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gono gli istinti e le cupidigie delle invasioni, valga a onor nostro, o Italiani, l'orgoglio umanistico della coltura nella quale dobbiamo perseverare ed alla quale dovremo la migliore vittoria.

Risuscitiamo le fedi, rinnovelliamo le energie dello spirito, apriamo agli intelletti memori di antico sapere, ansiosi di nuova scienza, il pacifico convegno in questa Italia che attesta la secolare attività delle menti, dove le generazioni, nella inquietudine delle cose grandi, nobili e belle, affrontarono tutti i problemi; e il divino e l'umano assertarono per incoronare la storia nazionale, nudrita di filosofia, risonante di carmi, illustre e gloriosa come un'epopea.

Se nell'ora desolata, allorchè crollavano città fiorenti e popolose, il mondo civile tutto si commosse 1) e si volse con effusione di simpatia alla orrenda sterminata ruina, non fu solamente misericordia. Fu reverenza alla terra delle origini, alla terra d'onde deve ancora venire la parola che il mondo aspetta al paese d'ogni anima. Invero, mai vita più fulgida fu pensata in più puro e folgorante aere; dove vapora come un'imagine di sogno, in biondissime trasparenze la Fata morgana, dove fra le nuvole d'oro ed i lidi profumati appariscono le prime genti nelle prime storie. Là sono le grotte di Polifemo che fu arbitro dell'Odisseo. Lungo quelle rive languirono i canti delle sirene e, sparsi sui promontori lucenti di sole, i templi dionisiaci consecrarono le ore gioconde delle inconsapevoli prime età.

Colà gli efebi e le vergini offrivano a Diana ed a Minerva i fiori sbocciati dalla zolla ardente e vi si raccolsero gli astrologhi che fondavano le città.

Questi templi antichissimi sono ora ruine e già sorsero sopra ruine più antiche, dove le ingenue imaginazioni tremarono davanti alle informi figurazioni dei miracoli dell'universo. Germogliava il cedro; si arrotondava tra le verdi foglie lucenti il frutto del sole; fra le spinose siepi si attorcigliavano i prodighi pampini onusti di grappoli che

1) Il terremoto di Messina.

le fanciulle spremevano, cospargendo di vino le are votive. Ed un popolo di pastori e di poeti si inchinava alla triade simbolica del sole del mare del vino liberatore. Allora tremolò nell'argento il pallido ulivo, l'albero sacro, onde stilla l'umore che nutrica e sana; ed i nodosi ceppi della opunzia si ornarono di vellutati trilobi, il giunco ed il papiro si inclinarono ad Eolo signore dei venti e aderse in luce, purissima di forme, la svelta acrofora, recante sull'elegante capo l'urna ermetica.

Dovunque, tranne colà, era la squallida barbarie; e Goëthe scrive: « l'Italia senza la Sicilia non si completa nello spirito. Là è la chiave di ogni cosa ».

Ma le divinità infernali insidiano l'isola elettissima; sono in continuo agguato lungo le vie sotterrane, dall' inquieto Stromboli all'Etna fumante che i primi navigatori atterriva alta sul mare come un'ara combusta, in olucausto a qualche divinità sconosciuta e tremenda. Fra gli antichi naviganti del Ionio, del Tirreno, del mare di Africa, corsero leggende spaventose. Quella era la mostruosa officina di sovrannaturali vendette. Scroscia la terra, rimbomba il cielo, sussulta con gigantesco anelito il mare, si aprono cateratte ed abissi e l'aria nera avvolge l'orribile battaglia.

Colà certamente sono le porte dell'inferno. E sulla infinita floridezza, imperano di repente il dolore e la morte.

Quella terra diede alla nascente umanità sapienza di leggi, socievolezza di costume, scienza, arte, letizia di canti, armonia di pensiero. In quel fiorito tragico soggiorno la lingua italiana sciolse i primi accenti, cogliendo, nell'inesauribile poesia spirante entro quei cieli, le gentili espressioni del sentimento e le imagini belle. Lieta corrispondenza con l'idioma romanzo che le veniva incontro dal lido di Provenza, superava l'Appennino e trovava ospizio in quelle fantasiose sedi degli Aleramici, dalle quali si diffuse fino ai lidi dell'Asia la soavità delle corti di amore.

In corte di Monferrato si rinnova, coll'espansione di nuovo linguaggio, l'alleanza latina, fresco ancora il ricordo del regno di Provenza dal quale per Beatrice di Savoia

uscirono quattro regine; quel regno di Provenza che ci sorride nelle luci d'oro d'una alluminata pergamena, nelle delicatezze di cortesie amorose tubanti << si come quando il colombo si pone presso il compagno e l'un l'altro pande, girando e mormorando, l'affezione > (Par. xxv).

Quel regno cavaliero che sfavilla come una finzione romantica, allargando il bel gesto tra il Rodano ed il Tanaro sonanti e riempie di lai le castella d'onde fluttuano sciarpe, misteriosamente, e si sporgono dalle bifore finestre le trecce indiademate dai chiarori lunari, intanto che dileguano le armi lucenti del crociato, verso oriente dove è la gloria; ed amori e sospiri ed ambizioni accarezza il vento pregno di aromi che spirano dal ceruleo disteso mare: tiepido come un alito e dolce come un bacio.

Di Provenza arriva Pietro Vidal quegli che disse il nostro Canavese: lou doulz paiz - il dolce paese: viene Rambaldo di Valqueiras che accompagnò a Bisanzio Bonifacio Aleramico e fu fra gli assalitori della Porta di Blacherna.

Egli rende omaggio all'Italia e, raccontando le feste di Monferrato, ricorda queste nostre terre: < de Canavez y ven coun molt grand compania, la Tomasina », probabilmente una dama di Valperga, recante ancora sulla fronte l'effimero splendore del serto che cent'ott'anni innanzi aveva coronato Arduino.

L'onore dato dagli Aleramici alla letteratura fece dell'Italia il rifugio degli spiriti liberi e il pensiero italiano, sulle ali del nuovo dolce idioma preludiò nelle corti ghibelline alla risurrezione dell'umanesimo, contrastando dell'idea guelfa non le rivendicazioni nazionali, ma i pericoli di servitù intellettuale. È la indipendenza del pensiero che informa l'arte e la dottrina dei poeti toscani di parte Bianca, e sovra gli altri, di Dante Alighieri.

A canto la chiesa della Martorana in Palermo, presso la cappella Palatina, dove splende la meraviglia dell'arte al secolo XII, fra le cattedrali ed i castelli di Calabria e di Puglia, per cui già al tempo dei normanni il mezzogiorno

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d'Italia inaugurò l'era splendida dell'ingegno e dell'arte, uomini sapienti circondarono Ruggero e Guglielmo, dei quali, dice un remoto commentatore di Dante, << erano d'ogni condizione e buoni dicitori in rima ».

Da codeste fonti uscì il genio nuovo di Europa e corse la terra: fonti italiane. E nel secolo seguente questa rinverdita coltura latina ebbe calore da Federico secondo, italiano di anima e di mente, che re d'Italia amava intitolarsi. Vero fiore ghibellino, erede dei fati di quel giovane biondo Ottone, il figlio della bella Teofana, scomparso circa il mille in un fosco dramma, allora che nel suo sangue e nel suo spirito fremevano le vertiginose superbe illusioni che egli, erede di Roma, per delegazione di Dio, avrebbe dato ai popoli felicità e giustizia. Approdano alle rive italiche codesti Lohengrin. E il cigno candido veleggia incontro alle fortune ideali pinte sul nostro cielo, promesse dalla nostra storia, esaltate dalle più elette manifestazioni dello spirito umano.

come

Qui approdano gli eroi dell'azione e gli eroi del pensiero traendone ispirazioni ed auspicii. Qui l'aere limpido invita a liberi vanni la immaginazione e, nell'ardore novello, nel presentimento di una vita diversa, essa si espande in creazioni letterarie che sono rivelazioni. Dal canto cavalleresco alla sacra rappresentazione alla laude al sonetto ascende alla filosofia, al poema; e la nostra lingua contende al vecchio latino il privilegio e le glorie della coltura. Scoppia per tal modo l'insurrezione contro il monopolio del sapere. La lingua italiana il volgare lo chiamano è una affermazione di democrazia; di quella non plebea, ma schietta e civile democrazia che fece esemplare il comune italiano, il quale educava alle arti ed elevava nei modi e nel sentire un popolo degno di questo nome, quel popolo già incitato ad operare dalla parola grande di San Benedetto: « ecce labora et noli contristari », quel popolo assunto all'intendimento della bellezza dalla musica di Guido Monaco, dall'inno a frate Sole di San Francesco d'Assisi. Quel popolo che declamava il poema

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di Dante per bocca degli artigiani, sulla soglia dei monumenti che rivelano la sua grandezza, decorando di nobili forme la magnanima sincerità della sua fede.

Esplosione di sentimento che dimostra l'indole spirituale dell'attività italiana. Non è sufficiente, nè può appagare la ricerca del fattore economico, dell'interesse materiale nella opera magnifica instauratrice di una civiltà, sotto gli impulsi di cittadini accesi di bellezza e recanti in processione un dipinto di Cimabue, festeggiato come evento degno di pubblica allegrezza: avidi di indipendenza ed immolantisi sui carrocci, gelosi delle popolari prerogative, fino alla guerra civile. Predomina l'istinto di libertà, delle lotte ideali, tra le brame di infinito e le esigenze di eleganti splendori, i sogni d'arte, gli impeti di dignità, le visioni sociali di giustizia.

Dante ha compreso questo popolo e ne segnò il cammino avvenire. Nel suo poema emerge l'ottimismo occidentale, profumato da quel che è squisito incorruttibile fiore del Cristianesimo, in opposizione al fatalismo ascetico degli orientali.

Malgrado i tormenti ed i tormentati, la DIVINA COMMEDIA è l'apologia della speranza, poi che è il poema della redenzione, maturato in una poderosa comprensione della vita. Dante brandisce la fiaccola di vita e la consegna alle generazioni, che ne traggono luce di speranza per servire il compimento del destino italiano, il quale, nella vita del mondo, deve significare gentilezza di incivilimento, iniziativa di coltura, indipendenza di pensiero, retta coscienza di libertà.

Questo cittadino di Firenze, cacciato dalla sua città a cagione d'ingiuste ire, vide oltre la cerchia delle native mura la grande patria, che forse queste gli avrebbero nascosto; e l'esilio dona a lui una apostolica grandezza, lo innalza in mezzo a noi come un simbolo. Egli è l'Esule. Tale chiamò se stesso. Melanconica e grave parola che esprime tanta parte della storia italiana. Onde, se nel nome di Dante, fu pensata l'associazione nazionale che deve far

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