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altro ancora indecisa la questione suscitata dal Caix in un suo dotto articolo della Nuova Antologia, se cioè il contrasto di Ciullo sia veramente una imitazione delle romanze e delle pastorelle provenzali e francesi (1). Poichè forse in questa controversia ebbe la critica a scostarsi alquanto dal metodo positivo, ed operando un po' passionatamente esagerò in favore della sua tesi l'importanza di certi fatti. Chi ad esempio licenziò il Caix a sostenere che l'autore del contrasto dovesse essere un poeta della corte di Giovanni di Brenna, rimasto in Italia fino al 1229 ed autore di pastorelle? (2). Chi lo spinse a concludere, dalla semplice osservazione che le parole più corrotte escono dalla bocca della donna e le più pure da quella dell'uomo (osservazione che, come riconosce egli stesso, si applica solo a pochissimi casi); chi lo spinse a concludere esser l'uomo un nobile signore e la donna niente più di una villana? (3). Da che dedusse egli infine che l'uomo del contrasto non sia altri che l'autore? (4). Certamente dalla sua intima persuasione soltanto, come il Niebhur la propria teoria sui Pelasgi. A me sembra molto poco fondata la ipotesi del

(1) CAIX, Ciullo d'Alcamo e gli imitatori delle romanze e pastorelle provenzali e francesi, in N. Antologia del nov. 1875, p. 477.

(2) CAIX, Ancora del contrasto di Ciullo d'Alcamo (Risposta al PARIS ed al BARTOLI), in Rivista Europea del maggio 1876, p. 547.

(3) CAIX, Il contrasto di Ciullo d'Alcamo ristampato da A. D'Ancona, in Rivista di Filologia romanza, vol. II, p. 177. - Cfr. la re cente confutazione del D'OVIDIO, Saggi critici, p. 474-478.

(4) CAIX, Artic. cit. della N. Antologia.

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D'Ancona di una derivazione del contrasto di Ciullo dalli antichi canti amebei (1), sia perchè la natura ne è molto diversa, sia perchè i secoli oscurissimi del medioevo non potevano che impedire una simile continuità della poesia popolare. Ma molto meno verosimile mi riesce l'opinione del Caix, il quale scrisse: « Come questa è opera di un poeta di corte, che cerca imitare un genere popolare, così la sua lingua ha ‹ le frasi, le rime e le espressioni dei poeti cortigiani, « miste a frasi e parole volgari; e poichè il modello «che imitava era francese, così egli si lasciò andare « fino ad accogliere parole del tutto francesi. » Che la forma sia in molta parte francese e provenzale lo mostrò molto bene il Corazzini, il quale esorbitò a sua volta deducendone non esser altro il componimento di Ciullo che una poesia d'arte (1). Ma da questa simiglianza nella forma alla conclusione che tutto il contrasto sia una imitazione delle pastorelle, dettata da un verseggiatore cortigiano, ci corre, come vedete, di molto. Mancano le prove storiche, onde bisogna ricorrere, più che ad altro, alle prove psicologiche. Io spero quindi, che esaminando brevemente la poesia di Ciullo, si possano stabilire parecchi fatti interes

(1) Ediz. cit., app. I.

(2) CORAZZINI, Del contrasto di Ciullo d'Alcamo, in Propugnatore del 1876 (vol. IX, P. I, p. 373). Cfr. eziandio l'articolo del MUSSAFIA, intorno la ediz. del sirventese di Ciullo fatta dal GRION (Padova, 1858), nel Jahrbuch für romanische und engl. lit. (an. 1859), vol. I, Kritische Anzeigen, p. 112, e quanto scrive il GASPARY, Op. cit. p. 123-126.

santi, sia per la natura dell'amore siciliano, sia per la qualità della lirica.

Spira in tutta quanta questa poesia una certa rozzezza di sentimento, che non è affatto confondibile. con la rozzezza della forma. L'amore rozzo confina naturalmente, seppure non si confonde, con l'amore sensuale, giacchè la forma più umanamente rozza della manifestazione amorosa è la sensualità. Anche fra i provenzali avea luogo talvolta una forma rude di sensualismo, specialmente nelle pastorelle ed eziandio in qualche canzone: e a questo proposito vi prego di richiamare alla memoria i versi con cui si chiude il breve contrasto di Alberto Malaspina:

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D'ordinario per altro il sensualismo trovadorico è inverniciato cortigianescamente, nè vi ho trovato mai un concetto così passionato insieme e fiero come quello dell'uomo di Ciullo:

Se tu nel mare gittiti,
Donna cortese e fina,

Direto mi ti misero

(1) RAYNOUARD, Choix, vol. III, p. 163.

Per tutta la marina;
Poi che annegasseti,

Trobareti a la rina

Solo per questa cosa ad impretare :

Con tico m'ajo a jungere o 'mpiccare;

e la donna, che non è certo una ingenua, risponde:

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Or d'onde mai poteva uscire un concetto simile, se non dal popolo? E badisi che io non intendo di guisa alcuna contraddire a quanto scrissi poco fa circa la voluttà siciliana. Lo stesso contrasto di Ciullo, in cui si monta tutta la scala dei desideri amorosi, dal sospiro gentilissimo della prima strofa e dal pensiero ingenuamente onesto della diciannovesima,

Molti son li garofani,

Che a casata mandai:
Bella, non dispregiaremi

Se avanti non m'assai;

alla idea feroce dello stupro; lo stesso contrasto, ripeto, ha in tutto il suo insieme quella cert' aria di bonomia voluttuosa e primitiva, che è caratteristica della lirica siciliana. La risoluzione dell' amante che crudamente confessa:

Di quaci non mi movera,

Se non aio dello frutto,

Lo quale stae nello tuo jardino :
Disiolo la sera e lo mattino,

non ha certo nulla che fare con le frasucce di convenzione, che celano il sensualismo nella poesia provenzale. Confrontate, se volete, questa vergine espressione popolare con un'altra poesia siciliana, del genere aulico, il contrasto di Mazzeo Ricco (1), od anche col breve sonetto-tenzone di Rustico di Filippo (2), in cui veramente l'influsso della corte si fa sentire in ogni espressione, e vedrete quanto vi passi. Similmente la religione, che campeggia in tutto il componimento, da quando la donna risponde risoluta alla dichiarazione dell'amante:

Lo mar potresti arrompere

Avanti a semenare,

L'abere d'esto secolo

Tutto quanto assembrare,

Avereme non poteria esto monno:
Avanti li cavelli m'arritonno;

fino alla strofa trentunesima, in cui l'uomo giura sul Vangelo, ha una espressione candida, senza affettazioni, rozza essa pure qualche volta, fino al punto che alcuni vi vollero veder sotto della incredulità, del disprezzo per le cose sacre, e, pronti sempre a far delle deduzioni, spiegarono la cosa riflettendo che la canzone fu scritta regnante l'incredulo Federigo II (3).

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(3) Vedi HASSEK, La lirica italiana nel XIII secolo (Trieste, 1875), e quello che più fa meraviglia il BARTOLI nei Primi due secoli, cap. IV, § 1.

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