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Adunque dico che la Canzone proposta è contenuta da tre parti principali. La prima è il primo verso di quella, nella quale s'inducono a udire ciò che dire intendo certe intelligenze, ovvero per più usato modo volemo dire Angeli, li quali sono alla revoluzione del cielo di Venere, siccome movitori di quello. La seconda è li tre versi che appresso del primo sono, nella quale si manifesta quello che dentro spiritualmente si sentiva intra diversi pensieri. La terza è il quinto, ed ultimo verso nella quale si vuole l'uomo parlare all'opera medesima, quasi a confortare quella. E queste tutte tre parti per ordine sono, com'è detto di sopra, a dimostrare.

rità,

GAPITOLO III.

A più latinamente vedere la sentenza litterale, alla quale ora s' intende, della prima parte sopra divisa è da sapere chi e quanti sono costoro che sono chiamati alla udienza mia; e qual è questo terzo cielo, il quale dico loro muovere. E prima dirò del cielo; poi dirò di loro, a cui io parlo. E avvegnachè quelle cose, per rispetto della veassai poco sapere si possono, quello tanto, che l'umana ragione ne vede, ha più dilettazione, che 'l molto e 'l certo delle cose, delle quali si giudica per lo senso; secondo la sentenza del Filosofo, in quello degli Animali. Dico adunque che del numero de'cieli e del sito diversamente è sentito da molti; avvegnachè la verità all'ultimo sia trovata. Aristotile credette, seguitando solamente l'antica grossezza degli astrologi, che fossero pure otto cieli, delli quali lo estremo, e che contenesse tutto, fosse quello dove le stelle fisse sono, cioè la spera ottava; e che di fuori da esso non fosse altro alcuno. Ancora credette che il cielo del Sole fosse immediato con quello della Luna, cioè

secondo a noi. E questa sua sentenza così erronea può vedere chi vuole nel secondo di Cielo e Mondo, (ch'è nel secondo de'Libri naturali). Veramente egli di ciò si scusa nel duodecimo della Metafisica, dove e' mostra bene sè avere seguito pur l'altrui sentenza là dove d'astrologia gli conviene parlare. Tolommeo poi, accorgendosi che l'ottava spera si muovea per più movimenti, veggendo il cerchio suo partire dal diritto cerchio, che volge tutto da oriente in occidente, costretto da principii di filosofia, che di necessità vuole un primo mobile semplicissimo, puose un altro cielo essere fuori dello Stellato, il quale facesse quella revoluzione da oriente in occidente; la quale dico che si compie quasi in ventiquattro ore e quattordici parti d'un’altra delle quindici, grossamente assegnando. Sicchè, secondo lui e secondo quello che si tiene in astrologia e in filosofia (poichè quelli movimenti furono veduti) sono nove li cieli mobili: lo sito de' quali è manifesto, e determinato, secondo che per un'arte, che si chiama prospettiva arismetica e geometrica, sensibilmente e ragionevolmente è veduto, e per altre sperienze sensibili; siccome nello ecclissi del Sole appare sensibilmente la Luna essere sotto il Sole; e siccome per testimonianza d'Aristotile, che vide cogli occhi, secondochè dice nel secondo di Cielo e Mondo, la Luna, essendo nuova, entrare solto a Marte, dalla parte non lucente, e Marte stare celato tanto che rapparve dall'altra lucente della Luna ch'era verso occidente.

CAPITOLO IV.

Ed è l'ordine del sito questo, che 'l primo che numerano è quello dov'è la Luna: lo secondo è quello dov'è Mercurio: lo terzo è quello dov'è Venere: lo quarto è

quello dov'è il Sole: lo quinto è quello dov'è Marte: lo sesto è quello dov'è Giove: lo settimo è quello dov'è Saturno: l'ottavo è quello delle stelle: lo nono è quello che non è sensibile se non per questo movimento che è detto di sopra, lo quale chiamano molti Cristallino, cioè diafano, ovvero tutto trasparente. Veramente, fuori di tutti questi, li Cattolici pongono lo Cielo Empireo, che è a dire Cielo di fiamma, ovvero luminoso; e pongono, esso essere immobile, per avere in sè, secondo ciascuna parte, ciò che la sua materia vuole. E questo è cagione al primo mobile per avere velocissimo movimento; che per lo ferventissimo appetito che ha ciascuna parte di quello nono Cielo, che è immediato a quello, d'essere congiunta con ciascuna parte di quello Cielo divinissimo, Cielo quieto, in quello si rivolve con tanto desiderio, che la sua velocità è quasi incomprensibile e quieto e pacifico è lo luogo di quella somma Deità che sè sola compiutamente vede. Questo luogo è di Spiriti beati, secondo che la santa Chiesa vuole, che non può dire menzogna: e Aristotile pare ciò sentire, chi bene lo 'ntende, nel primo di Cielo e Mondo. Questo è il sovrano edificio del Mondo, nel quale tutto il Mondo s' inchiude; e di fuori dal quale nulla è: ed esso non è in luogo, ma formato fu solo nella prima Mente, la quale li Greci dicono Protonoe. Questa è quella magnificenza, della quale parlò il Salmista quando dice a Dio: « Levata è la magnificenza tua sopra li Cieli. » E così, ricogliendo ciò che ragionato è, pare che dieci Cieli siano, de quali quello di Venere sia il terzo; del quale si fà menzione in quella parte che mostrare intendo. Ed è da sapere che ciascuno Cielo, di sotto del Cristallino, ha due poli fermi, quanto a sè: e lo nono gli ha fermi e fissi e non mutabili, secondo alcuno rispetto: e ciascuno, si lo nono come gli altri, hanno un cerchio, che si puote

છે

chiamare Equatore del suo Cielo propio; il quale egualmente in ciascuna parte della sua revoluzione è rimoto dall'uno polo e dall'altro, come può sensibilmente vedere chi volge un pomo, od altra cosa tonda. E questo cerchio ha più rattezza nel muovere, che alcuna parte del suo Cielo, in ciascuno Cielo, come può vedere chi bene considera; e ciascuna parte, quant'ella è più presso ad esso, tanto più rattamente si muove; quanto più rimota e più presso al polo, più è tarda, perocchè la sua revoluzione è minore, e conviene essere in uno medesimo tempo di necessitade colla maggiore. Dico ancora che quanto il Cielo è più presso al cerchio Equatore, tanto è più nobile per comparazione alli suoi poli; perocchè ha più movimento e più attualitade e più vita e più forma, e più tocca di quello che è sopra a sè, e per conseguente più virtuoso. Onde le stelle del Cielo stellato sono più piene di virtù tra loro, quanto più sono presso a questo cerchio. E in sul dosso di questo cerchio nel Cielo di Venere, del quale al presente si tratta, è una speretta che per sè medesima in esso Cielo si volge; do cerchio della quale gli astrologi chiamano epiciclo: e, siccome la grande spera due poli volge, così questa piccola: e così ha questa piccola lo cerchio Equatore: e così è più nobile, quanto è più presso di quello: e in su l'arco, ovver dosso di questo cerchio, è fissa la lucentissima Stella di Venere. E avvegnachè detto sia essere dieci Cieli, secondo la stretta verità questo numero non li comprende tutti; chè questo di cui è fatta menzione, cioè l'epiciclo, nel quale è fissa la Stella, è uno Cielo per sè, ovvero spera; e non ha una essenza con quello che 'l porta, avvegnacbè più sia connaturale ad esso che agli altri, e con esso è chiamato uno Cielo, e dinominausi l'uno e l'altro dalla Stella. Come gli altri Cieli e le altre stelle sieno non è al presente da trattare;

basti ciò ch'è detto della verità del terzo Cielo, del quale al presente intendo, e del quale compiutamente è mostrato quello che al presente n'è mestiere.

CAPITOLO V.

Poich'è mostrato nel precedente Capitolo quale è questo terzo Cielo, e come in sè medesimo è disposto, resta a dimostrare chi sono questi che 'l muovono. È adunque da sapere primamente che li movitori di quello sono sustanze separate da materia, cioè Intelligenze, le quali la volgare gente chiamano Angeli: e di queste creature, siccome delli Cieli, diversi diversamente hanno sentito: avvegnachè la verità sia trovata. Furono certi filosofi, dei quali pare essere Aristotile nella sua Metafisica (avvegnachè nel primo di Cielo e Mondo incidentemente paia sentire altrimenti), che credettero solamente essere tante queste, quante circolazioni fossero nelli Cieli, e non più; dicendo che l'altre sarebbono state eternalmente indarno, sanza operazione; ch'era impossible, conciossiacosachè il loro essere sia loro operazione. Altri furono, siccome Plato uomo eccellentissimo, che puosono non solamente tante Intelligenze, quanti sono li movimenti del Cielo, ma eziandio quante sono le spezie delle cose, cioè le maniere delle cose; siccome una spezie tutti gli uomini, e un'altra tutto l'oro, e un'altra tutte le larghezze, e così di tutto: e vollero che, siccome le Intelligenze de' Cieli sono generatrici di quelli, ciascuna del suo; così queste fossero generatrici dell'altre cose ed esempli ciascuna della sua spezie: e chiamale Plato Idee, ch'è tanto a dire, quanto forme e nature universali. Li Gentili le chiamano Dei e Dee; avvegnachè non così filosoficamente intendessero quelle, come Plato: e adoravano le loro immagini, e facevano loro

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