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degna torre in qualche cosa la pompa a ciascuno dei volgari della città di Toscana. 1 Fiorentini parlano, e dicono:

"

Manuchiamo introcque;

Non facciamo altro.

1 Pisani:

« Bene andonno li fanti di Fioransa per Pisa.

1 Lucchesi :

Fo voto a Dio, che in gassara eie lo comuno de Luca. »

I Senesi :

Gli Aretini:

a

Onche rinegata avesse io Siena. >>

«< Vo' tu venire ovelle. »>

Di Perugia, Orbieto, Viterbo e Città Castellana, per la vicinità che hanno con Romani e Spoletani, non intendo dir nulla. Ma come che quasi tutti i Toscani siano nel loro brutto parlare ottusi, nondimeno ho veduto alcuni aver conosciuto la eccellenzia del vulgare, cioè Guido, Lapo, e un altro, fiorentini, e Cino pistoiese, il quale al presente indegnamente posponemo, non indegnamente costretti. Adunque se esamineremo le loquele toscane, e considereremo, come gli uomini mollo onorati si siano da esse loro proprie partiti, non resta in dubbio che il vulgare, che noi cerchiamo, sia altro che quello che hanno i popoli di Toscana. Se alcuno poi pensasse che quello, che noi affermiamo dei Toscani, non sia da affirmare dei Genovesi, questo solo costui consideri, che se i Genovesi per dimenticanza perdessero il z lettera, bisognerebbe loro, ovver essere lotalmente muti, ov

1 La frase del testo viri præhonorati non significa gli uomini molto onorati, come traduce il Trissino, ma bensi gli scrittori sullodati, cioè Guido, Lapo ec. II Crescimbeni (Volu

me II, par. II, pag. 54) di Guido e di Lapo ne fa tutto un nome, cioè Guido-Lapo, dicendo che di esso non si trova alcuna poesia. E di certo non Doteva trovarla.

totaliter eos, vel novam reperire oporteret loquelam; est enim z maxima pars eorum locutionis : quæ quidem littera non sine multa rigiditate profertur.

CAPUT XIV.

De idiomate Romandiolorum, et de quibusdam transpadanis et præcipue de veneto.

1

Transeuntes nunc humeros Appennini frondiferos, lævam Italiam cunctam venemur, ceu solemus, orientaliter ineuntes. Romandiolam igitur ingredientes, dicimus nos duo in Latio invenisse vulgaria, quibusdam convenientiis contrariis alternata. Quorum unum in tantum muliebre videtur propter vocabulorum et prolationis mollitiem, quod virum (etiam si viriliter sonet) fœminam tamen facit esse credendum. Hoc Romandioli omnes habent, et præsertim Forlivenses; quorum civitas, licet novissima sit, meditullium tamen esse videtur totius provinciæ: hi Deusci affirmando loquuntur, et oclo meo, et corada mea proferunt blandientes. Horum aliquos a proprio poetando divertisse audivimus, Thomam videlicet, et Ugolinum Bucciolam faventinos. Est et aliud, sicut dictum est, adeo vocabulis, accentibusque hirsutum et hispidum, quod propter sui rudem asperitatem, mulierem loquentem non solum disterminat, sed esse virum dubitare facit. Hoc omnes, qui magara2 dicunt, Brixienses, videlicet, Veronenses, et Vicentini habent, nec non Paduani turpiter syncopantes, omnia in tus participia, et denominativa in tas, ut mercò et bonté.3 Cum quibus et Triviṣianos adducimus, qui more Brixianorum, et finitimorum suorum v consonantem per f apocopando proferunt, puta nof pro nove, vif pro vivo, quod quidem barbarissimum reprobamus. Veneti quoque nec se se investigati vulgaris honore dignantur; et si

1 Deusci, fatto da Deus scit, Dio 'l sa; ocio meo, occhio mio; corada mea, cor mio.

2 magara, voce d'affermazione e

di desiderio, per es. Dio lo volesse, che dicesi derivata dal greco μaxaριοι ο da μακαριον θεόυς.

3 mercò e bonté, mercato e hontate.

ver trovare una nuova locuzione; perciò che il z è la maggior parte del loro parlare: la qual lettera non si può se non con molta asperità proferire.

CAPITOLO XIV.

Dello idioma di Romagna, e di alcuni transpadani, e specialmente del veneto.

Passiamo ora le frondute spalle dell'Appennino, ed investighiamo tutta la sinistra parte d'Italia, cominciando, come far solemo, a levante. Intrando adunque nella Romagna, dicemo che in Italia abbiamo ritrovati due volguri, l'uno all' altro con certi convenevoli contrarii opposto : delli quali uno tanto feminile ci pare per la mollizia dei vocaboli e della pronuncia, che un uomo (ancora che virilmente parli) è tenuto femina. Questo volgare hanno tutti i Romagnuoli, e specialmente i Forlivesi, la città dei quali, avvegna che novissima sia, nondimeno pare esser posta nel mezzo di tutta la provincia. Questi affermando dicono Deusci, e facendo carezze sogliono dire oclo meo, e corada mea. Bene abbiamo inteso, che alcuni di costoro nei poemi loro si sono partiti dal suo proprio parlare, cioè Tomaso ed Ugolino Bucciola faentini. L'altro dei due parlari, che avemo detto, è talmente di vocaboli ed accenti irsuto ed ispido, che per la sua rozza asperità non solamente disconcia una donna che parli, ma ancora fa dubitare, s'ella è uomo. Questo tale hanno tutti quelli che dicono magara, cioè Bresciani, Veronesi, Vicentini, ed anco i Padoani, i quali in tutti i participii in tus, e denominativi in tas, fanno brutta sincope, come è mercò, e bonté. Con questi ponemo eziandio i Trivigiani, i quali al modo dei Bresciani, e dei suoi vicini proferiscono la v consonante per f, removendo l'ultima sillaba, come è nof per nove, vif per vivo; il che veramente è barbarissimo, e riproviamolo. I Veneziani ancora non saranno degni dell' onore dell' inve

quis eorum errore compulsus vanitaret in hoc, recordetur si unquam dixit:

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inter quos unum vidimus nitentem divertere a materno, et ad curiale vulgare intendere, videlicet Ildebrandinum paduanum. Quare omnibus præsentis capituli ad judicium comparentibus arbitramur, nec romandiolum, nec suum oppositum, ut dictum est, nec venetianum esse illud, quo quærimus, vulgare illustre.

CAPUT XV.

Facit magnam discussionem de idiomate bononiensi.

Illud autem quod de italica silva residet, perconctari conemur expedientes. Dicimus ergo quod forte non male opinantur, qui Bononienses asserunt pulcriori locutione loquentes, cum ab Imolensibus, Ferrariensibus, et Mutinensibus circumstantibus aliquid proprio vulgari adsciscunt; sicut facere quoslibet a finitimis suis convicimus, ut Sordellus de Mantua sua ostendit, Cremona, Brixiæ, atque Veronæ confini: qui tantus eloquentiæ vir existens non solum in poetando, sed quomodolibet loquendo, patrium vulgare deseruit. Accipiunt etiam præfati eives ab Imolensibus lenitatem atque mollitiem, a Ferrariensibus vero et Mutinensibus aliqualem garrulitatem, quæ propria Lombardorum est. Hanc ex commistione advenarum Longobardorum terrigenis credimus remansisse; et hæc est causa, quare Ferrariensium, Mutinensium, vel Regianorum nullum invenimus poetasse. Nam propriæ garrulitati assuefacti, nullo modo possunt ad vulgare aulicum, sine quadam acerbitate, venire; quod multo magis de Parmensibus est putandum, qui monto

1 Per le plage de Dio, per le piaghe di Dio (formula di giuramento), tu non veras. tu non vorrai

2 Di Sordello parla il Poeta nel canto VI del Purgatorio.

sligato volgare; e se alcun di loro, spinto da errore, in que· sto vaneggiasse, ricordisi se mai disse:

1

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tra i quali abbiamo veduto uno, che si è sforzato partire dal suo materno parlare, e ridursi al volgare cortigiano, e questo fu Brandino padoano. Laonde tutti quelli del presente capitolo comparendo alla sentenzia, determiniamo, che nè il romagnuolo nè il suo contrario, come si è detto, nè il veneziano sia quello illustre volgare che cerchiamo.

CAPITOLO XV.

Fa gran discussione del parlare bolognese.

Ora ci sforzeremo, per espedirci, a cercare quello che della ilalica selva ci resta. Dicemo adunque, che forse non hanno avula mala opinione coloro, che affermano che i Bolognesi con molto bella loquela ragionano; conciò sia che dagli Imolesi, Ferraresi e Modenesi qualche cosa al loro proprio parlare aggiungano; chè tutti, si come avemo mostrato, pigliano dai loro vicini, come Sordello dimostra della sua Mantova, che con Cremona, Brescia e Verona confina. Il qual uomo fu tanto in eloquenzia, che non solamente nei poemi, ma in ciascun modo che parlasse, il volgare della sua patria abbandonò. Pigliano ancora i prefati cittadini dagl' Imolesi la leggerezza2 e la mollizia, e dai Ferraresi e Modenesi una certa loquacità, la qual'è propria dei Lombardi. Questa, per la mescolanza dei Longobardi forestieri, crediamo essere rimasta negli uomini di quei paesi; e questa è la ragione, per la quale non ritroviamo che niuno, nè ferrarese, nè modenese, nè reggiano, sia stato poeta; perciò che assuefatli alla propria loquacità, non possono per alcun modo, senza qualche acerbilà, al volgare cortigiano venire; il che molto maggiormente dei Parmigiani è

1.L' lidebrandinum del testo essendo dal Trissino stato tradotto Brandino, si deduce che questo Pocta era nel secolo decimosesto

conosciuto sotto tal nome.

2 La voce lenitalem del testo sarebbe più idoneamente tradotta con dolcezza, che con leggerezza.

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