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cato vecchio; sì che restava nel centro dell'antica Firenze: e l'avere abitazione nel centro era segno (secondo che dicono tutti i nostri Cronisti) di antica origine fiorentina, i venuti dal contado prendeano stanza per lo più ne' borghi. Il luogo poi onde gli antenati di Cacciaguida si partirono per venir quivi ad abitare, è (come abbiam veduto qui sopra) Roma.

Adunque le parole di Cacciaguida non suonan biasimo, siccome malamente credono alcuni commentatori, ma suonan lode; perocchè dicendo che egli e i suoi antichi nacquero nel centro della città, dice implicitamente ch'erano d'antica e nobil famiglia, e perciò conchiude: basti solo udirne questo, non importando aggiungere ch' ei venner da Roma. E non l'aggiunge; e dice esser per lui più onesto il tacere, che il farne altre parole, per non darsi lì in cielo, ov' era beato, il meschino vanto d'una nobile ed illustre origine. Ma se all' anima santa di Cacciaguida non conveniva vantarsene, lo si conveniva a Dante; ed infatti se ne vanta, in questo stesso canto dicendo:

O poca nostra nobiltà di sangue,

Se glorïar di te la gente fai

Quaggiù dove l'affetto nostro langue,
Mirabil cosa non mi sarà mai;

Chè là, dove appetito non si torce,
Dico nel cielo, io me ne glorïai.

Vale a dire: «Io non mi maraviglierò più se gli uomini su que» sta terra, dove il cuore è debole, menan vanto del pregio » de' natali; mentre io stesso in cielo, dove non può amarsi >> che il bene, me ne gloriai. » Ed egli se ne gloriava veramente, poichè non lasciava occasione, in cui avesse potuto lanciare una frase di spregio contro coloro, ch' eran venuti su di basso stato, e contro coloro che, per dirla in un modo ch'è antico e moderno, non erano di puro sangue. Nel canto medesimo: Ma la cittadinanza, ch'è or mista

Di Campi, di Certaldo e di Figline,
Pura vedeasi nell' ultimo artista.

Oh quanto fora meglio esser vicine
Quelle genti ch'io dico, ed al Galluzzo
Ed a Trespiano aver vostro confine,
Che averle dentro, e sostener lo puzzo
Del villan d'Aguglion, di quel da Signa,
Che già per barattare ha l'occhio aguzzo.

E appresso:

Tal fatto è fiorentino, e cambia e merca,
Che si sarebbe vôlto a Semifonti,
Là, dove andava l'avolo alla cerca.

E nel Purg. (canto VI, v. 125):

ed un Marcel diventa

Ogni villan, che parteggiando viene.

E nell' Inf. (canto XVI, v. 73):

La gente nuova, e i subiti guadagni,

Orgoglio e dismisura han generata,

Fiorenza, in te, sì che tu già ten piagni.

Comunque sia, e quantunque a Dante per essere il più illustre uomo d'Italia non abbisogni d'un titolo, che non è grande se non quando è fatto tale dalle virtù, perocchè la nobiltà è un manto, che tosto raccorciasi, se non vi s' appone di di in di; pure possiamo sicuramente asserire che la schiatta di lui fu nobile ed antica. Ma egli in buona fede credeva di discendere da famiglia romaná, e molti scrittori credono veramente, che tale famiglia fosse quella de' Frangipani, la quale pur nelle istorie del Medio Evo è ricordata siccome il lustre. Ond'è che a schiarire viemeglio siffatta questione giudico conveniente riportare alcune parole, che fece in proposito il signor Filippo de Romanis: « Opinò il signor » Pelli, che il passo del XV dell' Inferno, Faccian le bestie fie» solane strame ec., non sia abbastanza chiaro per concludere >> che la famiglia degli Elisei fosse d'origine romana. Ma se » quella pianta, in cui rigermogliava la stirpe romana, non >> si prendesse per la famiglia degli Elisei, non si scorge di

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» qual' altra Brunetto potesse intendere, e l' allusione rimar>> rebbe senza un soggetto determinato. All' incontro da tutto >> il contesto si rileva, che Dante in quel tratto volle distin» guersi e per origine e per costumi, dai concittadini suoi » nemici. Perciò mise in opposizione gli lazzi sorbi col dolce » fico, così la gente avara e superba con un cittadino che la » fortuna serba a tant' onore da essere infine desiderato >> da' suoi persecutori medesimi; e così finalmente mise i >> Fiorentini venuti da Fiesole, che chiama bestie fiesolane, in >> confronto degli altri di origine romana. Simile distinzione » tra i Fiesolani e Romani, col biasimo dei primi ed encomio » de' secondi, ci sforza a concludere che Dante, modestamente » sì, ma con sufficiente chiarezza, volesse dichiararsi romano » d'origine per bocca del suo maestro Brunetto: e chiunque >> sostenesse il contrario, verrebbe a dire che il divino Poeta >> si fosse posto da sè stesso nel numero delle bestie fiesolane, » quantunque Brunetto gl' inculcasse di forbirsi da' lor co»stumi, il che includerebbe un' assurdità manifesta ed ine» scusabile. Che poi quel passo così vada inteso, lo affermano » più accreditati scrittori; fra gli altri Giannozzo Manetti, » Leonardo Bruni, Ugolino Verino..... E il detto loro si ac>> corda coll' asserzion del Boccaccio, che quest' Eliseo tra li >> novelli abitatori fosse stato ordinatore della riedificazione » della città, e datore al nuovo popolo delle leggi, secondo » che la fama del suo tempo ne faceva testimonianza. >>

Ma che si prova per queste parole del De Romanis? Ben si prova che, poichè Firenze avea avuto origine da famiglie. romane e fiesolane, Dante riteneasi e gloriavasi discendere da una delle prime, e rifiutava la comunanza colle seconde. Ma che la famiglia degli Elisei, da un ramo della quale discesero gli Alighieri, fosse in prima origine derivata da' Frangipani di Roma, come si prova, quando le autorità stesse da questo scrittore invocate non fanno che emettere una semplice opinione? Il Boccaccio dice che Eliseo venne in Firenze con Carlo Magno (an. 781-800); il Pucci dice posteriormente, cioè verso l'anno 833; Filippo Villani non sa diffinire se

venisse dum Florentiæ civitas per Cæsarem conderetur, ovvero se cum Karolo Magno una adfuit. E Leonardo Bruni, dopo aver detto, gli antichi di Dante essere stati di quelli Romani, che posono Firenze, aggiunge (e si noti bene), che questa cosa è molto incerta, e secondo mio parere niente altro è che indovinare. E noi conveniamo pienamente in questa sentenza.

Lasciando pertanto da parte le favole del Malispini e d' altri nostri antichi scrittori, e alle tradizioni popolari prestando solo quel tanto di fede, che può esser consentito da una critica circospetta, dirò che quello che vi ha di certo intorno gli antenati di Dante Alighieri si è, che essi dapprima chiamaronsi Elisei. Ebbero essi castella in contado e torri in città, che si tenevano come distintivi di potenza: le loro case erano poste (secondo che dice il Malispini, e che vien confermato dalle antiche memorie) innanzi il principio del sestiere di Por' san Pietro, in via degli Speziali grossi,10 detta pur oggi degli Speziali: la quale è quella che taglia la via Calzaiuoli quasi a mezzo, e dopo breve tratto conduce in Mercato vecchio. Nell' 800 un messer Eliseo Elisei fu fatto cavaliere da Carlo Magno, e un Ansaldo Elisei fu nel 1019 scelto insiem con altri gentiluomini a tener compagnia all' imperatore Arrigo II per tutto quel tempo, ch' ei si trattenne in Firenze. 12 Nella discordia sorta nella città per l'uccisione di Buondelmonte (anno 1215) gli Elisei si misero dalla parte de' Ghibellini,13 e dalla parte loro (secondo che il Malispini racconta) continuarono a tenersi al tempo di Federigo II verso l'anno 1248; e dalle proprie torri combattevano contro i Pazzi e i Donati. Ma la loro potenza cominciò a decadere dopo le sventure degl' Imperiali a Benevento e a Tagliacozzo, essendochè alcuni di detta famiglia, come messer Arrigo cavaliere, insiem con Liseo e Bonaccorso suoi figli, furono nel 1268 dichiarati ribelli, e sottoposti alla confisca de' beni.15

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Nelle antiche carte trovansi più volte nominati Lisei de arcu pietatis,16 ed anche rispetto a ciò ne informa il Malispini, che i Lisei furono antichi gentili uomini, ed era da casa loro ab antico una volta, che si chiamava la volta della mi

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sericordia, che tenea dall' una via all' altra: "7 che qual uomo andasse alla giustizia, o avesse meritato morte, essendo sotto, era franco da ogni persona. La famiglia degli Elisei sembra che s' estinguesse in Leonardo di messer Buonaccorso, di cui resta il testamento fatto nel 1371, poichè dopo quest' anno non se ne incontra più memoria alcuna.18

Non stimo inopportuno il dar qui appresso le armi de' Frangipani, degli Elisei e degli Alighieri, delle quali nella prima e nell' ultima è cosa curiosa il riscontrare una somiglianza, se non ne' colori, nella forma: ond' è tanto più da scusarsi il nostro Poeta, se, fondandosi pur su di essa, riteneasi originato da quell' antica famiglia.

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