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EMILIO PINCHIA

L'INFERNO

II

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L'Inferno."

L'Italia, nel secolo di Dante, non è una nazione; è un popolo che si schiude la via. Custode di una tradizione eroica, di una sovrumana idea religiosa, travolto nei gorghi barbarici e risorgente, per la divina virtù dell'evangelio, ai procellosi travagli dello spirito, ai doveri della egemonia intellettuale. La grandezza di Dante, che da sei secoli si impone alla nostra fede ed alle nostre meditazioni, è riposta essenzialmente nella preveggenza di questo storico compito degli italiani, nel sentimento di una complessa italianità, sitibonda di Dio e di pensiero, la quale, investendo le antiche tradizioni della fresca e redentrice idea, raggiante dalla Roma Eterna, aveva piantato la Croce nello stendale dei carrocci. In questa alleanza della patria e della fede il popolo si era trovato cittadino; e dalla rinnovata coscienza morale dovevano maturare nel cittadino gli elementi della nazione predestinata a spiritual signoria.

In questo intento Dante aduna la sapienza del suo tempo e scrive per la gente italica in quel volgare che egli espressamente forma, volendo dare alla sua gente una lingua, come si propone di plasmarne l'anima. E raffigura nella Divina Commedia la vicenda cristiana di colpa penitenza emenda e perdono sul confine dell'eternità, dove, secondo che egli ne promette, tutte le fami saranno saziate.

Su questo punto vi è accordo fra i commentatori, usi a far dire a Dante tante cose che lui non pensò mai. E non lo

1) Inf., I, 61-135 - II, 10-44-48-128-143 - III, 1-30.

affermo io, bensì Benvenuto Cellini. Però, un mio maestro osservava che grande è la potenza di un libro, quando tanti intelletti vi leggono o vi indovinano le mirabili ed orribili cose e le interpretano ciascuno a modo suo. Noi, soggiungeva, dobbiamo ai commentatori che la mente si eccita alle impressioni ed il giudizio personale si aguzza.

Per me, dichiaro umilmente che, senza i commenti, non mi raccapezzerei.

Dante avverte che le scritture possono avere quattro sensi, o significati: il letterale, il morale, l'allegorico e quello che egli dice anagogico. Dal senso letterale traspariscono il senso morale e le allegorie. Ognuno vi reca il proprio lievito. Invece, l'anagogico, soprasenso o doppio senso, è un labirinto che richiede il filo. Dante ci avverte che col dire : « uscendo d'Egitto, i giudei furono fatti santi e liberi » si può significare la liberazione dell'anima dal peccato.

Un indovinello; ma riservato ai mistici. I quali sono di parecchia sorte; e la bravura di certi specialisti non tardò ad esercitarvisi. Vi fu chi scoperse nel mirabile poema tutta una trama ereticale, un velo artifizioso di miscredenza. Maria Vergine, la donna gentile del cielo, raffigurerebbe una setta irreligiosa che si vale di Lucia, la scienza occulta, per mandare Beatrice, la quale sarebbe il demone famigliare di Dante, in cerca di Virgilio, il custode della segreta iniziazione, a fine di togliere Dante alla fede. E così via via. Il Purgatorio sarebbe l'esposizione di un rituale massonico; il Paradiso, tutto un Kabbalismo di rosacroci.

Ve n'ha un volume, col titolo: Dante rivoluzionario e socialista. Nel 1300! Ma il libro è del secolo XIX. Se la prospettiva dell' Inferno tanto sconvolgeva questo anagogico interprete, un amico avrebbe dovuto consigliarlo di arrestarsi al limbo, dove Omero, Aristotile, Platone lo avrebbero fatto ragionevole. S'intende bene che la scritta morta »: « PER · ME SI VA NELL'ETERNO DOLORE », « LASCIATE OGNI SPERANZA » incute spavento; ma l'amico. poteva fargli leggere l'ultimo verso del poema: « AMOR CHE MUOVE IL SOLE E L'ALTRE

«

STELLE », e rassicurarlo col < sospiro che dalla terra al ciel sale e discende 1) ».

Invero, l'anima umana è posta quaggiù fra l'incubo della tetra iscrizione infernale, ed il sorriso degli ultimi paradisiaci versi. Il grande affanno! O lasciare ogni speranza, o inseguirla senza tregua. Tutto è lì; nei due termini della coscienza. Qui sono gli arcani spirituali del poema, le inquietudini che fecero tanta ressa in quel M. E. che si vuol vedere immerso in paurosi e sterili silenzii. Età, al contrario, di doloroso travaglio per l'unità del pensiero, per il congiungimento col divino. Pigro ascetismo: si disse. Ma esso pur scrisse, nella regola di S. Benedetto: « ecco, lavora e non ti contristare e dalle veglie dei chiostri spira l'alito di carità che si spande sulla communione dei fedeli; pratica insigne del Cristianesimo, che socializza le coscienze nell'operosa contemplazione delle cose alte di Dio.

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Certamente quando Galileo inventa, Volta inventa e le invenzioni fecondano il lavoro, si compie l'ineffabile atto che approssima alla suprema conoscenza, un atto di preghiera; ma questo serve più immediatamente al di qua. L'olocausto di preghiera offerto per noi dalla pia carmelitana nella gelida notte, serve al di là. Quivi e quinci è moto di amore che viene dall'alto.

Nel M. E. esso agitò fervorosamente le moltitudini che ascoltavano Gioachino da Flora, seguivano S. Francesco d'Assisi, percorrevano le terre al grido di pace e bene. AlI'XI secolo si era improvvisamente sentito un grido forte: Dio lo vuole! E le genti, affollandosi ai lidi di Terrasanta, cercavano scampo alle angoscie del maligno, il gran diavolo che ancora oggi divora le anime sui muri della chiesa di S. M. in Toscanella.

Altri tempi! Verissimo. Non vediamo intorno a noi Piero l'Eremita, non Urbano VI, non Goffredo Buglione. Altri crociati vanno in giro. Altri tempi, altre circostanze, non è vero?

1) CARDUCCI: Il canto dell'amore.

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