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duo conviene se non per le proprie dignità; come è mercantare, armeggiare, reggere. E però, se le cose convenienti risguardano le dignità, cioè i degni (ed alcuni possono essere degni, altri più degni ed altri degnissimi), è manifesto, che le cose buone ai degni, le migliori ai più degni, le ottime ai degnissimi si convengono. E conciò sia che la loquela non altrimenti sia necessario istromento ai nostri concelli, di quello che si sia il cavallo al soldalo; e convenendosi gli ottimi cavalli agli ottimi soldati, agli ottimi concetti (come è detto) la ottima loquela si converrà. Ma gli ottimi concetti non ponno essere, se non dove è scienzia ed ingegno; adunque la ottima loquela non si conviene se non a quelli, che hanno scienzia ed ingegno; e così non a tutti i versificatori si convien ottima loquela, e conseguentemente nè l'ottimo volgare, conciò sia che molti senza scienzia e senza ingegno facciano versi. E però, se a tutti non conviene, tutti non denno usare esso ; perciò che niuno dee far quello che non se gli conviene. E dove è detto che ognuno dee ornare i suoi versi quanto può, affermiamo esser vero ; ma nè il bove efippiato, nè il porco balleato1 chiameremo ornato, anzi fatto brutto, e di loro ci rideremo; perciò che l'ornamento non è altro, che uno aggiungere qualche convenevole cosa alla cosa che si orna. A quello ove è detto che la cosa superiore con la inferiore mescolata adduce perfezione, dico esser vero, quando la separazione non rimane; come è, se l'oro fonderemo insieme con l'argento; ma se la separazione rimane, la cosa inferiore si fa più vile; come è mescolare belle donne con brutte. Là onde conciò sia che la sentenzia dei versificatori sempre rimanga separatamente mescolata con le parole, se la non sarà ottima, ad oltimo volgare accompagnata, non migliore, ma peggiore apparirà, a guisa di una brutta donna, che sia di seta o d'oro vestila.

1 bone efippiato,

porco balleato,

cioè bove insellato, o decorato di sel

la... porco cinturato, o ornato di

cintura.

CAPUT II.

In qua materia conveniat ornata eloquentia vulgaris.

Postquam non omnes versificantes, sed tantum excellentis simos illustre uti vulgare debere astruximus; consequens est astruere, utrum omnia ipso tractanda sint, aut non: et si not omnia, quæ ipso digna sunt segregatim ostendere. Circa quod primo reperiendum est id, quod intelligimus per illud quod di cimus, dignum esse quod dignitatem habet, sicut nobile, quod nobilitatem; et sic cognito habituante, habituatum cognoscitur, in quantum hujus: unde cognita dignitate, cognoscemus et dignum. Est enim dignitas meritorum effectus, sive terminus; it cum quis benemeruit, ad boni dignitatem perventum (ss) dicimus cum male vero, ad mali; puta bene militantem, ad victoriæ dignitatem; bene autem regentem, ad regni ; nec non mendacem ad ruboris dignitatem, et latronem ad eam, quæ (st mortis. Sed cum in benemerentibus fiant comparationes, sicut in aliis, ut quidam bene, quidam melius, quidam optime, quidam male, quidam pejus, quidam pessime mereantur, et hujusmodi comparationes non fiant, nisi per respectum ad terminum meritorum, quem dignitatem dicimus, ut dictum est; manifestum est quod dignitates inter se comparantur secundum magis et minus, ut quædam magnæ, quædam majores, quædam maximæ sint, et per consequens aliud dignum, aliud dignissimum esse constat. Et cum comparatio dignitatum non fiat circa idem objectum, sed circa diversa, ut dignius dicamus quod majoribus, dignissimum quod maximis dignum est, quia nihil eodem dignius esse potest; manifestum est, quod optima optimis, secundum rerum exigentiam, digna sint. Unde cum hoc,

CAPITOLO II.

In qual materia stia bene usare il volgare illustre.

Dappoichè avemo dimostralo, che non tutti i versificatori, ma solamente gli eccellentissimi denno usare il volgare illustre, conseguente cosa è dimostrare poi, se tutte le materie sono da essere trattate in esso, o no; e se non sono tutte, veder separatamente quali sono degne di esso. Circa la qual cosa prima è da trovare quello che noi intendemo, quando dicemo, degna essere quella cosa che ha dignità, sì come è nobile quello che ha nobiltà; e così conosciuto lo abituante, si conosce lo abituato, in quanto abituato di questo: però, conosciuta la dignità, conosceremo ancora il degno. È adunque la dignità un effetto, ovvero termine dei meriti; perciò che, quando uno ha meritato bene, dicemo essere pervenuto alla dignità del bene; e quando ha meritato male, a quella del male; così quello che ha ben combattuto, è pervenuto alla dignità della vittoria, e quello che ha ben governato, a quella del regno; e così il bugiardo alla dignità della vergogna, ed il ladrone a quella della morte. Ma conciò sia che in quelli, che meritano bene, si facciano comparazioni, e così negli altri, perchè alcuni meritano bene, altri meglio, altri ottimamente, ed alcuni meritano male, altri peggio, altri pessimamente; e conciò ancora sia, che tali comparazioni non si facciano, se non avendo rispetto al termine dei meriti, il qual termine (come è detto) si dimanda dignità; manifesta cosa è, che parimente le dignità hanno comparazione tra sẻ, secondo il più ed il meno: cioè che alcune sono grandi, altre maggiori, altre grandissime; e conseguentemente alcuna cosa è degna, altra più degna, altra degnissima. E conciò sia che la comparazione delle dignità non si faccia circa il medesimo obietto, ma circa diversi, perchè dicemo più degno quello che è degno di una cosa più grande, e degnissimo quello che è degno d'una altra cosa grandissima, perciò che niuno può essere di una stessa cosa più degno; manifesto è che le cose ottime (secondo che porta il dovere) sono delle ottime degne. Laonde

quod dicimus illustre, sit optimum aliorum vulgarium, consequens est, ut sola optima digna sint ipso tractari: quæ quidem tractandorum dignissima nuncupamus: nunc autem quæ sint ipsa venemur. Ad quorum evidentiam sciendum est, quod sicut homo tripliciter spirituatus est, videlicet spiritu vegetabili, animali, et rationali,1 triplex iter perambulat; nam secundum quod vegetabile est, utile quærit, in quo cum plantis communicat; secundum quod animale, delectabile, in quo cum brutis; secundum quod rationale, honestum quærit, in quo solus est, vel angelicæ naturæ sociatur. Per hæc tria quicquid agimus, agere videmur; et quia in quolibet istorum quædam sunt majora, quædam maxima; secundum quod talia, quæ maxima sunt, maxime pertractanda videntur, et per consequens maximo vulgari. Sed disserendum est, quæ maxima sint ; et primo in eo quod est utile; in quo si callide consideremus intentum omnium quærentium utilitatem, nil aliud, quam salutem inveniemus. Secundo in eo, quod est delectabile; in quo dicimus illud esse maxime delectabile, quod per preciosissimum objectum appetitus delectat: hoc autem Venus est. Tertio in eo, quod est honestum; in quo nemo dubitat esse virtutem. Quare hæc tria, salus videlicet, Venus, virtus apparent esse illa magnalia, quæ sint maxime pertractanda, hoc est ea, quæ maxima sunt ad ista, ut armorum probitas, amoris accensio, et directio voluntatis. Circa quæ sola, si bene recolimus, illustres viros invenimus vulgariter poetasse; scilicet Bertramum de Bornio, arma; Arnaldum Danielem, amorem; Gerardum

1 Si avverta bene, che Dante non ha qui inteso dire che l'uomo ha tre anime, come non troppo accortamente ebbe tradotto il Trissino, ma ha inteso dire, che l'uomo ha un'anima di tre potenze o virtù : la vegetativa, per cui vive, l'animale, per cui sente, la razionale, per cui ragiona. Nel Purg., canto XXV, v. 74-75, disse infatti l'anima umana essere

un' alma sola

Che vive e sente, e sè in sè rigira. Vedasi anche il Convito, Tratt., III, cap. 3. e Tratt. IV, cap. 7, ove espo

ne questa dottrina conforme a' principii aristotelici.

2 Invece di quæ maxima sunt ad isla un solo testo legge quæ maxime sunt ad ista, e parmi lezione miglio. re. La traduzione sarebbe allora : quelle cose che a queste (tre materie) principalmente appartengono.

3 Di questo trovatore parla Dante nell' Inf., canto XXVIII, v. 134:

Sappi ch'io son Bertram dal Bornio ec. ↳ Di esso vedi il Purg., canto XXVI, v. 142:

Jeu sui Arnautz, que plor e vai chanta

questo volgare, che dicemo illustre, essendo ottimo sopra tutti gli altri volguri, conseguente cosa è, che solamente le ottime materie siano degne di essere trattate in esso: ma quali si siano poi quelle materie che chiamiamo degnissime, è buono al presente investigare. Per chiarezza delle quali cose è da sapere, che si come nell'uomo sono tre anime, cioè la vegetabile, la animale e la razionale, cosi esso per tre sentieri cammina; perciò che secondo che ha l'anima vegetabile, cerca quello che è utile, nel che partecipa con le piante; secondo che ha l'animale, cerca quello che è dilettevole, nel che partecipa con le bestie; e secondo che ha la razionale, cerca l'onesto, nel che è solo, ovvero alla natura angelica s'accompagna; tal che tutto quel che facciamo, pare che si faccia per queste tre cose. E perchè in ciascuna di esse tre sono alcune cose che sono più grandi, ed altre grandissime; per cotal ragione quelle cose, che sono grandissime, sono da essere grandissimamente trattate, e conseguentemente col grandissimo volgare. Ma è da disputare quali si siano queste cose grandissime; e primamente in quello che è utile; nel quale, se accortamente consideriamo la intenzione di tutti quelli che cercano la utilità, niuna altra troveremo, che la salute. Secondariamente in quello che è dilettevole; nel quale dicemo quello essere massimamente dilettevole, che per il preciosissimo obietto dell' appetilo diletta; e questi sono i piaceri di Venere. Nel terzo, che è l'onesto, niun dubita essere la virtù. Il perchè appare queste tre cose, cioè la salute, i piaceri di Venere e la virtù essere quelle tre grandissime materie, che si denno grandissimamente trattare, cioè quelle cose, che a queste grandissime sono: come è la gagliardezza delle armi, l' ardenza dell' amore, e la regola della volontà. Circa le quali tre cose sole (se ben risguardiamo) troveremo gli uomini illustri aver volgarmente cantato; cioè Beltramo di Bornio le armi; Arnaldo Daniello lo amore; Gerardo de Bornello la retlilu

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