Sayfadaki görseller
PDF
ePub

dice dell' altra diversità, dicendo, siccome questo pensiero di sopra suole essere vita di me, così un altro apparisce che fa quello cessare. Dico fuggire, per mostrare quello essere contrario; chè naturalmente l'uno contrario fugge l'altro; e quello che fugge mostra per difetto di virtù fuggire..... Susseguentemente mostro la potenzia di questo pensiero nuovo ec. (ivi, cap. 8). Cominciai tanto a sentire della dolcezza della filosofia, che il suo amore cacciava e distruggeva ogni altro pensiero per ch' io sentendomi levare dal pensiero del primo amore alla virtù di questo, quasi maravigliandomi apersi la bocca nel parlare della proposta canzone, mostrando la mia condizione sotto figura d'altre cose, perocchè della donna, di cui io m' innamorava, non era degna rima di volgare alcuno palesemente parlare (ivi, cap. 13). Questi brani, parmi, com'ho detto, che parlino chiaro abbastanza; ma vogliamo noi da Dante una qualche dichiarazione ancor più sicura ed evidente delle altre addotte? Eccone due: Pensai che da molti sarei stato ripreso di levezza d' animo, udendo me essere dal PRIMO AMORE mutato. Per lo che a torre via questa riprensione, nullo migliore argomento era, che dire qual era quella donna che m' avea mutato (Tratt. III, cap. 1). Dico ed affermo che la donna, di cui m'innamorai APPRESSO LO PRIMO AMORE, fu la bellissima e onestissima figlia dell' Imperatore dell' universo, alla quale Pittagora pose nome Filosofia (Tratt. II, cap. ult.). Dal periodo infatti che trovasi sul finire della Vita Nuova, e che dice: Apparve a me una mirabil visione, nella quale vidi cose, che mi fecero proporre di non dir più di questa benedetta, infintanto che io non potessi più degnamente trattare de lei ec., apparisce evidentemente che, appena estinta Beatrice, cominciava l'Alighieri a cambiare il suo amore, e a dargli una nuova e più sublime direzione; poichè, applicatosi con quanto studio poteva all'acquisto delle filosofiche discipline, ' mirava già a far l'apoteosi della gentile donzella, col celebrarne in un grandioso poema le virtù, anzi col formar di lei la sapienza medesima. Questo secondo amore che, non v' ha dubbio, dee dirsi totalmente spirituale, nuovo di forma e di sostanza, da Dante veramente creato e sentito, siccome dal Petrarca forse pure immaginato, fu quello che ogni influenza sulla mente innamorata operando, divenne in lui principio e seme d'ogni ben fare, stimolo a virtù, eccitamento a valore, e fonte di tanti concetti che nessun altro avrebbe saputo immaginare; amore infine, il quale levandolo da queste nebbie terrestri, il fe poggiare sopra il cielo, e quivi con

1 « Studio quanto posso. » Vila Nuova, pag. ult.

templando l'ultimo nostro desio indiarsi. Ma tanto è vero che la Beatrice, della quale ei volle formare quell' altissimo simbolo, era stata pur troppo una donna, sì come le altre, mortale, che tale ella stessa si manifesta ripetutamente ancora nella Divina Commedia.

Nel canto XXX e XXXI del Purgatorio rimproverando a Dante i suoi mondani trascorsi, Beatrice va dicendo così: Alcun tempo 'l sostenni col mio volto: Mostrando gli occhi giovinetti a lui, Meco 'l menava in dritta parte vôlto. Si tosto come in su la soglia fui

[merged small][ocr errors]

Avverta qui il lettore fra le altre quell' espressione non punto equivoca Quando di carne a spirto era salita; e poscia consideri queste altre che seguono:

«O Dante, perchè me' vergogna porte

Del tuo errore, e perchè altra volta
Udendo le sirene sie più forte,

Pon giù 'I seme del piangere, ed ascolta;
Si udirai com' in contraria parte
Muover doveati mia carne sepolta.
Mai non t'appresentò natura ed arte
Piacer, quanto le belle membra, in ch' io
Rinchiusa fui, e ch' or son terra sparte:
E se 'l sommo piacer si ti fallio
Per la mia morte, qual cosa mortale
Dovea poi trarre te nel suo disio?»

Se Beatrice era dunque un essere di carne, che presso al secondo stadio della sua esistenza mutò vita, e divenne spirito; se la natura non avea mai fatto tanto di bello, quanto eran belle le membra, nelle quali quell' essere animato stava rinchiuso, e le quali divennero ben presto terra e cenere, non è egli veramente da dirsi e asseverantemente da ripetersi, che la Beatrice del giovine Dante fosse una donna vera, in carne e in ossa e colle sue giunture? Se nel serventese dall'Alighieri composto, e che oggi sventuratamente è perduto, erano celebrate le sessanta più belle donne fiorentine, fra le quali stava pure Beatrice, come mai potrà egli asserirsi che

sola quest'ultima non fosse una donna? E se Beatrice non fosse infatti stata una donna, come mai avrebbe potuto Dante esclamare:

[blocks in formation]

Come mai avrebbe detto nel Purgatorio, canto XXXI, v. 83, che in quel punto Beatrice vinceva in bellezza sè stessa più di quello che avesse vinto le altre belle qui in terra, quando ella ci era?

Pareami più sè stessa

Vincer, che l'altre qui, quand' ella c'era. »

Come mai avrebbe temuto cotanto che ella morisse raccontando:

«Che sospirando dicea nel pensiero :
Ben converrà che la mia donna mora;
Canz. IV, st. 3.

[ocr errors]

e che questo pensiero mettea in lui gravissimo sbigottimento? Come raccontare che, essendole morto il genitore, ne provò ella dolore amarissimo, tantochè i suoi singulti spremevano le lacrime a qual l'avesse veduta? Come mai in una grave malattia di Beatrice avrebbe egli indiritto una Canzone alla Morte, per supplicarla a rattenere il colpo già mosso contro di lei? E come dire ch' ella aveva un fratello, da cui fu pregato a comporre alcun verso in morte di essa? Nel Purgatorio, canto XXIV, v. 53, dice Dante di sè

stesso:

[ocr errors][merged small]

1

colle quali parole, da lui dirette a Bonagiunta Urbiciani, vuol significare che nelle sue rime amorose (quelle appunto della Vita Nuova) non altro avea descritto che la passione d' amore, veracemente e profondamente da lui provata. Si potrà egli dunque e si dovrà negar fede a Dante medesimo?

Queste obiezioni, che io faccio ai seguaci del buon canonico, non sono appena una metà di quelle che potrei loro fare, e che qui non espongo per non tediare di troppo il mio lettore. Il quale se vorrà finir di convincersi, che la Beatrice

1 Nella Vita Nuova e nel Canzoniere.

della Vita Nuova era una donna che mangiava e beveva e vestia panni, non avrà da far altro, che per un poco considerare il seguente Sonetto, scritto da Dante nella sua adolescenza, e da lui indirizzato al suo primo amico Guido Cavalcanti:

1

[ocr errors]

Guido, vorrei che tu e Lapo ed io
Fossimo presi per incantamento,

E messi ad un vascel, ch' ad ogni vento
Per mare andasse a voler vostro e mio;
Sicchè fortuna od altro tempo rio
Non ci potesse dare impedimento,
Anzi, vivendo sempre in un talento,
Di stare insieme crescesse il desio.
E monna Vanna e monna Bice poi,
Con quella ch'è sul numero del trenta,
Con noi ponesse il buono incantatore;
E quivi ragionar sempre d' amore:
E ciascuna di lor fosse contenta,
Siccome io credo che sariamo noi. »

La Bice qui nominata è, come ognuno conosce, la Beatrice di Dante; Vanna, o Giovanna, era l'amorosa di Guido Cavalcanti; quella ch'è in sul numero del trenta, cioè quella che nel serventese in lode delle sessanta belle fiorentine cadeva in sul numero trenta (come la Beatrice, apprendiamo dalla Vita Nuova, cadeva in sul numero nove) era la donna di Lapo Gianni, la quale, se non erro, chiamavasi monna

1 La città ove nacque, visse e mori Beatrice, non essendo mai stata da Dante significata pel suo proprio nome, v' ha taluno che obietta non potersi dir con certezza esser Firenze. Egli è vero che mai non l'ha nominata esplicitamente: ma quando egli ha detto d'aver tante volte incontrato la sua donna per via, nel tempio, nelle radunanze delle sue compagne ; quand'egli ha detto che, nonostante i sofferti patimenti, non desiderava e non cercava che di vederla, non ha egli detto implicitamente che Beatrice dimorava nella stessa città, ove trovavasi egli, vale a dire in Firenze?

V'ha tal altro che dice, non potersi dir con certezza, il nome proprio dell'amata di Dante essere stato Beatrice, dappoichè questo vocabolo può significare donna che beatifica, che ne fa beati, e dappoichè l'accorciamento Bice, solo il quale converrebbe a donna vera e reale, non si trova pure una volta nelle rime di Dante. Dice benissimo costui, perchè l'accorciamento Bice, che si conviene a donna vera e reale, non si trova pure una volta, ma due: cioè nel sonetto qui sopra riportato : E monna Vanna e monna Bice poi, e nel sonetto lo mi senti' svegliar (duodecimo della Vita Nuova): Io vidi monna Vanna e monna Bice.

Lagia. Potrà egli mai il lettore supporre, che fra queste femmine fiorentine la sola Beatrice fosse una scienza od un simbolo, e che Dante volesse condurla seco a diporto, come nel Sonetto si esprime? Se tale invero fosse da dirsi colei, converrebbe dir tali, cioè simboli e scienze, anche le amanti di Guido e di Lapo, e così una grande stranezza condurrebbe ad un' altra maggiore, come di fatto ha condotto il Rossetti; il quale s'è dato affatto a credere che le donne de' nostri primi poeti siano tutte fantastiche e ideali, e che il linguaggio da essi tenuto sia un gergo convenzionale e furbesco della setta ghibellina o imperiale.

1

Io non denego punto a questo moderno interpetre la lode di uomo dottissimo e assai studioso delle opere del divino poeta e degli altri nostri antichi scrittori: affermo anzi che molte cose pertinenti alla storia siano da esso state ben vedute, e ben dichiarate nella Divina Commedia, e presentate al lettore con un apparato imponente d' erudizione storica e filologica; nientedimeno quella effrenata intemperanza di novità, che lo ha portato a rinvenire un gergo settario in un linguaggio erotico-platonico, che al più potrà dirsi iperbolico, è ciò che non puossi consentire da chi non è timido amico del vero. Forte mi duole che ad un illustre figlio d'Italia, balestrato dalle fortune politiche nelle nebbie del settentrione, e tuttavia amantissimo

Di questa terra,

Che fuor di sè lo serra,

Vuota d'amore, e nuda di pietade, »

io sia costretto in questa disquisizion letteraria a dimostrarmi contrario: ma l'amore ch'io porto agli scritti ed alla fama di Dante mi chiede imperiosamente, ch' io dimostri l'insussistenza del sistema rossettiano; sistema che il forte e sublime linguaggio del poeta divino riduce a quello meschinissimo dei logogrifi e degli acrostici, e che, come il nordico fantastico miticismo, minaccia d' operare nella filologia e nella esegesi storica e letteraria una dannosissima e vergognosa rivoluzione. Della quale insussistenza se io qui non terrò lungo discorso, avvegnachè me lo riserbi a tempo e luogo più opportuno, darò per lo meno un cenno in ciò che possa aver relazione al libro della Vita Nuova.

Avevano i Ghibellini (dice il Rossetti 2) un gergo convenzwnale, a tutti i più distinti lor personaggi comune, per mezzo

1 « La donna di Guido Cavalcanti era la stessa che quella di tutti gli > altri allegorici rimatori. » ROSSETTI, vol. II, pag. 471.

Vol. II, pag. 351.

« ÖncekiDevam »