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non seppe tenersi dal musicare alcune terzine della Francesca.

Non vi ha forma d'arte o di scienza elaborata prima di Dante, che la mente di lui non comprenda ed esprima in una forma nuova e splendida; perciò egli non è soltanto sommo poeta, ma anche sommo scienziato. Filosofia, fisica, metafisica, fino le più alte speculazioni teologiche, storia, tradizioni, tutto abbraccia la sua opera immortale, la quale, di natura tutta propria da non potersi comprendere negli altri generi di componimenti poetici, è e resterà il primo e più grande monumento della lingua e letteratura italiana. « Dante, dice il Carducci, non ebbe successori in integro. Egli discese di paradiso portando seco le chiavi dell'altro mondo, e le gittò nell'abisso del passato: niuno le ha più ritrovate. "

L'INFERNO

Non è da maravigliare se, appena formato per opera dei figli di Dante, Pietro e Jacopo, il primo esemplare compiuto della Commedia, i dotti impresero a chiosarla; fra i quali vanno ricordati Jacopo della Lana, bolognese, il Boccaccio che, per pubblico decreto (a. 1373), la spiegò nella Chiesa di Santo Stefano in Firenze, Benvenuto da Imola in Bologna e Francesco da Buti in Pisa. I giovani e perfino la plebe n' andavano, per le pubbliche vie, recitando e cantando i versi; e il Boccaccio racconta, che le donnicciuole di Verona, nella loro superstizione, tenevano per vero il fantastico viaggio dell'Alighieri, tanto allora era popolare il concetto della visione dantesca.

Nell'Inferno, regno del dolore, la vita terrena è rappresentata tal quale, le ombre paiono vive battono i denti, fremono, piangono, imprecano. Nel Purgatorio, regno della speranza, vi è meno plasticità; nelle ombre si sente lo spirito che, gemendo, anela al Cielo. Nel Pa

radiso, regno della beatitudine, l'ideale si fa più parvente; alle ombre, sempre più luminose e diafane, nulla resta più di umano. « I tre mondi (osserva il Fornari) visitati dal poeta in visione sono tutto il mondo di qua, visto nella sua verità nuda, visto fuori del polveroso turbinio che ora l'offusca, visto non già nelle foglie caduche, ma nell'eterno frutto delle azioni nostre. Ivi tu vedi che cosa è la vita di un uomo quaggiù, e apprendi che la è un sacrifizio, in cui il corporeo si brucia e lo spirito emerge lucido e trasparente. "

La favola del viaggio dantesco, rispetto alla cui durata variano le opinioni, è la seguente:

Dante (che è simbolo dell'umanità fuorviata) immagina d'essersi ritrovato (1), nell'età di 35 anni, forse nella notte del 24 al 25 marzo o, secondo altri, nella prima diecina del seguente aprile del 1300, anno del Giubileo, in una selva selvaggia ed aspra e forte, simboleggiante la vita viziosa. Dopo d'essersi aggirato la notte, impaurito, in essa, si avvia, col sincero proponimento di emendarsi, appiè di un colle (la vita virtuosa), illuminato dai raggi del pianeta (Ordine e Giustizia), Che mena dritto altrui

(1) Dante si smarri moralmente dopo la morte di Beatrice avvenuta nel giugno del 1290, disviando dietro ai piaceri terreni (ved, Purg. XXX, 124 e segg.); nel 1300 si avvide dello smarrimento.

per ogni calle. (1) Pieno di speranza e di fiducia, si prova a salirlo, ma una lonza, un leone ed una lupa, simboleggianti rispettivamente la lussuria (2), la superbia e la cupidigia, gli attraversano il cammino, e, abbandonata perciò la speranza dell'altezza, sta per ritornare nella selva, singolarmente innanzi alla lupa. Allora scorge l'ombra di Virgilio (3) (la ragione, la scienza umana ), il quale, propostogli il viaggio per i tre mondi, come unico mezzo per esser « di servo tratto a libertate ", non potendosi conseguire beatitudine senza che prima non si conosca la natura e gli effetti del male, si offre a Dante come guida, durante il viaggio dell'Inferno e del Purgatorio, d'onde Beatrice lo condurrà nel Paradiso.

Alle tre fiere si contrappongono le tre donne celesti: Beatrice, la teologia, la scienza divina, Lucia, la grazia illuminante, e, secondo alcuni interpetri, la divina giustizia, Maria, la divina misericordia.

(1) Secondo altri, il pianeta simboleggia Iddio, fonte di verità.

(2) Altri interpetri ritengono che la lonza simboleggi l'invidia. Il Casella, giovandosi d'ingegnosi riscontri coi canti XI e XVI dell'Inf., vide nelle tre fiere la frode (lonza), la violenza (leone), la incontinenza (lupa).

(3) Virgilio, nato in Andes (oggi Pietole-Virgilio) presso Mantova nel 70 e morto nel 19 av. C., cantò nell' Eneide le origini dell'Impero romano,

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