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le bellezze interiori dell' anima: che i loro spiriti d' un' origine celeste, si cercavano e si vagheggiavano qui in terra senza alcuna mescolanza d'impurità e di materia: che se talvolta il loro entusiasmo sembrava troppo esaltarsi alla vista della fisica bellezza, ciò non era, dicevan essi, che in virtù dell' estasi sublime, che eccitavasi in loro all'aspetto delle prodigiose fatture dell' Onnipotenza e dei capi d'opera di perfezione, che il cielo si compiaceva di mostrare alla terra. Per ciò appunto, e' dicevano, la somma Sapienza formando col suo potere l'universo, volle nelle sue creature farsi in parte visibile all' uomo, e volle in esse splendere in cotal guisa, affinchè, allettando gli occhi del corpo, invaghisse quelli dell' intelletto ad inalzarsi per insino a lei. Ond' è che ogni amore naturale o intellettuale, ovvero umano o divino, asserivano essere senza errore (conforme l'assioma: Opus naturæ opus intelligentiæ non errantis), e supponevano prender origine dalla prima mente, e ad essa dover ritornare. 2 Tale era il linguaggio del platonicismo amoroso, assai familiare nel Parnaso Italiano fino dal tredicesimo secolo, e che durò per insino al decimosesto.

3

1

2

« Ciò che non muore, e ciò che può morire,
Non è se non splendor di quella idea,

Che partorisce amando il nostro Sire. »
DANTE, Par., canto XII, v. 52.

Io veggio ben sì come già risplende

Nell' intelletto tuo l' eterna luce,
Che vista sola sempre amore accende ;
Es' altra cosa vostro amor seduce,
Non è se non di quella alcun vestigio
Mal conosciuto, che quivi traluce. >>
Parad., canto V, v. 7.

Amor, che muovi tua virtù dal Cielo,
Come 'l Sol lo splendore. >>

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dice: « Questi sono i misteri della platonica filosofia, e non che uno s'ab>> bia a fissare in amando tutto il tempo di sua vita una creatura, senza >> mai cercare di levarsi a migliore, più sublime, più conveniente e più >> bello senza comparazione e più amabile oggetto. Scala non è dunque que» sta del tutto immaginaria; ma presa pel suo verso, e non abusata, viene » ad essere assai più vicina a' buoni e non adulterati nè falsi mistici e alla

Così Giovanni dell'Orto aretino, che fiorì nel 1250, can

tava:

Amor solo, però ch' è conoscente
D'alma gentile e pura,

Sovr' essa gira, e pur ad essa torna:
E poi ch'è giunto a lei, immantinente
D'un ben sovra natura

Perfettamente lei pasce ed adorna. »

Così Loffo Bonaguida:

«Che Iddio vi formò pensatamente
Oltre natura ed oltre uman pensato.

Così Guittone d'Arezzo:

«Che non può cor pensare,

Nè lingua divisare

Che cosa in voi potesse esser più bella.
Ah! Dio, com' si novella

Puote a esto mondo dimorar figura,

Ched è sovra natura ?

Chè ciò che l' uom di voi conosce e vede,

Somiglia per mia fede

Mirabil cosa a buon conoscitore. 1

Così il Cavalcanti nella canz. VIII e II:

« Amore che innamora altrui di pregio,

Da pura virtù sorge

Dell' animo, che noi a Dio pareggia.

» dottrina de' nostri contemplativi, che sino dalle cose irrazionali pren» dono di continuo motivo ed occasione beata di portarsi in Dio, e dalla » moltitudine delle cose di quaggiù ridursi all' Uno di lassù anagogica

» mente. »

1 Anche nella sua lettera V diretta a una donna, Guittone adopra consimili espressioni: «Gentil mia donna, l'onnipotente Dio mise in voi sì » maravigliosamente compimento di tutto bene, che maggiormente sem» brate angelica creatura che terret.a in detto ed in fatto e in le sem»bianze vostre tutte, che quant'uomo vede di voi sembra mirabil cosa a » ciascun buon conoscidore. Perchè non degni fummo, che tanta preziosa e » mirabile figura, come voi siete, abitasse intra l'umana generazione d'esto secolo mortale, ma credo che piacesse a Lui di poner voi tra noi per fare maravigliare ec. »

DANTE. - 2.

2

Di questa donna non si paò contare;
Chè di tante bellezze adorna viene,
Che mente di quaggiù non la sostiene. »

Così Cino da Pistoia nella canz. I:

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"

Quando Amor gli occhi rilucenti e belli,
C'han d'alto fuoco la sembianza vera,
Volge ne' miei, si dentro arder mi fanno,
Che, per virtù d'Amor, vengo un di quelli
Spirti, che son nella celeste sfera.

Dal lampeggiar delle due chiare stelle....
Prende il mio core un volontario esiglio,
E vola al ciel tra l'altre anime belle.

Donna, i vostri celesti e santi rai
Vedendo avvolto in tenebre il mio core,
Immantinente il fêr chiaro e sereno;
E dal carcer terreno

Sollevandol talor, nel dolce viso
Gustò molti de' ben del paradiso. »

Come poteva d' umana natura

Nascere al mondo figura sì bella

Com' voi che pur maravigliar mi fate? »

Così finalmente il nostro Alighieri:

Credo che in ciel nascesse esta soprana,
E venne in terra per nostra salute.

E par che sia una cosa venuta

Di cielo in terra a miracol mostrare. » 1

Io non dirò che questo fosse il vero modo di trattare l'amore, e che que' primi italiani poeti rinvenissero un bello sconosciuto a Tibullo e a Properzio; ma dirò solo che tale si era il mistico e bizzarro gusto del tempo. Perciò l' Alighieri, non tanto dalla sua elevata fantasia e dalla nobiltà del suo animo, quanto dall' esempio de' suoi contemporanei,

1 Tutti sanno in quanto gran numero furono in Italia i servili imitatori del Petrarca, e perciò non sopraccarico il mio discorso con inutili citazioni.

fu spinto a sublimare l'affetto per la sua donna, e a far di lei un essere meraviglioso e più che terreno. Che se a ciò avesse voluto por mente il Biscioni, non avrebbe mosso tante dubbiezze intorno Beatrice, nè avrebbe prodotta quella sua speciosa opinione intorno l'amore del divino poeta, affannandosi tanto nel torgli di dosso una taccia, che egli ha comune con tutto il genere umano, e sforzandosi nel far credere che uno solo ed identico, cioè quello della sapienza, sia stato l'amore, ch'egli ha sì vivamente descritto in tutte e quattro le sue opere italiane, la Vita Nuova, il Canzoniere, il Convito e la Divina Commedia. Parecchi dati storici, parecchie deduzioni e parecchi argomenti stanno per me a provar questo; che Dante, dopo avere ne' suoi più verdi anni amato Beatrice Portinari, non per sensualità, ma per gentilezza di cuore, si diede nella sua gioventù alla passione e allo studio della filosofia morale, ch'è la bellissima femmina del Convito, e da questo passò poi facilmente all'amore della celeste sapienza, o scienza delle cose divine, simboleggiata nella gloriosa Beatrice della Commedia. E se io di leggieri vorrò concedere, che gli ultimi due amori possano prendersi l' uno per l'altro e identificarsi, non vorrò ne potrò concedere altrettanto del primo, accettando per buone e per vere le ragioni del Biscioni e de' suoi illusi seguaci : perciocchè io tengo opinione che possa fino all'ultima evidenza mostrarsi come due, cioè il naturale e l'intellettuale, sieno stati gli amori di Dante Alighieri; della qual cosa a far persuasi coloro, che di tali ricerche prendon vaghezza, stimo conveniente il ragionare alcun poco.

Più volte dice Dante nella Vita Nuova, nel Canzoniere ed anco nella Commedia, che egli erasi innamorato di Beatrice fino dalla sua puerizia: Nove fiate appresso il mio nascimento era tornato lo cielo della luce quasi ad un medesimo punto (cioè erano trascorsi quasi nove anni), quando alli miei occhi apparve prima la gloriosa donna della mia mente, la quale fu da molti chiamata Beatrice (Vita Nuova).

E amore mi dicea queste parole.... voglio che tu dica certe parole per rima, nelle quali tu comprenda la forza ch' io tegno sopra te per lei (per Beatrice), e come tu fosti suo tostamente dalla tua puerizia (ivi). La mia persona parvola (pargoletta) sostenne Una passion nuova, E a tutte mie virtù fu posto un freno (Canz. III, st. V). Nella vista mi percosse L'alta virtù che già m' avea trafitto Prima ch' io fuor di puerizia fosse (Purg. canto XXX, v. 40). Altrove poi egli dice (e lo abbiamo veduto più sopra da un brano del Trattato II del Convito), che s'innamorò della filosofia ovvero della sapienza, qualche anno appresso la morte

della Portinari, avvenuta (narra egli stesso) il 9 giugno del 1290: le quali cose valgono a significare, che Dante s'innamorò della filosofia in età pressochè di sei lustri. Qui pertanto abbiamo due innamoramenti, l' uno da giovinetto, l'altro da adulto; dunque (e la deduzione è facile) l'amore di Dante non è stato uno solo: dunque il secondo era tutt'altro che il primo.

Fastidium est in rebus manifestissimis probationes adducere, dice il nostro Alighieri nel terzo libro della Monarchia; nulladimeno, prendendoci di buona vogha questo fastidio, proseguiremo ad ascoltare lo scrittore medesimo, e così la nostra certezza vedremo farsi sempre maggiore. Certo sono (egli esclama nel trattato II, cap. 9 del Convito) ad altra vita migliore dopo questa passare, là dove quella gloriosa donna (la beata Beatrice, da lui poco innanzi nominata) vive, della quale fu l' anima mia innamorata quando contendea. Chi pretende che tutti gli amori di Dante sieno allegorici, dice, come ho già notato, non esser giammai esistita l'innamorata dell' Alighieri, e per essa doversi intendere la filosofia o la sapienza. Ma se la donna di Dante, rappresentata sotto il nome di Beatrice, è sempre, e non altrimenti, la filosofia, come mai nel tempo istesso che egli dichiara, e ad ogni momento assevera di esserne innamorato, qui dice che già lo fu? Non è egli da ciò evidente che Dante è stato invaghito prima d'una femmina, e poscia d' un'altra ? l'una corporea, cioè Beatrice figlia di Folco Portinari, la seconda simbolica ed intellettuale, cioè la sapienza? Ed avvertasi che l'Alighieri, dopo aver detto che di Beatrice fu l'anima sua innamorata, aggiunge, quando contendea, ad indicare che la sua anima ne fu innamorata per tutto quel tempo, nel quale la potenza sensitiva contese coll' intellettuale fino a che questa ebbe su quella vittoria.

Si considerino ancora questi altri brani del Trattato II del Convito (trattato scritto da Dante appenachè compiti i filosofici studii ebbe cambiato il primo naturale amore in un secondo spirituale), e si giudichi se in essi non abbia assai chiaramente parlato di due amori, l'uno susseguito all'altro, e il primo dal secondo affatto differente: A pieno intendimento di queste parole, Io vi dirò del cor la novitate, Come l'anima trista piange in lui ec., dico che questo non è altro, che un frequente pensiero a questa nuova donna commendare e abbellire, e quest' anima non è altro che un altro pensiero (il naturale), accompagnato di consentimento, che repugnando a questo (lo spirituale) commenda e abbellisce la memoria di quella Beatrice (Tratt. II, cap. 7)..... Poi quando dico, Or apparisce chi lo fa fuggire, narró la ra

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