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CAPITOLO SECONDO.

Degli antenati di Dante, cominciando da Cacciaguida. Origine della famiglia Alighieri. Non Allighieri, ma Alighieri dee scriversi il casato di Dante.

[Secoli XII e XIII.]

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Da un ramo degli Elisei derivarono al principio del secolo XII gli Alighieri; ed ecco il come. Cacciaguida degli Elisei, che nacque il 1106,1 avea preso in moglie donna Aldighiera degli Aldighieri di Ferrara. Avuto da essa un figlio, e ad onore di essa nominatolo Aldighiero, i suoi discendenti presero il nome da lui, e si chiamarono Aldighieri ; 2 nome che poi per dolcezza di pronunzia cambiossi non già in Allighieri, siccome alcuni pretendono, ma bensì in Alighieri. Cotesto Cacciaguida segui nel 1147 l'imperator Corrádo III nella seconda crociata in Terra santa, e fu da esso pel suo valore fatto cavaliere; ma l'esercito de' Crociati essendo ben tosto sconfitto, egli lasciovvi la vita in età di anni 42.3

Avea Cacciaguida due fratelli; Moronto che non lasciò successione, ed Eliseo onde continuossi il ramo degli Elisei fino a Leonardo di Buonaccorso, che abbiamo ricordato nel capitolo precedente.* Oltre a quel figlio, cioè oltre ad Aldighiero, ebbene Cacciaguida un altro, per nome Preitenitto: ma poichè di questo non resta altra memoria, che quella di vederlo insiem col fratello nominato in un documento del 1189, perciò è da ritenersi che non avesse discendenza, e riman perciò escluso dalla ricerca presente. Or dunque da un fratello e da un figlio di Cacciaguida derivandosi dal princi

pio del secolo XII le due famiglie Elisei e Alighieri, cercarono esse distinguersi l'una dall' altra cosi pel nome, come per l'arme onde, mentre quella degli Elisei avea d'argento (siccome abbiam veduto poc' anzi) la parte inferiore dello scudo, e a scacchi azzurri e d'oro la parte superiore; quella degli Alighieri faceva uno scudo diviso pel mezzo in diritto, parte d'oro e parte nero, e tagliato per traverso piano da una fascia bianca. Pertanto da Cacciaguida discese Alighiero I, da Alighiero I Bellincione, da Bellincione Alighiero II, e questi fu il padre di Dante. Bellincione ebbe un fratello, che chiamossi Bello, e poichè in qualche documento vedesi costui nominato col titolo di messere, è da dirsi che fosse o dottore, o cavaliere, non per altro tributandosi allora quel titolo. Da lui discesero Cenni, Gualfreduccio, Cione e quel Geri, detto appunto del Bello, che Dante finge vedere nel XXIX dell' Inferno, quasi a volerne significare esser egli stato proditoriamente ucciso (siccome fu di fatto da un de' Sacchetti), e andarsene sdegnoso per non avere ancora (nel 1300) trovato alcuno della famiglia, che n' avesse tratto vendetta; vendetta diremo qui di passaggio, che solo fu fatta dopo la morte di Dante, da un nipote dell' ucciso: tali essendo le stolte e ad un tempo feroci leggi d' onore di quell' età. Comunque sia, della discendenza di messer Bello non resta altra memoria che quella de' figli.

Adunque Alighiero II, figlio di Bellincione, nipote d' Alighiero I, e bisnipote di Cacciaguida, fu il padre di Dante. Suoi fratelli furono un Gherardo, di cui null' altro sappiamo se non che viveva nel 1277, ed un Brunetto, la cui discendenza s'estinse in un figlio, e di cui dirò qualche cosa in appresso. Al contrario degli Elisei, che (come dicemmo) erano Ghibellini, gli Alighieri eran Guelfi ; nè ciò dee recar maraviglia, perocchè in quei tempi, in che sventuratamente i cittadini s'abbandonavano allo spirito di parte, sono frequentissimi gli esempii non solo di consorti, ma pur d'individui delle stesse famiglie, nemici fra loro. E gli Alighieri di

siffatta guisa si furon dati al partito guelfo, che Farinata degli Uberti, parlando di essi (Inf., canto X, v. 46), dice:

.. Fieramente furo avversi

A me ed a' miei primi ed a mia parte,

Sì che per due fiate li dispersi.

Infatti Brunetto, lo zio di Dante or ora ricordato, faceva parte dell'esercito fiorentinò, che a Montaperti fu pienamente sconfitto, nel quale ei tenne un posto assai distinto, poichè egli era una delle guardie del Carroccio ; e nel quale ebbe l' incarico insiem con altri di dirigere la costruzione delle vie, occorrenti in quel tratto, ov' era posto l'accampamento." Doveron pertanto due volte esular dalla patria: la prima nel 1248 quando ne furon cacciati per opera di Federigo d'Antiochia, figlio dell'imperator Federigo II; la seconda nel 1260, immediatamente appresso la grande sconfitta sopraccennata di Montaperti. Ma

S'ei fur cacciati, ei tornâr d'ogni parte,

l'una e l'altra fiata,

risponde il Poeta all' Uberti (ivi, v. 49); ed infatti tornarono la prima volta nel 1251 dopo la morte di Federigo imperatore, la seconda nel 1266-1267, dopo che Carlo conte di Provenza ebbe tolto a Manfredi i reami di Puglia e di Sicilia. La discendenza di questo Brunetto Alighieri, guardia del Carroccio, e zio di Dante, si estinse in un figlio chiamato Cione.

Le case degli Alighieri (chè più d'una ne possedevano) restavano nel centro della città e nel sesto di Por' san Piero : di fronte guardavano la piazzetta di san Martino del Vescovo, e piegando a sinistra giungevano fino alla piazzetta de' Giuochi a tergo rispondevano sulla piazza de' Donati, detta oggi della Rena. « Gli Alighieri (dice Leonardo >> Bruni) abitarono in sulla piazza dietro a san Martino del >> Vescovo, dirimpetto alla via che va a casa i Sacchetti,1o e » dall'altra parte si stendono verso le case de' Donati e » de' Giuochi. » E questo vien confermato dai documenti

che tuttora sussistono. Infatti (dice anco il Pelli) il nostro Poeta era della parrocchia di San Martino del Vescovo; e se nei libri delle anime della cura di Santa Margherita, chiesa non molto distante dall' altra, una casa posta sulla piazzetta, posseduta già da' Padri doménicani, si trova nominata la Torre di Dante," ciò accade forse perchè avendo San Martino cessato d'esser parrocchia,12 venne ad essere incorporata nell' altra di Santa Margherita. Quella che di recente si è chiamata la casa di Dante, e che resta di contro al fianco settentrionale della torre di Badia, e guarda quasi diritto la via de' Magazzini, non è che una di esse; ma il dir che in quella appunto venisse alla luce il divino Poeta, è un dir cosa non molto probabile, essendo essa la più meschina delle circostanti, le quali pure agli Alighieri appartenevano. E se non possedevano molte ricchezze, non erano però gli Alighieri da dirsi poveri, poichè (oltre le case notate) sappiamo che avevano delle possessioni in Camerata, nella Piaggentina o nel popolo di Sant' Ambrogio, a San Miniato a Pagnolle, e in Piano di Ripoli: luoghi tutti vicini alla città. Ma di questo darò maggiori particolari nel capitolo seguente.

iossi non

Ho detto qui sopra che il casato Aldighieri c già in Allighieri, siccome alcuni pretendono, ma bensì in Alighieri. Mi convien dunqu ovarlo, tanto più che non solo nell' alta Italia, ove ben poco si sa della nostra pronunzia, ma eziandio in Toscana si vede da alcuni usato, e non san lo perchè, il mal vezzo di scrivere questo casato con doppia l.

Il quale casato in più modi si trova essere stato scritto in antico, cioè Alageri, Alagheri, Alaghieri, Aldaghieri, Aldeghieri, Aldighieri, Alegeri, Alegheri, Aleghieri, Aligeri, Allegheri, Allighieri. Ma al Pelli parve bene seguire, siccome ei dice, l''autorità del Boccaccio (che peraltro, come vedremo, egli intese a rovescio), e perciò preferi la forma Allighieri, quantunque nel suo libro si veda spesso questo casato scritto con una l sola. Ora il signor Filippo Scolari fino dal 1841 pubblicò un libretto che ha per titolo Del doversi scrivere e stampare costantemente Dante Allighieri con dop

pia 1, e non altrimenti, e il signor Alessando Torri, seguendo e avvalorando la tesi dello Scolari, ne pubblicò un altro nel 1852 intitolato La grafia del casato di Dante Allighieri rivendicata alla legittima originaria lezione.

Comincia lo Scolari dicendo: «La causa che vengo a di>> scutere e a mettere in salvo da qualsivoglia opposizione » futura, consiste in questa ferma e nitida proposizione, >> che sia debito assoluto di tutti, debito di giustizia e di sana » critica, quello di scrivere e stampare costantemente Alli» ghieri: » E trattando questo argomento egli dice, « non >> curare le risa beffarde e l'ignorante disprezzo, che taluni » forse preparano alla sua sentenza; e che se l'ostinazione » non si vorrà dare a patto veruno per vinta, rimarrà salva » l'utilità del suo scritto, e dimostrata e assicurata la giu» stizia, la convenienza e l' importanza del suo sentenziare. >>

In una ricerca storica e filologica, siccome questa, non faceva veramente di bisogno assumere un tuono così assoluto e così burbanzoso, qual è quello dallo Scolari assunto: ma noi lasciando pure che altri s' indrachi a suo talento, diremo che tutt' affatto fuori della questione si è il dire e il provare, che la forma geri, pronunziata come si voglia o coll' e breve o coll'e lunga, è erronea, perciocchè si sa bene che essa fu adottata da nipoti di Dant per dar corpo e colore >> (come nota pure lo Scolari) ad una favola, che non appar» tiene nè punto, nè poco alla vita di Dante; quella cioè che » gli Aligeri fossero così denominati dal latino alas gerere, >> come quelli che nello stemma gentilizio portassero un'ala » d'oro in campo azzurro. » Ma non è vero quello su che tanto insiste lo Scolari dicendo che, nel dar bando alla forma con due l, si è conservato quella con un' / sola, unicamente per non recar danno all' ala; perciocchè se da più secoli si pronunzia e si scrive Alighieri, non si è mai avuto mente all' ala, ma sì al primitivo nome Aldighieri.

Il Landino fu quegli (dice il Torri, e con frasi diverse vien pure a dir lo stesso lo Scolari) « il quale volendo alle>>gorizzare anche sul cognome di Dante, lo disse derivato

DANTE. Vita.

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