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Fin qui l'antico romanzo d'Apulejo. Chiunque richiama alla sua mente la storia dei nostri primi progenitori, quale viene descritta da Mosè nella Genesi, vedrà senza fatica e studio cavata la favola di Psiche, ornata colle frasi dai Pagani usitate: non perdiamo dunque di mira la mitologia, e facendola servire all'intento, potremmo così, andando sulle tracce dei libri sacri, confrontarla con quelli; e ritrovatala conforme ai fatti esposti dai medesimi, sebbene diversi sieno i protagonisti, sempre più verremo a convincersi che i Gentili della più rimota antichità studiarono le sante scritture, le sole che per la loro anteriorità aveano potuto avere per esemplari, e che le invenzioni dei poeti e la teologia pagana trassero i materiali di tanti romanzi o favolosi racconti da quell'aureo codice contrassegnato dall' increata Sapienza colla breve, indelebile e maestosa epigrafe VERITAS.

Platone, nel suo Convito, sotto i nomi di Poro, di Venere e di Penia viene a descrivere precisamente la storia di Adamo ed Eva sedotti per l'astuto livore del serpente. Dei demonj, dic' egli, è uno l'amore disordi

nato dei piaceri, di cui l'origine io qui spiegherò. Quando Venere nacque, banchettarono gli Dei, e tra gli altri Poro, figliuolo della Sapienza e del Consiglio. Terminato il solenne convito, Poro essendo entrato nel giardino di Giove, gravato dal sonno dormiva. Or Penia, cioè la Povertà, spinta dal bisogno, se ne stava osservando intorno le porte codesto giardino; e trovato il modo di entrarvi, pensò di concepire un figliuolo di Poro, per lo che appresso a lui si coricò, avendolo scoperto ebbro di nettare, e concepì l'Amore, il quale nacque inclinato al piacere e dedito a Venere. Egli non è nè mendico affatto, nè anche ricco, conservando la natura della madre e del padre, quella sempre bisognosa, questo abbondante. Egli è in parte mortale ed in parte immortale: un prodigioso composto di sapienza, d'ignoranza e di pazzia.

Eusebio (1) vi trovò qui la storia tutta di Adamo; e diffatti sotto il nome di Venere non vi possiamo scontrare che i caratteri della prima donna, e sotto la figura di Poro quelli del primo uomo, che il Consiglio e la Sapienza divina aveano formato collocandolo nel giardino di Dio, cioè nel terrestre paradiso, laddove immisit Dominus Deus soporem in Adam (2). Penia è il serpente, il quale, strisciando, trovò il modo d'introdursi in questo giardino, dove sedusse i primi genitori, nella cui discendenza, schiava delle passioni, formossi quell' ammasso di beni e di mali, di mortalità ed immortalità, di sapienza e d'ignoranza, di grandezza e povertà, che tutto viene al pensiere svelato sotto le note conseguenze di quella colpa che peccato originale chiamiamo.

Il convito descritto qui sopra da quel grande filosofo, posto a confronto della Storia santa, anche con più accurate osservazioni, viene, oltre quanto ho già accennato, a provare colla massima evidenza, che i libri di Mose erano a cognizione dei Greci prima del regno di Alessandro.

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(1) Lib. XH, cap. II della sua Pre- (2) Genes. c. II, v. 20. parazione evangelica.

AMATI. Ricer. St. T. III

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Esiodo, nativo di Asera in Beozia, illustre poeta greco del secolo VIII avanti l'era volgare, che visse IX secoli dopo Mosè, nella favola ch'egli ci dà della Genealogia degli Dei, descrive, direi quasi, colle stesse parole della Genesi il principio e la produzione dell' Universo, del Cielo e della Terra, di Saturno e di Giove, come le prime favolose Deità: Dapprima, così scrive il poeta, altro non esisteva che un caos informe e confuso, dopo il quale apparve la Terra ed appresso il divino Amore. Da questo caos vennero a prodursi le Tenebre e la più oscura delle notti, da cui ebbe il bel principio la luce ed il giorno. Tosto venne in seguito la produzione del Cielo, o Firmamento, tutto ben ornato delle sue stelle; allora comparvero i Mari figliuoli del Cielo e della Terra, e dall' unione di questi nacquero l'Oceano, Rea e Teti. L'ultimo fu Saturno, il quale congiurò contro il Cielo suo padre.

Leggasi il capo primo della Genesi, e ciascuno vi troverà che questa descrizione di Esiodo non è che una imaginosa derivazione della storia della creazione del mondo, lasciata da Mosè; ed essendo il racconto della creazione dell'universo, fatto da questo storico divinamente inspirato, a cognizione anche del meno istrutto nei fasti divini, mi trovo dispensato dal farne l'evidente confronto, sempre convinto, come sono, che le antiche favole fondansi sugli antichi monumenti sacri, divini, e non sono già giuochi dell' imaginazione. Se non che i profani imitatori non cominciarono quella grand' opera della creazione dalla divisione della luce dalle tenebre, come opportunamente fece Iddio nel primo giorno della sua opera intorno a quell' immensa mole di tutti gli elementi composta, ch'egli creò. Poichè senza luce, senza discernimento, niente si può fare di buono al mondo.

Mi astengo parimenti dal riportare altri favolosi racconti relativi alla creazione, riferitici dagli antichi autori della storia de' Caldei, da Abideno, Apollodoro Beroso ed altri, dei quali, sebbene le loro opere siensi perdute in parte, ci rimasero però dei frammenti in Eusebio, in Giuseppe

Ebreo ed in Sincello, i quali non fanno che ripetere, quantunque sotto diversi aspetti, le stesse cose più sopra descritte, con tutte le più minute circostanze riportate dalla Genesi.

I Caldei però descrivendo la storia dei primi loro dieci re, dei quali l'ultimo fu Xissutro, vogliono che sotto la di lui dominazione accadesse il diluvio universale, ed ecco quale ne formano il loro favoloso racconto dedotto perfettamente dai libri santi.

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« Crono o Saturno essendo, com'essi dicono, apparso in sogno a Xissutro, lo ammonì che il quindici del mese Doessio, il genere umano sarebbe distrutto da un diluvio; e gli ingiunse di porre in iscritto l'origine, l'istoria e la fine d'ogni cosa; di ascondere le sue memorie sotterra nella città del Sole, nomata Sippara; di fabbricare quindi un vascello e fornirlo di vettovaglie, di entrarvi egli, i parenti e gli amici, ed accogliervi altresì uccelli e quadrupedi. Xissutro obbedì esattamente; e formato un naviglio di quattro stadj di larghezza e lungo cinque, appena vi si rinchiuse, che la terra fu inondata. Alcun tempo appresso, vedendo le acque diminuite, lasciò liberi alcuni augelli, che non trovando nè cibo, nè luogo ove posarsi, ritornarono a lui. Indi a poco ei ne lasciò andar altri, che sen vennero coi piedi fangosi; ma quelli cui permise il volo la terza volta, più non si videro. Di qui giudicò che la terra cominciasse ad essere bastantemente scoperta. Allora fece nel vascello un'apertura, e scorgendo essere fermo su d'una montagna, ne uscì colla moglie, la figliuola sua ed il pilota; adorò la terra, alzò un altare, sagrificò agli Dei; indi ed egli e quanti lo avevano accompagnato, disparvero. Quelli ch'erano rimasti nella nave, più non veggendolo di ritorno, ne uscirono ed il ricercarono invano. Una voce intanto si fece intendere, che loro diceva che Xissutro aveva meritato per la sua pietà d'essere coi suoi compagni levato al cielo e posto nel numero degli Dei. La stessa voce esor tavali ad essere religiosi e trasferirsi a Babilonia dopo aver disotterrato a Sippara le memorie ivi deposte; la

qual ultima cosa immediatamente eseguita, andarono a fabbricare la città or nominata, e più altre con essa. "

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Questa è una fra le celebratissime tradizioni de' Caldei, la quale viene pure per intiero tratta dai libri santi stando essa perfettamente colla storia narrata da Mosè intorno al diluvio universale. Si osservino in prova nella Genesi i capi VI, VII e VIII, e particolarmente quest'ultimo dal verso 6 al 12, dove parlasi dei volatili che Noè mandò fuori ad esplorare se le acque erano cessate; ed il verso 13 allorchè Noè avendo levato il tetto, mirò e vide che la superficie della terra era asciutta: Et aperiens Noe tectum arco aspexit, viditque quod exicata esset superficies terræ; non che il verso 20, in cui il sacro istorico descrive il sagrificio offerto da Noè, sull'altare inalzato al Signore, con animali ed uccelli mondi: Edificavit autem Noè altare Domino, et tollens de cunctis pecoribus et volucribus mundis obtulit holocausta super altare.

Saturno.

La favola, allorchè parla di Saturno, dice che da Rea o Cibele sua sorella e consorte, e già gran madre della più parte degli Dei, ebbe molti figliuoli; ma Saturno temendo di essere scacciato dal suo trono, divorava i figliuoli da esso procreati. Afflitta la madre per tanta desolazione, impiegò ogni più industrioso stratagema per salvarne alcuni, e n'ebbe esito quale bramava, mettendone tre, cioè Giove, Nettuno e Plutone, al coperto di ogni oppressione, ben custoditi in una caverna. Non andò guari che i Giganti o Titani, figli della Terra, mossero guerra a Giove ed a tutto il Cielo, onde potere sopra di lui innalzarsi: ma dopo di avere occupato un posto sublime, vennero precipitati e da Giove strettamente legati.

Non ci richiama forse il favoloso racconto a portare i nostri riflessi sulla sacra storia dei tre figliuoli di Noè, Sem, Cham e Japhet, chiusi nell'arca e salvati soli dalle acque universali, nelle quali tutta perì l'umana specie ?

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