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rali studi ammaestrato e che sommamente i valorosi uomini onorava; mentre il padre di Francesca fu Guido il Vecchio (così pur chiamato dagli storici), il quale era capo de' Guelfi in Romagna nel 1249. Egli maritò Francesca a Gianciotto nel 1275; e, se fosse stato tra i vivi quando Dante morì (cioè nel 1321) avrebbe contato più di cent' anni d'età. Ci narra il Boccaccio come Guido accompagnò onorevolmente l'Alighieri al sepolcro, e recitò il funebre elogio di lui. È egli da dirsi probabile che ciò potesse farsi da uomo, che avesse già varcati i venti lustri? Il padre di Francesca fu insomma l'avo di Guido Novello, e questi era nipote di quella donna infelice.

20 L'ambasciata di Dante a' Veneziani per Guido da Polenta ne' primi mesi del 1321, è attestata da quasi tutti i biografi del Poeta. Giovanni Villani (lib. IX, cap. 136) dice che Dante morì in Ravenna, essendo tornato d'ambasceria da Vinegia in servigio de' signori da Polenta, con cui dimorava. Giannozzo Manetti (nella Vita Dantis) dice che essendo Guido in guerra co' Veneziani, mandò ad essi ambasciatore Dante, per procurare la pace; ma non avendo potuto ottenere che fosse prestato ascolto alle sue parole, tornossene afflitto e ammalato in Ravenna, dove poco tempo appresso morì. Girolamo Rossi (Hist. Ravenn. lib. 6), e il marchese Maffei (Scritt. Veròn. pag. 54), parlando di quest' ambasciata di Dante, dicono che nel ritorno ammalò e morì, afflitto dal dispiacere di non aver potuto servire, come bramava, il suo signore, al quale quella repubblica minacciava di muover guerra. E tutte queste testimonianze rendono certo il fatto dell' ambasciata di Dante a Venezia nei primi mesi del 1321.

Ora dirò che nel veneto archivio di Stato (nei volumi dei Patti internazionali) trovasi un documento del 4 maggio 1322 (di cui vidi copia presso lord Vernon), il quale è l'atto della pace avvenuta in quel giorne fra la repubblica di Venezia e Guido da Polenta, signor di Ravenna. In quell'atto s'accenna a trattative precedenti, ma non si dà il nome delle persone che le incominciarono. Comunque sia, è certo il fatto della pace nel 4 maggio 1322, e quello delle trattative nell' anno 1321, le quali non è improbabile che fossero incominciate appunto da Dante.

Fra le epistole del nostro Poeta havvene una pubblicata dal Doni nel 1547, la quale è scritta da Venezia il 30 marzo, e per la quale l' Alighieri rende conto al Polentano della niuna riuscita della sua ambasciata, prendendo da ciò oc

casione di dir male de' Veneziani. Peraltro questa lettera invece di portare la data del 1321, porta quella del 1314: ond'è che molti critici ritennero che fosse apocrifa, ed inventata di pianta da quel fantastico editore; sì perchè nessun biografo del Poeta ha detto che Dante sostenesse per Guido due ambascerie (una nel 1314, l' altra nel 1321), sì perchè nessuna memoria si ha dalla storia, che fosse Dante ospitato dal Polentano nel 1314. Non starò qui a ripetere quello, che dissi nell' illustrazione a quella epistola, e solo aggiungerò che il fatto della legazione del 1314 non sussiste veramente; ma non perciò si rende necessario il ritener la lettera per apocrifa, quando si supponga (come pur suppose il Balbo) che la data sia sbagliata, e che invece del 1314 sia del 1321. Ma gran noia dà ai critici la mordacità delle frasi usate in essa, quasichè Dante non n'avesse usate or contro questo, or contro quello delle più acerbe in tutte quante le opere sue. Se peraltro quei critici avessero veduto la Vita di Dante scritta da Filippo Villani, la quale in passato giaceva inedita, non sarebbero stati tanto corrivi da tacciare il Doni d'impostore. Ecco come questo biografo racconta la legazione di Dante a Venezia nel 1321 (ivi, pag. 23):

Accidit ut Veneti, potentiæ viribus freti, Guidoni sine juxta caussa bellum indicerent, et terra marique exerci"tibus comparatis, in ejus excidium superbissime propera

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rent. Ea res fatorum ordine, consuetum illustribus viris, "Poetæ vitæ exitum properavit. Nam cum Guido in tanto » rerum suarum discrimine versaretur, parumque suis fideret viribus, æstimavit Poetæ facundiam et nomen posse ei im"minentem declinare ruinam, eique propterea quærendæ pacis curam, oratoris officio, delegavit. Ille, suscepto li"benter onere, cum multas itineris insidias perpessus anxie » Venetias appulisset, veriti parum docti eloquentiæ viri ve"neti, ne persuasionibus, quibus potentissimum Poetam fama "compererant, a superbo dimoverentur proposito, exponendæ » legationis illi iterum atque iterum petenti potestatem de" negaverunt. Cumque Poeta inauditus, laborans febribus "commeatum per ora maris ad Ravennam precibus postulasset, illi majori·laborantes insania, penitus denegarunt. » Admiratus (l'ammiraglio) siquidem navalis exercitus, pa"cis bellique leges plene concesserant. Et si Danti per " aquas tutum aditum permisissent, illum æstimaverunt quo » vellet posse flectere Admiratum singillatim. Profecto tam " præclaræ urbi æternum insensatæ stultitiæ dedecus, quo liqueret tantam urbem summa inconstantia laborare, cum

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» timeret facundæ persuasionis delinimentis ab his quæ consulto decreverat, posse dimoveri, et, quod est turpius, voluisse ab urbe sua eloquentiam exulare. Incommoda igitur » terrestris itineris cum febribus Poeta perpessus, cum Ra"vennam applicuisset, paucis post diebus extinctus est. "

Filippo Villani scrisse questa vita (secondo il Moreni) dal 1390 al 1397. Dunque centocinquanta anni prima del Doni si vede raccontato da quel biografo il fatto dell' ambasciata di Dante, con tutti quegli stessi particolari, ed eziandio con altri, che si leggono nella lettera controversa, e che fecero dubitare della buona fede del suo editore. Per me dunque la lettera (che certamente dovea esser latina, quella del Doni non essendo che una traduzione) è vera, ma invece di portar la data del 30 marzo 1314, dee portar quella del 30 marzo 1321.

"Le parole riferite son quelle, con che termina la Vita Nuova.

Che la morte di Dante accadesse veramente il 14 settembre 1321, lo attesta il Boccaccio nella Vita di Dante, dicendo che mori del mese di settembre, negli anni di Cristo 1321, nel dì che la esaltazione della santa Croce si celebra dalla Chiesa. E nel Commento alla Divina Commedia (cap. I) racconta aver saputo da ser Pietro di messer Giardino da Ravenna, che era stato uno de' più intimi amici del Poeta, che egli era morto in età di anni 56 e tanti mesi, quanti corrono da maggio a settembre (cioè 4), il dì 14 di questo stesso mese dell' anno 1321. Lo stesso dice Benvenuto da Imola al canto XXX, v. 135 del Paradiso. Lo stesso dice Filippo Villani con queste parole: Obiit Poeta anno gratiæ MCCCXXI, idibus septembris, quo die sanctæ Crucis solemnitas celebratur, dierum vitæ suæ anno sexto et quinquagesimo. Che se nelle stampe di Giovanni Villani si legge esser morto Dante nel luglio 1321, i giornalisti di Venezia (nel vol. XXXV, pag. 242) significarono come in un pregevole codice di questo storico, che si conserva nella biblioteca di san Marco, si legge nel mese di settembre, e non già nel mese di luglio. E poichè alcuno pose in dubbio questa data, a troncare ogni controversia aggiungerò che l'iscrizione sepolcrale, dettata dall' amico di Dante Giovanni Del Virgilio, termina così :

Mille trecentenis, ter septem Numinis annis,
Ad sua septembris idibus astra redit.

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CAPITOLO OTTAVO.

Qualità di Dante. Aneddoti. Cecco d'Ascoli. Giotto. Opere del nostro Poeta. Questioni intorno alcuni particolari della Divina Commedia. Quando ognuna delle tre cantiche fosse pubblicata; ed a chi dedicata. Qual sia la data della visione descritta nel Poema.

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Questo nostro Poeta (dice il Boccaccio) fu di medio» cre statura; e poichè alla matura età fu pervenuto, andò >> alquanto curvetto, ed era il suo andare grave e mansue>> to; di onestissimi panni sempre vestito, in quello abito » ch'era alla sua maturità convenevole. Il suo volto fu lun» go, e 'l naso aquilino, e gli occhi anzi grossi che piccioli, » e le mascelle grandi, e dal labbro di sotto era quello di >> sopra avanzato il colore era bruno, e i capelli e la barba » spessi, neri e crespi, e sempre nella faccia malinconico » e pensoso...... Ne' costumi pubblici e domestici mira>> bilmente fu composto e ordinato; e in tutti più che al>> cun altro cortese e civile. Nel cibo e nel poto fu mode>> stissimo, sì in prenderlo all' ore ordinate, e sì in non » trapassare il segno della necessità quelli prendendo; nè >> alcuna golosità ebbe mai in uno più che in un altro: i » dilicati lodáva, e il più si pasceva de' grossi; oltremodo >> biasimando coloro, li quali gran parte del loro studio pon>> gono in avere le cose elette, e quelle fare con somma » diligenza apparare; affermando, questi cotali non mangia» re per vivere, ma piuttosto vivere per mangiare ....... » Rade volte, se non domandato, parlava; e quelle pesata» mente, e con voce conveniente alla materia di che par

» lava; non per tanto che laddove si richiedeva, eloquen>> tissimo fu e facondo, e con ottima e pronta prola» zione. >>>

Dice i biografo che Dante avea la barba e i capelli neri: ma veramente appare che non fosse così, poichè egli stesso nella sua prima egloga, rispondendo a Giovanni Del Virgilio, che l'invitava a Bologna a prender la corona d'alloro, dice:

E non fia meglio,

Ch'io m'orni e copra sotto il trionfale

Serto le chiome, ove alla patria io torni,
Che saran bianche, e bionde eran sull' Arno?

(Traduz. del Personi.)

« Ne' suoi studii fu assiduissimo (segue raccontando il » Boccaccio) in tanto che, essendo una volta tra le altre in >> Siena, e avvenutosi per accidente alla stazione d' uno spe» ziale; e quivi statogli recato uno libretto davanti promes» sogli, e tra' valenti uomini molto famoso, nè da lui giam>> mai stato veduto; non avendo per avventura spazio di >> portarlo in altra parte, sopra la panca, che davanti allo >> speziale era, si pose col petto; e messosi il libretto davan>> ti, quello cupidissimamente cominciò a leggere. E comec>> chè poco appresso in quella contrada stessa, e dinanzi da >> lui, per alcuna general festa de' Sanesi, si cominciasse dai >> gentili giovani e facesse una grande armeggiata, e con » quella grandissimi romori da' eircustanti (siccome in co>> tali casi con istromenti varii e con voci applaudenti suol >> farsi); e altre cose assai vi avvenissero da dover tirare al>> trui a vedere, siccome balli di vaghe donne, e giuochi » molti di ben disposti e leggiadri giovani; mai non fu alcu» no, che muovere di quindi il vedesse, nè alcuna volta le>> vare gli occhi dal libro: anzi postovisi a orą di nona, pri>> ma fu passato vespro, e tutto l' ebbe veduto e quasi som>> mariamente compreso, ch' egli da ciò si levasse, affermando » poi ad alcuni, che 'l domandarono come s'era potuto te

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