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« Tutto il concetto dell'Alighieri, opina il Gaiter, è compreso in questa celebre apostrofe:

Ahi serva Italia, di dolore ostello,

Nave senza nocchiero in gran tempesta,

Non donna di provincie, ma bordello!
(Purg. VI, 76).

L'antitesi di questa apostrofe è il desiderio supremo dell'Alighieri. »

Vuolsi che la Commedia fosse dall'Alighieri cominciata in latino, ma che ben presto, trascurata la parte già scritta, la ricominciasse in lingua volgare; e ciò, secondo il Boccaccio, per due ragioni: per riuscire più largamente utile facendosi intendere anche agli idioti e così. mostrando la bellezza del nostro volgare e la sua eccellente arte in quello; e inoltre per acquistare quella gloria che, a causa della generale ignoranza, vedeva essere venuta meno agli antichi solenni poeti. Secondo un'altra tradizione riferita dal Boccaccio medesimo, i primi sette canti li avrebbe scritti quando era ancora. a Firenze, e qui sarebbero rimasti per qualche tempo ignorati dopo il suo esilio, poi rinve-. nuti, gli sarebbero stati mandati da Dino Frescobaldi, con preghiera di continuare. Ma il racconto è del tutto favoloso, e il Boccaccio stesso dichiara di non prestarvi fede alcuna, notando anzi che, nel canto sesto, Ciacco fiorentino predice a Dante la rovina della parte

bianca e il trionfo della parte nera, fatti dei quali l'esilio del poeta fu una conseguenza immediata. Dante, fino agli ultimi anni, della sua vita, lavorò intorno alla sua Commedia, la quale vuolsi sia stata da lui incominciata (almeno in quella forma, in cui l'abbiamo) circa il 1304.

La ragione, per cui fu dato il titolo di Commedia al poema sacro, è spiegata da Dante stesso, nell' Epistola a Cangrande della Scala, cui dedicò (1) la cantica del Paradiso. « È la commedia un certo genere di poetica narrazione, da tutti gli altri differente: differisce appunto, quanto alla materia, dalla tragedia per questo che la tragedia nel principio è mirabile e quieta, nella fine o esito è sozza e orribile;... la commedia invece incomincia con qualche cosa. di avverso, ma la sua materia termina felicemente... Similmente differiscono nel modo del parlare: la tragedia parla in modo alto e sublime, la commedia in modo dimesso ed umile... E perciò appare che Commedia è detta la presente opera; poichè, se guardiamo alla materia, da principio è orribile e sozza, perchè inferno, in fine lieta, desiderabile e grata, perchè paradiso; e quanto al modo del parlare, è dimesso ed umile, perchè è il linguaggio volgare, nel quale anche le femminette conversano.”

(1) La cantica dell'Inferno, secondo il Boccaccio, fu dedicata a Uguccione della Faggiuola, e quella del Purgatorio a Moroello Malaspina, marchese di Villafranca.

La Commedia, ch'è forse la più eccelsa manifestazione artistica dell'ingegno umano, sia perchè vi avea posto mano e cielo e terra, sia per l'eccellenza dell'opera, cominciò ad avere il titolo di Divina nella edizione curata da L. Dolce (Venezia, 1555). (1)

« Il soggetto, dice Dante stesso, di tutta l'opera, secondo la sola lettera, è lo stato delle anime dopo la morte, preso semplicemente... Ma ove questo prendasi nell'allegoria, il soggetto n'è l'uomo, in quanto per la libertà dell'arbitrio meritando o demeritando, è sottoposto alla giustizia di premio o di pena. "

Egli non attribuisce la cagione del bene e del male solamente all'influenza delle stelle, come se necessariamente dipendessero dai movimenti celesti tutte le azioni umane; poichè tale influenza si limita a suscitare nell'animo dell'uomo i primi movimenti, i primi appetiti, nè pur tutti, perchè gli atti dell'intelligenza e della volontà non sono soggetti a tale influsso. Quale sia lo scopo del Poema lo dice egli stesso: « Fine del tutto e di ciascuna parte è di rimuovere dallo stato di miseria quelli, che nella presente vita vivono, e guidarli allo stato di felicità : quindi la Divina Commedia, presa. allegoricamente, è l'immagine della vita umana.

(1) Il Poeta cominciò ad avere il titolo di divino nel Commento in volgare di Cristoforo Landino, pubblicato in Firenze il 1481.

nei tre stati del vizio, dell'emendazione e della perfezione.

Quasi in tutte le religioni troviamo il concetto: che alla colpa sia destinata la pena ed al bene il guiderdone. Anche nelle letterature classiche esso trovasi accennato. I famosi Misteri Eleusini erano rappresentazioni della finalità delle azioni umane. Virgilio fa scendere Enea nell' Averno, come Omero v'aveva fatto scendere Ulisse, e vi distingue diverse pene, secondo le diverse colpe, svolgendovi ampiamente le dottrine platoniche sulla vita futura. Questo concetto sorse tra gli uomini, dall'osservare che le colpe non erano quaggiù giustamente punite ed il bene non ricompensato, onde avvisarono che, dopo la morte, dovea esservi un luogo di giustizia. Propagatosi il cristianesimo, questo sentimento divenne più generale, più potente, più vivo.

Nel medio evo era predominante il sentimento religioso, e al grido di Dio lo vuole re e imperatori, principi e prelati, vecchi e donzelle accorrevano in Palestina a liberare il gran Sepolcro di Cristo. Allora si cercava pace ed oblio nei monasteri, e si nutriva l'animo del pensiero della morte, della meditazione dell'altra vita. Questo misticismo nel popolo veniva alimentato dalle visioni, che rappresentavano questo mondo contemplativo. Bisogna distinguerle in tre periodi. Il primo periodo fu opera dei frati,

che, rinchiusi in luoghi, ove maceravano il corpo con cilizj, penitenze e digiuni, lungi dai rumori del mondo e dalle tentazioni della carne, immersi continuamente nel pensiero della vita futura, descrivevano in modo strano e terribile le pene riserbate a' malvagi. Lo scopo delle visioni, in questo periodo, è dunque puramente religioso. Nel secondo periodo, ai tempi dei Carolingi, la Chiesa e l'Impero erano nel massimo splendore. Nel medio evo, il cui carattere fu la vita del cristianesimo e della Chiesa che lo rappresentava, i prelati adoperavano una forma con cui spaventavano i Cristiani, che non trovavano altro mezzo di salvazione se non nel fuggire i piaceri mondani, e ritirarsi a vita claustrale, dopo aver fatto grandi donativi alla Chiesa. Lo scopo di queste visioni è schiettamente politico. A questo periodo succede il terzo ch'è di reazione contro il papato, ed è il periodo più bello e più splendido del medio evo, perchè in questa confusione di sacro e di profano traspare una nuova civiltà. I poeti provenzali, esuli da Provenza, devastata dalle armi dei Crociati, covavano un odio. mortale contro il papa, e, non potendo lottare apertamente, si valsero della satira e delle apparizioni ed anch'essi inventarono luoghi di punizione, dove posero papi, cardinali e prelati.

Nel medio evo, queste rappresentazioni erano entrate finanche negli spettacoli popolari, e, a

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