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pro molto dicunt. Si ergo Bononienses utrinque accipiunt, ut dictum est, rationabile videtur esse, quod eorum locutio per commistionem oppositorum, ut dictum est, ad laudabilem suavitatem remaneat temperata; quod procul dubio nostro judicio sic esse censemus. Ita si præponentes eos in vulgari sermone, sola municipalia Latinorum vulgaria comparando considerant, allubescentes concordamus cum illis; si vero simpliciter vulgare bononiense præferendum extimant, dissentientes discordamus ab eis non etenim est quod aulicum et illustre vocamus; quoniam si fuisset, maximus Guido Guinicelli, Guido Ghiselerius, Fabricius, et Honestus, et alii poetantes Bononiæ, nunquam a primo divertissent; qui doctores fuerunt illustres, et vulgarium discretione repleti.

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« Più non attendo il tuo soccorso, Amore. » Quæ quidem verba prorsus a mediastinis Bononiæ sunt diversa. Cumque de residibus in extremis Italiæ civitatibus neminem dubitare pendamus, et si quis dubitat, illum nulla nostra solutione dignamur; parum restat in nostra discussione dicendum. Quare cribellum cupientes deponere, ut residentiam cito visamus; dicimus Tridentum atque Taurinum, nec non Alexandriam civitates metis Italiæ in tantum sedere propinquas, quod puras nequeunt habere loquelas; ita quod si, sicut turpissimum habent vulgare, haberent pulcerrimum, propter aliorum commistionem esse vere latinum negaremus. Quare si latinum illustre venamur, quod venamur in illis inveniri non potest.

da pensare; i quali dicono monto per molto. Se adunque i Bolognesi dall' una e dall' altra parte pigliano, come è detto, ragionevole cosa ci pare che il loro parlare, per la mescolanza degli oppositi, rimanga di laudabile suavità temperato: il che per giudizio nostro senza dubbio esser crediamo. Vero è che se quelli, che prepongono il vulgare sermone dei Bolognesi, nel compararlo hanno considerazione solamente ai vulgari delle città d'Italia, volentieri ci concordiamo con loro; ma se stimano simplicemente il volgare bolognese essere da preferire, siamo da essi dissenzienti e discordi; perciò che egli non è quello che noi chiamiamo cortigiano ed illustre; che s'el fosse quello, il massimo Guido Guinicelli, Guido Ghisliero, Fabrizio, ed Onesto, ed allri poeti non sariano mai partiti da esso; perciò che furono dottori illustri, e di piena intelligenza nelle cose volgari.

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Più non attendo il tuo soccorso, Amore. » Le quali parole sono in tutto diverse dalle proprie bolognesi. Ora perchè noi non crediamo che alcuno dubiti di quelle città che sono poste nelle estremità d'Italia; e se alcuno pur dubita, non lo stimiamo degno della nostra soluzione; però poco ci resta nella discussione da dire. Laonde disiando di deporre il crivello, acciocchè tosto veggiamo quello che in esso è rimaso; dico che Trento, e Turino, ed Alesssandria sono città tanto propinque ai termini d' Italia, che non ponno avere pura loquela; talchè se così come hanno bruttissimo volgare, così l'avessero bellissimo, ancora negherei esso essere veramente italiano per la mescolanza che ha degli altri. E però se cerchiamo il parlare italiano illustre, quello che cerchiamo non si può in esse città ritrovare.

CAPUT XVI.

De excellentia vulgaris eloquentiæ, et quod communis
est omnibus Italicis.

Postquam venati saltus et pascua sumus Italiæ, nec panteram, quam sequimur, adinvenimus; ut ipsam reperire possimus, rationabilius investigemus de illa, ut solerti studio redolentem ubique, et ubique' apparentem, nostris penitus irretiamus tendiculis. Resumentes igitur venabula nostra, dicimus quod in omni genere rerum unum oportet esse, quo generis illius omnia comparentur et ponderentur: et illinc aliorum omnium mensuram accipiamus. Sicut in numero cuncta mensurantur uno, et plura, vel pauciora dicuntur, secundum quod distant ab uno, vel ei propinquant; et sic in coloribus omnes albo mensurantur; nam visibiles magis dicuntur et minus, secundum quod accedunt, vel recedunt. Et quemadmodum de iis dicimus, quæ quantitatem et qualitatem ostendunt, de prædicamentorum quolibet, et de substantia posse dici putamus; scilicet quod unumquodque mensurabile sit in genere illo, secundum id quod simplicissimum est in ipso genere. Quapropter in actionibus nostris, quantumcumque dividantur in species, hoc signum inveniri oportet, quo et ipsæ mensurentur; nam in quantum simpliciter ut homines agimus, virtutem habemus, ut generaliter illas intelligamus; nam secundum ipsam bonum et malum hominem judicamus: in quantum ut homines cives agimus, habemus legem, secundum quam dicitur civis bonus et malus in quantum ut homines latini agimus, quædam habemus simplicissima signa, idest morum et habituum et locutionis, quibus latinæ actiones ponderantur, et mensurantur. Quæ quidem nobilissima sunt earum, quæ latinorum sunt, actionum, hæc nullius civitatis Italiæ propria sunt, sed in omnibus communia sunt inter quæ nunc potest discerni vulgare, quod

1 Varii testi invece di ubique hanno nec; ma il professor Witte propone di leggere nec usquam.

CAPITOLO XVI.

Dello eccellente parlar volgare, il quale è comune
a tutti gli Italiani.

Dappoi che avemo cercato per tutti i salti e pascoli d' Italia, e non avemo quella pantera, che cerchiamo, trovata ; per potere essa meglio trovare, con più ragione investighiamola; ucciò che quella, che in ogni luogo si sente, e in ogni parte appare, con sollecito studio nelle nostre reti totalmente inviluppiamo. Ripigliando adunque i nostri istrumenti da cacciare dicemo, che in ogni genere di cose è di bisogno che una ve ne sia, con la quale tutte le cose di quel medesimo genere si ab· biano a comparare e ponderare, e quindi la misura di tutte le allre pigliare. Come nel numero lutte le cose si hanno a misurare con l'unità; e diconsi più e meno, secondo che da essa unità sono più lontane, o più ad essa propinque; e così nei colori tutti si hanno a misurare col bianco; e diconsi più o meno visibili, secondo che a lui più vicini, e da lui più distanti si sono. E si come di questi che mostrano quantità e qualità diciamo, parimente di ciascuno dei predicamenti e della sustanzia pensiamo potersi dire; cioè che ogni cosa si può misurare in quel genere con quella cosa, che è in esso genere semplicissima. Laonde nelle nostre azioni, in quantunque specie si dividano, si bisogna ritrovare questo segno, col quale esse si abbiano a misurare; perciò che in quello che facciamo come semplicemente uomini, avemo la virtù, per la quale generalmente intendemo; perciò che secondo essa giudichiamo l'uomo buono e cattivo; in quello poi che facciamo, come uomini cittadini, avemo la legge, secondo la quale si dice buono e cattivo cittadino; così in quello, che come uomini italiani facciamo, avemo certi segni semplicissimi, cioè de' costumi, degli abiti e del parlare, coi quali le azioni italiane si hanno a misurare e ponderare. Adunque quelle delle azioni italiane sono nobilissime, che non sono proprie di niuna città d'Italia, ma sono comuni in tutte; tra le quali ora si può discernere, il vol

superius venabamur, quod in qualibet redolet civitate, nee cubat in ulla. Potest tamen magis in una quam in alia redolere, sicut simplicissima substantiarum, quæ Deus est, qui in homine magis redolet, quam in bruto: in animali, quam in planta : in hac, quam in minera: in hac, quam in igne:' in igne, quam in terra. Et simplicissima quantitas, quod est unum, in impari numero redolet magis quam in pari; et simplicissimus color, qui albus est, magis in citrino quam in viridi redolet. Itaque adepti quod quærebamus, dicimus illustre, cardinale, aulicum, et curiale vulgare in Latio, quod omnis latiæ civitatis est, et nullius esse videtur, et quo municipalia vulgaria omnia latinorum mensurantur, ponderantur, et comparantur.

CAPUT XVII.

Quare hoc idioma illustre vocetur.

Quare autem hoc quod repertum est illustre, cardinale, aulicum, et curiale adjicientes, vocemus, nunc disponendum est; per quod clarius ipsum quod ipsum est faciemus patere. Primum igitur quid intendimus, cum illustre adjicimus, et quare illustre dicimus, denudemus. Per hoc quidquid illustre dicimus, intelligimus quid illuminans, et illuminatum præfulget. Et hoc modo viros appellamus illustres, vel quia potestate illuminati, alios et justitia et caritate illuminant, vel quia excellenter magistrati excellenter magistrent, ut Seneca et Numa Pompilius. Et vulgare, de quo loquimur, et sublimatum est

1 Le stampe ed i codici, invece di quam in igne, lezione proposta dal Torri, e ch'io pure ho adottata, leggono quam in cœlo. In tutto questo periodo (osserva giustamente il prelodato annotatore) Dante procede per gradazione decrescente a mostrare, che Dio si manifesta meno nel soggetto susseguente che nell' antecedente. Ora, come potrebbe dirsi che Dio risplende più nelle miniere che nel cielo? II Trissino infatti s'accorse

dell' assurdo, ed a cansarlo tradusse cælum per elementi. Il Torri pertanto, conformandosi alla concatenazione del periodo, prese il soggetto ignis dal membretto susseguente, c lo sostitui a cœlum dell' antecedente. Ma (quantunque io abbia adottato la proposta lezione) debbo dire, che neppur col vocabolo sostituito si rende appieno esatta nella frase susseguente, magis in igne quam in terra, la gradazione decrescente.

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