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più robuste ed avvezzare nello stesso tempo il popolo a mirarle senza offesa; ma tale costume fu di breve durata.

In Acaja, siccome narra Pausania (1), s'introdussero alcuni giuochi i quali celebravansi di notte in onore di Bacco, girando i giuocatori con fiaccole accese per la città in traccia dei barili che ripieni di generoso vino venivano riposti in varj luoghi della città stessa, col quale s'inebbriavano e si abbandonavano ad ogni sorta di eccessi. Queste feste celebravansi una sola volta all' anno, in ottobre, e continuavano sette giorni, nel qual tempo uomini e donne radunavansi in un bosco dedicato a Cerere, dove s'intrattenevano gli uni e le altre con una infinità di giuochi; ma nel terzo giorno, verso il tramonto del sole, tutti entravano nel tempio. Allora le donne incoraggiate, colla forza e col disprezzo, cacciavano fuori tutti gli uomini. Durante la notte onoravano la loro Dea con alcuni sacrifizi i quali continuavano fino allo spuntare dell'aurora; nel qual tempo lasciavano rientrare nel tempio gli uomini; ma li maltrattavano con ingiurie e strapazzi, per lo che nel decorso degli ultimi quattro giorni succedevano lotte terribili, quali si possono figurare più infievolite tra uomini e donne, che terminavano sempre con sanguinose scene nel settimo ed ultimo giorno.

Anche i Lacedemoni e Colofonj una volta ogni anno radunavansi insieme formando due schiere, ciascuna delle quali aveva alla testa un majale, o porco domestico, che si contendeva; allora cominciava la lotta simultanea, e quella parte che rimaneva vittoriosa della lõtta e del majale, formava a sua scelta una nuova schiera, tratta sempre dai più robusti, la quale nel seguente giorno, nel punto meridiano, dopo il sacrifizio offerto ad Achille, andava in una piccola isola ben coperta di platani, e disposti i rivali nel luogo toccato in sorte, ivi cominciavano a due a due la lotta, la quale nel calore della pugna univa tutti insieme i lottatori, battendosi alla rinfusa con pugni e calci, cercando gli uni cacciar gli altri nell'acqua.

(1) Lib. VII.

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§ 4.

Mirmillone.

Alla lotta apparteneva parimenti il giuoco del mirmillone, così chiamato dal greco Muços mormyros, che suona quanto pesce, il quale portavasi sull' elmo di chi s'esponeva a questo giuoco, vestito con tunica corta, avente in mano una spada ed uno scudo per difesa; ma era obbligo dell' avversario di tenere la testa ignuda portando un tridente d'acciajo nella sua destra ed una rete nella sinistra, colla quale inseguendo il mirmillone doveva invilupparlo, ed allora con duri colpi del suo tridente percuotendogli il capo, troncare la vita all' infelice in segno del barbaro suo trionfo.

§ 5.

Pugillato.

Il pugillato era un combattimento sostenuto a colpi di pugno, d'onde prese la denominazione, escludendosi ogni arma offensiva: eppur fra i combattimenti ginnici il pugillato era de' più fieri, poichè oltre il rischio di restare storpiati, gli atleti correvano quasi sempre pericolo di perder la vita. Ammessi i pugillatori, scelti i rivali ed intimate le leggi, coprivansi sino all' orecchio con berretto di rame chiamato celata; e coperte le mani con certe armi offensive dette cesti (1), prendevano posizione a certa distanza segnata da una pietra, attendendo con impazienza il segno della zuffa; ed ecco allo squillo di tromba ginnastica, sordo mormorio facevasi sentire, simile allo strepito di una tempesta di colpi, foriero di decisivo cimento; indi al prescritto loco ritornando guardavansi l'un l'altro in faccia, spiando l'istante di piombare sull'avversario. Figuratevi nervoso mo

(1) I cesti erano composti di funicelle o cuojo fortificato con lamine di metallo. AMATI. Ricer. St. T. III.

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vimento di braccia, di fianchi, di lombi, che rapidi suecedonsi senza interruzione: ma il momento non è ancora: e tra tale incertezza passano, pieni di ferocia, ore intiere; quand' ecco uno dei pugillatori cogliendo opportuno l'istante, piomba di brocco sull' avversario, e con colpo misurato da polso di battaglia, fa ribombar dal batta, pallido fianco sordo rumore: quegli allora dalla forza del dolore riarso, ancor più fiero colpo impiantagli del suo rivale sulla faccia, il quale sebbene sfigurato e di sangue cosparso, tutte richiamando le forze, furioso, placabile, inquieto arde, s' inanimisce, si rinfranca in sè stesso, ed atra percossa di disperazione vibrata, al suo antagonista il fianco apre, che dalla mortal ferita esinanito, lascia in una gloria, tutta di crudeltà ripiena, coronare il vincitore, il quale tutto compiacesi di vendetta sanguinosa e fiera.

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L'immortale Canova, tra le belle opere dell'impareg giabile suo scalpello, fece, direi quasi, continuare la lotta descritta dalla chiarissima Isabella Teotochi Albrizzi dei due Argivi pugillatori espertissimi, Creugante e Damosseno, i quali dopo aver sostenuta per quasi un'intiera giornata una pugna senza frutto di vittoria dall'una delle due parti, finalmente si venne a patti di lanciarsi alternativamente un colpo che della corona decidesse. Chi avesse visto Creugante nell' atto di vibrare il più duro colpo sulla testa di Damosseno, avrebbe creduto decisa la vittoria; ma Damosseno, niente avvilito, si mette in attitudine di renderglielo con estrema forza e valore, e fattosi padrone del rivale, gli intima di levare la destra, che tosto nel fianco il pugno di Damosseno si fe' strada ad estrarre, con brivido di tutti gli astanti, le viscere di sangue cosperse dal boccheggiante infelice pugillatore Creugante; venendo però l'inumano pugillato di Damosseno condannato, ed all'esilio mandato il pugillatore, essendosi decretato l'onore delle statua coronata a Creugante; e ciò fu in conseguenza di una legge che privava dell' onore della corona chi nel pugillato avesse ucciso l'avversario, con castigo più o meno grave, a seconda della maggiore of

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