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vocabolo Aldighieri, composto di dieci lettere, per essergliene stata scemata, o diminuita una, cioè il d, rimase Alighieri. Ma il Torri replicherà che le voci scemamento, diminuzione non ha inteso proporle con simile significato; e così dando interpretazione d' interpretazione, dirà che significano assottigliamento, raschiamento. Ed allora potrà rispondersi al Torri, che detrarre (che viene da detrahere, vale a dire trahere de) significa trarre da, levare da, sottrarre da, e non già assottigliare, raschiare.

L'equivoco del Torri, equivoco che gli fece trovare un tal gingillo filologico, nacque da questo che egli non considerò come nel periodo del Boccaccio il soggetto, che soffre la sottrazione, o detrazione è il vocabolo Aldighieri, e nón già la lettera d. Se il Boccaccio avesse scritto: Comecchè la lettera d, contenuta in questo vocabolo, venisse poi per detrazione corrotta (ma e che frase sarebbe mai la lettera per detrazione corrotta?); allora la sua interpretazione potrebbe reggere: ma poichè egli scrisse: il vocabolo, per detrazione di questa lettera d corrotto, è evidente che il buon Torri prese un equivoco. E su questo proposito, che fa lo Scolari? Egli procede più francamente, e cambia le carte in tavola; poichè dopo aver riportato il passo del Boccaccio, non parla più di vocabolo per detrazione della lettera d corrotto, ma parla di lettera d corrotta. Ecco le sue parole: « Ora la d corrot» ta, se avesse importato sottrazione assoluta, avrebbe fatto >> che si stampasse Alighieri, ed è stampato invece Alli» ghieri (dove? in un' edizione scorrettissima): dunque non » è che il Boccaccio abbia detto sottratta la d, ma corrotta, >> per la mutazione naturalissima, usitatissima della d in l. »

Noi pertanto vediamo come tutti gli argomenti messi in campo dallo Scolari e dal Torri, o son falsi, o fanno lor contro. E che tali siano, venne riconosciuto da molti dotti, che continuano a scrivere Alighieri con un'l sola, e venne dichiarato (fra gli altri) da Carlo Troya, il quale nel Veltro allegorico de' Ghibellini (Napoli, 1856, pag. 370) disse: « Ma >> può egli negarsi che i toscani scrittori ed il popolo dettɔ

>> abbiano in ogni età e dicano l'Alighieri? Ciò non potea con» traddirsi, nè si contraddisse dal Pelli, nato in Toscana: egli >> nondimeno lasciossi travolgere nel peggior partito, alle» gando (a sproposito) l'autorità del Boccaccio, al quale ap» pone d'aver detto Allighieri nella Vila di Dante, stam» pata l'anno 1576. Ora il signor Audin de Rians ha ultima» mente osservato che siffatta stampa non è la prima, ma la » terza, e che le due precedenti del 1477 del 1544 hanno

» Alighieri.1 Ed io non aspettai una si calzante risposta per >> protestarmi (contro lo Scolari ed il Torri), come or mi » protesto d'aver sempre detto, e voler dire Alighieri, se» condo l'uso costante del parlar toscano, che in ciò è la » legge suprema, e secondo l'eufonia che deriva da tal » uso..... A chi non è noto, che nel suo prolisso Commento >> il Boccaccio non scrisse mai Allighieri, ma sempre Ali» ghieri? E Benvenuto da Imola, che studiava sì diligente» mente i libri di questo suo maestro, afferma : Quod alii di» cunt Allagherii corrumpunt omnino vocabulum. » Pur nonostante lo Scolari con quella sua burbanza, per cui si è sempre distinto, verso la fine del suo scritto non si tien da esclamare: «Portata a questo grado di critica, di verità e » d'evidenza la storia di tale argomento (e noi l'abbiamo » veduto davvero), chi avrebbe potuto mai credere, che >> nel 1837 stampandosi a Firenze la Commedia di Dante..... >> tornasse a vedersi nel frontespizio (quasi fosse una brut» tura) l' erroneo, storpio, illegittimo, ingiusto e detestando

Alighieri? Quali ragioni avrebbero potuto mai, o potreb» bero tuttavia, far difesa ad una persistenza si disperata? » Ma queste ultime parole non potranno a buon dritto ritorcersi contro di lui, dopochè abbiam veduto, che tutti i suoi pretesi argomenti e tutte le sue parole non son che alterazioni, sragionamenti e spropositi?

ILLUSTRAZIONI E DOCUMENTI

AL CAPITOLO SECONDO.

1 Questo Cacciaguida finge Dante incontrarlo nel Paradiso, sfera di Marte. Ei gli si palesa per stipite della sua famiglia, dicendo (canto XV, v. 87):

O fronda mia, in che io compiacemmi

Pure aspettando, io fui la tua radice.

E dopo averglì detto molte altre cose, gl' indica l'anno della sua nascita per mezzo di questa circonlocuzione :

Da quel dì che fu detto Ave

Al parto, in che mia madre, ch'è or santa,
S'allevïò di me, ond' era grave,
Al suo Leon cinquecento cinquanta
E tre fiate venne questo fuoco

A rinfiammarsi sotto la sua pianta;

vale a dire: Da quel dì che dall' arcangelo Gabbriello fu detto Ave a Maria vergine, cioè dal giorno dell' ine arnazione del divin Verbo, fino al giorno del parto, in che mia madre, che è ora in Paradiso, s' alleggerì di me, di cui era gravida, questo focoso pianeta di Marte venne 553 volte alla costellazione del Leone a riaccendersi sotto di lui. E poichè secondo Dante, e secondo gli antichi, la rivoluzione di Marte compievasi in due anni, perciò raddoppiando il 553 avremo 1106, anno della nascita di Cacciaguida. Vedi anche la mia nota a questo luogo del Paradiso.

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2 Lo stesso Cacciaguida dice (Parad. canto XV, v. 137):
Mia donna venne a me di Val di Pado,
E quindi il soprannome tuo si feo.

Il Boccaccio, pag. 12: « De' quali (Elisei) tra gli altri > nacque e visse uno cavaliere, per arme e per senno rag» guardevole e valoroso, il cui nome fu Cacciaguida: al quale nella sua giovinezza fu data da' suoi maggiori per isposa una donzella nata degli Aldighieri di Ferrara, così » per bellezza e per costumi, come per nobiltà di sangue pregiata, colla quale più anni visse, e di lei generò più figliuoli. E comecchè gli altri nominati si fossero in uno,

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» siccome le donne sogliono esser vaghe di fare, le piacque di rinnuovare il nome de' suoi passati, e nominollo Aldighieri; comecchè il vocabolo poi, per sottrazione di que» sta lettera d corrotto, rimanesse Alighieri. »

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Leonardo Bruni: «Di messer Cacciaguida nacquero gli Aldighieri, così nominati da un suo figliuolo, il quale per stirpe materna ebbe nome Aldighieri.

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Giannozzo Manetti (Vita Dantis, pag. 9): « Hic igitur > nobilis Cacciaguida...... virginem quamdam forma moribusque præstantem e clara quadam Aldigheriorum fer» rarensium familia in matrimonium accepit, ex qua quum » plures filios suscepisset, unum ex multis, ut uxori morem » gereret, nomine familiæ uxoris suæ Aldigherum cogno» minavit, quamquam d littera, ut in pluribusque fit eupho» niæ causa, e medio sublata, pro Aldighero Aligherum » appellaret.

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Filippo Villani (Vita Dantis, pag. 7) dice le cose medesime, ma discorda rispetto alla patria della moglie di Cacciaguida, e invece che di Ferrara, la vuole di Parma. Non cita peraltro alcun fatto, ma emette solo una sua opinione, dicendo: « quasi sola Ferraria in valle Padi sita sit, » et non Parma; sed familiæ parmensis notissimum agno» men fictionem concionantis enudat, idque ipsum ibidem perspicaciter contuenti videtur asserere Cacciaguida..... » Hanc ingenuam veritatem modernus quidam, ut hestensi » alluderet marchioni, conatus est obumbrare, poetico af» firmans commento, de Frangipanibus quemdam nescio » quem ab antiquo Ferrariæ firmasse coloniam, indeque per " posteros migrasse Florentiam, ex eo fortasse loco argu»mentum sumens, quod dixerit Cacciaguida, mea uxor ad

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me venit de valle Padi. » Che una famiglia Aldighieri fosse anco in Parma può essere, ma che la valle del Po accenni piuttosto a Parma, che a Ferrara, nol credo. Ecco poi quello che in proposito dice il Pelli, pag. 17: « Filippo Villani nella Vita di Dante, e Domenico d' Arezzo nella "sua opera ms., che ha per titolo Fons memorabilium n universi, ove parla del nostro Poeta (parte V, lib. I) scri» ve, che a' suoi tempi in Parma sussisteva la casata Ala"gheri, e che Benvenuto da Imola, commentando un terzetto del canto XV del Paradiso, avea pensato che la moglie di Cacciaguida fosse di Ferrara, per compiacere » al marchese Niccolò d' Este. Ma ciò non può esser vero, » perchè prima di Benvenuto avea detto il medesimo il Boccaccio. Comunque però sia, in Ferrara la famiglia Aldighieri era in essere nel XII secolo, e rispetto a quella

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» di Parma trovo nelle memorie storiche di Bologna di Matteo de' Griffoni, stampate nel vol. XVIII, Scriptor. » Rer. Italic., pag. 143, che un Paolo de Aldigeriis de » Parma fu nel 1328 rettore della stessa città di Bologna, " e che di questo medesimo Paolo parla ancora frate Bartolommeo della Pugliola nella sua Cronica di Bologna » all'anno 1316, inserita in detto volume, pag. 330. Cosa poi debba credersi fra questa varietà di sentimenti, non "ho tanto in mano da determinarlo. » Pure sembra a me che si determini benissimo; perciocchè il dire che nel 1328 era in Parma una famiglia Alagherii o Aldighieri non prova nulla, essendochè bisogna provare che la vi fosse due interi secoli innanzi, cioè verso il tempo che Cacciaguida prese moglie. E quando pur ciò si provasse, come può distruggersi l'asserzion del Boccaccio, come può contorcersi il senso delle parole di Cacciaguida, Mia donna venne a me di val di Pado?

3 Continuando a parlar di sè, dice Cacciaguida (Paradiso, canto XV, v. 140 e seg.):

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Poi seguitai lo imperador Currado,

Ed ei mi cinse della sua milizia:
Tanto per bene oprar gli venni in grado.
Dietro gli andai, incontro alla nequizia
Di quella legge, il cui popolo usurpa,
Per colpa del pastor, vostra giustizia.
Quivi fu' io da quella gente turpa
Disviluppato dal mondo fallace,
Il cui amor molt' anime deturpa,

E venni dal martirio a questa pace.

Cacciaguida stesso nomina questi due suoi fratelli, (Paradiso, canto XV, v. 136):

5

Moronto fu mio frate ed Eliseo.

Questi, che (come abbiam detto) fu il primogenito di Cacciaguida, e diede il nome al ramo degli Elisei, che si disse degli Aldighieri, è posto da Dante nel Purgatorio tra i superbi, secondo che suonan le parole dello stesso Cacciaguida. (Paradiso, canto XV, v. 91 e seg.):

Quel da cui si dice

Tua cognazione, e che cent'anni e piue
Girato ha il monte in la prima cornice,

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