfocava nell'amore delle cose superne e faceva scrivere sulla sua tomba: La mente libera cerchi il proprio principio ! 2) ».

Nel 14 del settembre 1321, il dì dell'esaltazione della Croce, Dante giaceva nel saio francescano, con accanto i figli Piero e Jacopo. Era moribondo.

1) Carducci. Il canto dell'amore.
2) Capecelatro. - S. P. Damiano.

Le pallide labbra parevano mormorare: « sì CHE L'ANIMA MIA CHE FATTA HAI SANA, PIACENTE A TE, DAL CORPO SI DISNODI ».

Lo sguardo volgevasi al cielo, lentamente. Indi, attorno, inquieto, cercava.

Ecco. Entra una pavida monaca: la figlia, Beatrice. E sorride. Lo riguarda.

« OR MIRA L'ALTO PROVVEDER DIVINO ».

La pia suora di San Stefano dell'ulivo compie la visione del Paradiso.

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