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L'origine dell'anima umana

nel xxv canto del Purgatorio.

Siamo nell'emisfero australe. Un'isola si stende in mezzo al mare, e sull'isola sorge, come un grande cono tronco, la montagna del Purgatorio. Girano intorno ad essa undici ripiani, dei quali i primi quattro costituiscono l'Antipurgatorio, e gli altri sette il Purgatorio propriamente detto.

I due Poeti - usciti a riveder le stelle incontrano nei primi quattro ripiani le anime di coloro che tardarono a convertirsi al punto di morte. Salgono poi ad ognuno degli altri sette dove vedono puniti distintamente ciascuno dei sette vizi capitali. Uscendo dal terz'ultimo giro, dove scontano la pena insieme gli avari ed i prodighi, sentono tremar la montagna, segno della liberazione d'un'anima; e poco dopo vedono accostarsi a loro l'ombra fortunata di colui che è fatto degno di salir al cielo.

<< Chi fosti piacciati ch'io sappia l'interroga Virgilio.

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Col nome che più dura e più onora

Era io di là, rispose quello spirto,
Famoso assai, ma non con fede ancora.
Tanto fu dolce mio vocale spirto

Che, tolosano, a sè mi trasse Roma,
Dove mertai le tempie ornar di mirto.

Stazio la gente ancor di là mi noma:
Cantai di Tebe e poi del grande Achille,
Ma caddi in via con la seconda soma.
Al mio ardor fur seme le faville
Che mi scaldar della divina fiamma
Onde sono allumati più di mille.

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Dell'Eneide dico, la qual mamma
Fummi, e fummi nutrice poetando:

Senz'essa non fermai peso di dramma.

Dante allora gli fa la sorpresa di presentargli Virgilio:
Questi che guida in alto gli occhi miei

quel Virgilio, dal qual tu togliesti
Forza a cantar degli uomini e de' Dei.
Stazio allora attonito, confuso,

Già si chinava ad abbracciar li piedi
Al mio Dottor; ma ei gli disse: frate,
Non far, chè tu sei ombra ed ombra vedi.
Ed ei surgendo: Or puoi la quantitate
Comprender dell'amor che a te mi scalda,
Quando dismento nostra vanitate,

Trattando l'ombre come cosa salda.

Allora Stazio si accompagna con loro, e sono tre i Poeti che salgono insieme verso il Paradiso terrestre.

Traversando il penultimo ripiano, dove scontano la pena

i golosi, sono seguiti da una turba:

Siccome i peregrin pensosi fanno,

Giugnendo per cammin gente non nota,
Che si volgono ad essa e non ristanno;
Così dietro noi, più tosto mota,
Venendo e trapassando, ci ammirava
D'anime turba tacita e divota.

Negli occhi era ciascuna oscura e cava,

Pallida nella faccia, e tanto scema

Che dall'ossa la pelle s'informava.

Dante si meraviglia di tanta magrezza, e non sa spiegarsi

come le ombre possano dimagrare:

Già era in ammirar che sì gli affama

Per la cagione ancor non manifesta

Di lor magrezza...

E vorrebbe conoscerla quella cagione misteriosa. Ma poi incontra l'antico amico Forese, che gli parla di tutt'altre

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cose, ed egli ritiene in petto la propria curiosità. Intanto
però che salgono al ripiano superiore, egli vorrebbe chie-
dere al suo Maestro la soluzione di quell'enigma,

E quale il cicognin che leva l'ala
Per voglia di volare, e non s'attenta
D'abbandonar lo nido e giù la cala,

Tal era io con voglia accesa e spenta
Di dimandar, venendo infino all'atto
Che fa colui che a dicer s'argomenta.

Non lasciò per l'andar che fosse ratto
Lo dolce Padre mio, ma disse: scocca
L'arco del dir, che insino al ferro hai tratto.
Allor sicuramente aprii la bocca
E cominciai: Come si può far magro
Là dove l'uopo di nutrir non tocca?
Se t'ammentassi come Meleagro
Si consumò al consumar d'un tizzo,
Non fora, disse, questo a te sì agro.

E se pensassi come al vostro guizzo
Guizza dentro allo specchio vostra image,
Ciò che par duro ti parrebbe vizzo.

Ma perchè dentro a tuo voler t'adage,
Ecco qui Stazio, ed io lui chiamo e prego
Che sia or sanator delle tue piage.

Se la veduta eterna gli dispiego,

Rispose Stazio, laddove tu sie,

Discolpi me non potertio far niego.

Poi cominciò...

Ed eccoci a posto. Stazio è uno di quei professori che non vogliono dire le cose per metà. Per far intendere adunque come quel corpo aereo, di cui sono rivestite le anime, possa dimagrare, egli fa una spiegazione ampia e completa, incominciando senz'altro dall'origine dell'anima

umana.

E noi seguiamo questa prima parte della dotta e poetica lezione di Stazio.

Per intenderla però occorre prima vedere come s'imposta la questione.

Se l'anima umana fosse come quella degli animali bruti, se cioè non fosse spirituale, non ci sarebbe alcuna difficoltà a spiegarne l'origine. Essa come il corpo si propagherebbe per semplice generazione; e così diffatti pensarono e pensano gli antichi e moderni materialisti.

Dante però, che relegò questi filosofi nel sesto cerchio dell'inferno, non poteva accettare la loro sentenza su questo punto capitale: egli pensava invece che se l'anima umana è spirituale, essa, secondo il linguaggio scolastico del suo tempo, supera la potenza della materia, e non può per conseguenza propagarsi per generazione materiale.

Che poi l'anima dei figli potesse derivare dall'anima dei genitori per una specie di generazione spirituale, allo stesso modo che il corpo deriva dal corpo per generazione materiale, non poteva neppur passare per la mente di Dante, perchè secondo i suoi principii filosofici, l'anima, essendo uno spirito, non è divisibile in parti, e non può quindi dar origine ad un'altr'anima per divisione di se stessa.

Ma se si escludono la generazione materiale e la generazione spirituale, non resta che una terza supposizione possibile: che cioè l'anima umana derivi immediatamente da Dio.

E ciò può essere inteso in due modi: o nel senso che l'anima derivi da Dio come una emanazione o una parte della divinità, o nel senso che venga creata da Dio come entità distinta dalla sostanza divina.

La prima ipotesi non era insegnata da alcun filosofo al tempo di Dante, e non ebbe mai voga in Italia fino ai tempi moderni, in cui Benedetto Croce e Giovanni Gentile diffusero tra di noi la filosofia hegeliana.

Mirabile potenza della moda in filosofia! Trent'anni fa (imperanti Roberto Ardigò, Giacomo Moleschott ed Ernesto Haeckel) per essere all'altezza dei tempi bisognava dire che tutta la realtà era la materia, che lo spirito era un sogno del

medio evo, e che l'anima umana non era altro che un fenomeno dell'organismo materiale. A trent'anni di distanza, ai giorni nostri cioè, s'invertono i termini. La materia non è che un'astrazione, l'unica realtà è lo Spirito (con l's maiuscola), e l'anima nostra è un grado del divenire dello Spirito, e in fondo è lo Spirito stesso, cioè Dio. Così dobbiamo pensare se vogliamo essere all'altezza del nostro Ministro della P. I.

Non occorre dire che Dante non aveva ancor pensato di essere Dio egli stesso, e perciò interpretava la derivazione dell'anima da Dio nel secondo senso, supponendo cioè che l'anima d'ogni uomo venisse creata da Dio come entità distinta dalla sostanza divina.

Già Platone però aveva ritenuto che le anime umane fossero create da Dio; ma aveva supposto che fossero state create prima del corpo e indipendentemente da esso, e che solo più tardi vi venissero infuse in pena delle loro colpe.

Dante come filosofo cristiano, non poteva accettare il concetto di Platone, e doveva sostenere che ogni anima viene creata contemporaneamente con la formazione del corpo, e in stretta unione con esso. Ma in qual modo? Ecco la questione, ed ecco il nodo che vuole sciogliere Dante con la magnifica lezione di Stazio.

Vennero più tardi altri filosofi che pretesero di superare la spiegazione Dantesca: Cartesio e Rosmini. Ma Cartesio, avvicinandosi troppo alla teoria Platonica, cadde nel ridicolo per quello che vi aggiunse di proprio; e Rosmini, non contento al quia, secondo l'ammonimento di Dante, volle veder troppo e diede quindi buon giuoco agli avversari di accumunarlo su questo punto ai filosofi materialisti.

La spiegazione di Dante resta adunque quanto di più completo e di più preciso ha saputo dare non soltanto la scolastica del medio evo, ma anche la neoscolastica dei tempi moderni. E vediamola.

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