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Ora, fra gli eccettuati del sestiere di Por' San Piero, ha il nostro Dante Alighieri.

Termina infine il documento colla sottoscrizione del notaro :

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Ego Gerardus Aldighieri de S. Remigio, florentinus » civis, imperiali auctoritate Judex ordinarius et publicus "Notarius, et tunc Notarius Dominorum Capitaneorum » Partis guelforum et dictæ Partis, prædictos omnes et sin» gulos in hoc quaterno contentos scripsi de mandato et » voluntate dictorum Capitaneorum, et eorum Consilii. Sub >> annis Domini MCCCXII, Indict. XI, die VII mensis " Martii. "

Due volte nel principio del documento si legge la data del 6 settembre 1311; onde questa seconda del 7 marzo 1312 (1313 stile comune) non è da ritenersi se non come fine di quel lungo atto, che consta di più parti, e di parecchie aggiunte, fatte di tempo in tempo. Infatti il principio fu rogato da altro notaro: «Et ego Filippus Nerini Notarius et Scriba dictorum DD. Priorum ec. hæc scripsi sub annis » Domini MCCCXI, Indict. IX, diebus et mensibus infrascriptis. "

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Un' avvertenza debbo aggiungere, ed è che Giovanni Villani (lib. IX, cap. 16) pone questo stanziamento al dì 26 aprile. Convien quindi dire o che il Villani errò, o che il decreto del 26 aprile fosse un primo principio di quello, che fu fatto più estesamente dappoi nel 6 settembre.

29 Per via di predizione Dante colloca in uno degli scanni celestiali il suo diletto Arrigo, così facendosi dire da Beatrice nel canto XXX, v. 133 e seg. del Paradiso :

In quel gran seggio, a che tu gli occhi tieni
Per la corona, che già v'è su posta,

Prima che tu a queste nozze ceni,
Sederà l'alma, che fia giù agosta,

Dell'alto Arrigo, che a drizzare Italia
Verrà, in prima ch'ella sia disposta.

30 Da Clemente V, che dimorava in Avignone, furono deputati all' incoronazione d'Arrigo i cardinali Niccolò da Prato, Luca del Fiesco e Arnaldo Pelagrù. Ma Roberto, che s'era collegato cogli Orsini, mandò a Roma suo fratello Giovanni con una buona mano di cavalli per contrastare ad Arrigo l'entrata. Infatti a Ponte Molle, presso alla città un miglio, vennero alle mani, ma Arrigo forzò

il passo ed entrò in Roma: pur nonostante non potè penetrare nella città leonina, poichè i suoi nemici vi si erano molto afforzati: ond' ei fu costretto a coronarsi, non in San Pietro, ma in San Giovanni Laterano. Il pontefice (come dice il Muratori) barcheggiava; chè mentre era stato il promotore dell' elezione d' Arrigo, ora che questi era disceso in Italia nol secondava, anzi lasciava che Roberto insiem con tutto il partito guelfo se gli opponesse: nè in ciò ha nulla di straordinario; poichè la politica de' papi era di mantener sempre in Italia un dualismo, regolandosi in modo che l'una parte l'altra non soverchiasse. Quindi si fanno chiare quelle parole di Dante nella fine del canto XXX, del Paradiso :

E fia prefetto nel foro divino

Allora tal, che palese e coverto

Non anderà con lui (con Arrigo) per un cammino. Ma poco poi sarà da Dio sofferto

Nel santo ufficio; ch' el sarà detruso

Là, dove Simon Mago è per suo merto,
E farà quel d' Alagna andar più giuso.

Ciò nonostante aveva Arrigo rialzato tanto le speranze dei Ghibellini, e messo tanto in timore i Guelfi, che lo stesso Villani (lib. IX, cap. 53) dice che se la sua morte non " fosse stata sì prossimana, un signore di tanto valore e di " sì grandi imprese com' era egli, avrebbe vinto il Regno, "e toltolo al re Ruberto, che piccolo apparecchiamento avea al riparo suo. Anzi si disse per molti, che il re Ru"berto non l'avrebbe atteso, ma itosene per mare in "Proenza e se appresso avesse vinto il regno, come s' av

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visava, assai gli era leggiere di vincere tutta l'Italia. " Della gran paura, che Roberto, il re da sermone, aveva d' Arrigo, fa fede un importante documento, non ancor pubblicato, che esiste nell' arch. diplom. di Siena, Filza XVII, num. 1387. Son le istruzioni, che quel re dà ai suoi ambasciatori nel portarsi in Avignone alla corte del papa. Dopo aver cercato di provare, che l'elezione e confermazione del re de' Romani è stata sempre all'Italia e alla santa Sede causa di molti mali, perchè statim quod est coronatus erigitur in fumum superbiæ, et credit se esse non solum parem domini Papæ, sed etiam majorem, racconta Roberto d'aver mandato ad Arrigo, fin da quando era in Alemagna, suoi ambasciatori ad prestandum sibi sacramentum fidelitatis pro terra, quam idem Rex tenebat ab eo, e che ciò

non ostante non volle Arrigo ricevere il suo giuramento. Venuto poi in Italia, e fermatosi in Genova, gli mandò di muovo ambasciatori, proponendogli il matrimonio fra Carlo duca di Calabria suo primogenito e la figlia di lui; ma non potè ottenerne che risposte evasive: il perchè conobbe che Arrigo aveva inverso di lui livorosum et oblicum animum. Poco appresso sentendo che pure in Roma il partito ghibellino levasse il capo, e perseguitasse i devoti della santa Sede, prefatus dominus Rex provise providit, non expectans percuti, spectabilem juvenem dominum Johannem, Gravina comitem, germanum suum, ad dictam Urbem trasmictere, non in cujusquam injuriam vel offensam, sed ut predictis amicis et devotis assisteret, et imminentem offensionis injuriam sibi regnoque prefato per defensionis obstacolum sicut esset expediens propulsaret, probabiliter dubitans Rex ipse Sicilia, ne de Urbe jam dicta ei dictoque regno suo offendiculum gravioris periculi proveniret. Espone poi come i cardinali deputati à incoronarlo, avendogli chiesto (secondo la forma del mandato apostolico) ch'egli avesse prestato giuramento di non offendere, nè invadere, nè di lasciare ad altri offendere ed invadere il regno di Napoli, egli aveasi ricusato, dicendo non esser lui a ciò tenuto. Ma poichè era questa una condizione posta espressamente dal papa, perciò la sua incoronazione non doveva avere efficacia. Prefatus enim dominus Papa voluit et mandavit per suas licteras jam dictis cardinalibus, quod prius quam ad unctionem vel coronationem dicti Regis Romanorum in aliquo procederent, ab eodem Rege Romanorum, nomine ipsius domini Pape et Ecclesie Romane, corporale prestandum per eum publice reciperent juramentum, quod idem Rex dictum regnum Siciliæ, sive terram aliam positam citra Farum, quæ quidem terra de prefato regno Sicilie fore dignoscitur, per se vel alium nunquam invaderet aliquatenus vel offenderet, nec offendentibus vel invadentibus, aut offendere vel invadere volentibus, prestaret auxilium....... Unde cum dictus Rex Romanorum recusaverit ipsum sacramentum facere et prestare, sicut pretactum est, velut per responsionem suam factam prefatis cardinalibus evidenter apparet, manifestum est quod coronatio facta contra formam dicti mandati, non habuit efficaciam. E poichè il papa (notinsi queste esorbitanze) ha il diritto di confermare l'imperatore, ed egualmente può pei suoi demeriti deporlo, e può altresì trasferire l'impero da una famiglia in un'altra, e vacante l'impero ha egli la giurisdizione nelle cose temporali; — (dominus Papa habet confirmare Imperatorem,

sicut dicit Decretal. Venerabilem, Extra. de electione; item potest ipsum ex suis demeritis deponere, ut Dist. XV. q. VI. Can. alius, Dist. XCVII, Can. Duo sunt quippe; et potest transferre Imperium de una natione in aliam, ut in dicta Decretal. Venerabilem clare liquet; et vacante Imperio dominus Papa habet jurisdictionem Imperii in temporalibus, ut dicit Decretal. Licet, Extra. de foro competenti); da ciò segue, che il detto re de' Romani, contumacia a contumacia aggiungendo, non meritò il favore di essere incoronato; e perciò nulle sono (nulla firmitate subsistunt) la sua unzione e la sua incoronazione. Chiedano pertanto ed insistano gli ambasciatori, che questa incoronazione d'Arrigo sia dal papa dichiarata di nessun valore. Petant dicti Nuntii pro parte ejusdem domini Regis Sicilie a predicto domino Papa, cum consilio dominorum cardinalium specialiter amicorum ejusdem domini Regis, prout eis videbitur expedire, quod ipse dictam coronationem, quatenus de facto processit, declaret et denunciet nullam fuisse, vel minus legitime processisse.

31 Il Bruni fu segretario della repubblica, e vide in palagio co' proprii occhi (secondo ch' egli asserisce) le lettere di Dante; ma poi anco il Villani conferma il detto del Bruni, con queste parole: «Dante, infra l'altre, fece tre » nobili pistole; l'una mandò al reggimento di Firenze, dogliendosi del suo esilio sanza colpa ec. »

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CAPITOLO SETTIMO.

217

Dante a Gubbio e a Fonte Avellana. Sua lettera ai cardinali italiani. Uguccione della Faggiuola signore di Pisa, e quindi di Lucca. Dante a Lucca. Battaglia di Montecatini. Terza condanna di Dante. Vien richia

mato` in patria ad umilianti condizioni, e ricusa. È accolto in Verona da Cane Scaligero; ed ei gli dedica il Paradiso. La famiglia Paratico e il patriarca Pagano della Torre. Tesi sull' acqua e sulla terra, sostenuta da Dante in Verona. Dante in Ravenna presso Guido da Polenta. Il bolognese Giovanni Del Virgilio. Dante ambasciatore per Guido alla repubblica di Venezia. Torna a Ravenna. Sua morte.

[1313-1321.]

Non è a dirsi quanto l'esule immeritevole (siccome chiamava sè stesso l' Alighieri) rimanesse scorato per la fine immatura e inattesa d'Arrigo, la quale troncava dalla radice ogni sua speranza. Ov' ei s' aggirasse pel corso di quasi due anni, nol sapremmo dire con molta esattezza; pure con molta probabilità può credersi, che dimorasse per alcun tempo nelle case de' Raffaelli di Gubbio, e nel monastero di Fonte Avellana, situato non molto lungi di là. « Morto l' impera» tore Arrigo (dice il Bruni), Dante povero assai trapassò il >> resto della sua vita, dimorando in varii luoghi per Lom» bardia, per Toscana e per Romagna sotto il sussidio di » varii signori, per infino a che finalmente si ridusse a Ra» venna; dove finì sua vita. >>

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