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gente atta allo universale imperio; altrimenti mancherebbe nel suo proposito, lo che è impossibile. Qual sia questo luogo, e questa gente, per le cose dette, e per quelle da dire, si vede; e questo è Roma, e il popolo suo. Questo ancora manifesta Virgilio assai sottilmente nel sesto, dove Anchise così parla ad Enea padre de' Romani: Altri uomini scolpiranno meglio ne' metalli, e ne'marmi faranno volti quasi vivi; ed oreranno meglio innanzi a' giudici, e misureranno i corsi de' cieli: ma tu, Romano, terrai a mente di reggere i popoli coll' imperio. Queste saranno l'arti tue: dare modo alla pace, perdonare agli umili e schiacciare i superbi. Ed accortamente descrive la disposizione del luogo nel quarto libro, dove introduce Giove parlante a Mercurio di Enea in questo modo : La madre sua bellissima non ce lo promise tale, e due volte lo difende dall' armi de' Greci: ma disse, che sarebbe quello che reggerebbe l'Italia piena d'imperio e in battaglia potente. Per le cose dette è manifesto, che il popolo romano fu dalla natura ordinato a imperare. Adunque, soggiogando a sè la terra, ragionevolmente s' attribuì l' imperio.

§ VIII. A volere bene ritrovare la verità di quello che cerchiamo, è da sapere che il divino giudicio nelle cose alle volte è occulto e può essere manifesto per due modi, o per ragione o per fede. Imperocchè alcuni giudicii di Dio sono, a' quali la ragione umana co' proprii piedi può pervenire, come a questo : che l'uomo per la salute della patria si debba sottomettere al pericolo. Imperocchè se la parte si debbe mettere a pericolo per salvare il tutto, essendo l' uomo parte della città, come dice Aristotele nella Politica, debbe l'uomo per salvare la patria mettere sè a pericolo, come minor bene pel bene maggiore. E così dice Aristotele nell' Etica: Il bene proprio è amabile, e il bene comune è più nobile e divino. E questo può conoscersi giudizio di Dio altrimenti la umana ragione, nella sua rettitudine, non seguirebbe l'intenzione della natura, e questo è impossibile. Altri giudicii di Dio sono, a' quali la ragione umana non può pervenire per suo vigore: nientedimeno vi perviene con

in sacris literis nobis dicta sunt; sicut ad hoc quod nemo, quantumcumque moralibus et intellectualibus virtutibus, et secundum habitum et secundum operationem perfectus, absque fide salvari potest: dato quod nunquam aliquid de Christo audiverit. Nam hoc ratio humana per se justum intueri non potest, fide tamen adjuta potest. Scriptum est enim ad Hæbræos Impossibile est sine fide placere Deo. Et in Levitico: Homo quilibet de domo Israel, qui occiderit bovem, aut ovem, aut capram, in castris vel extra castra, et non obtulerit ad ostium tabernaculi oblationem Domino, sanguinis reus erit. Ostium tabernaculi Christum figurat, qui est ostium conclavis æterni, ut ex Evangelio elici potest: occisio animalium operationes humanas. Occultum vero est judicium Dei ab humana ratione, quæ nec lege naturæ, nec lege scripta ad eum pertingit; sed de gratia speciali quandoque pertingit; quod fit pluribus modis; quandoque simplici revelatione, quandoque revelatione, disceptatione quadam mediante. Simplici revelatione dupliciter: aut sponte Dei, aut oratione impetrante. Sponte Dei dupliciter: aut expresse, aut per signum. Expresse, sicut revelatum fuit judicium Samueli contra Saulem ; per signum, sicut Pharaoni revelatum fuit per signum, quod Deus judicaverat de liberatione filiorum Israel. Oratione impetrante, quod sciebant, qui dicebant: Cum ignoramus quid agere debeamus, hoc solum habemus residui ut ad te oculos dirigamus. Disceptatione vero mediante dupliciter: aut sorte, aut certamine. Certare enim, ab eo quod est certum facere, dictum est. Sorte siquidem quandoque Dei judicium revelatur hominibus; ut patet in substitutione Matthiæ in Actibus Apostolorum. Certamine vero dupliciter Dei judicium aperitur vel ex collisione virìum, sicut fit per duellum pugilum, qui duelliones etiam vocantur: vel ex contentione plurium ad aliquod signum prævalere conantium, sicut

l'aiuto della fede, e di quelle cose che sono nelle sante Lettere scritte, come a questo: che nessuno, benchè abbia morali e intellettuali virtù, e sia in esse perfetto secondo l'abito e secondo le operazioni, senza la fede non si può salvare: dato che non mai abbia di Cristo alcuna cosa udita. Imperocchè questo la ragione umana, per sè medesima, non può vedere se è giusto, ma aiutata dalla fede il può. Imperocchè è scritto agli Ebrei : Impossibile è senza la fede piacere a Dio; e nel Levitico è detto: Ciascuno uomo della casa d'Israel, che avrà morto bue o pecora o capra, ne' campi o fuori de' campi, e non avrà fatto offerta al Signore presso all' uscio del tabernacolo, sarà condannato come omicida. L'uscio del tabernacolo significa Cristo, il quale è l'uscio e la chiave dello eterno regno, come si può intendere per lo Evangelio: l' uccisione degli animali significa le operazioni umane. Ma occulto è il giudizio di Dio, al quale la umana ragione nè per legge di natura nè per legge di scrittura, ma per speciale grazia divina, alcuna volta perviene ; e questo si fa in molti modi: alcuna volta per semplice rivelazione, alcuna volta per rivelazione mediante alcuna discettazione. E per semplice rivelazione si fa in due modi: o per volontà di Dio, o per mezzo dell' orazione. Se si fa per volontà di Dio, in due parti si divide: o si fa espressamente o per segno. Espressamente, come fu rivelato il giudizio a Samuele contro a Saule ; per segno, come fu a Faraone rivelato pe' segni quello che avea Iddio giudicato della liberazione de' figliuoli di Israel; per mezzo dell' orazione, come si dice nel secondo de' Paralipomeni: Quando noi non sappiamo quello che noi dobbiamo fare, questo solo ci resta fare: che gli occhi nostri a te dirizziamo. Ma mediante la discettazione in due modi avviene: o per sorte o per contenzione; la quale contenzione si chiama certare, cioè certo fare. Così per sorte il giudizio di Dio alcuna volta si rivela agli uomini ; come apparisce negli Atti degli Apostoli nella sostituzione di Mattia. Per contenzione in due modi si manifesta il giudizio di Dio: o veramente per comparazione di forze, come avviene a due combattenti ; i quali si chiamano duelli, perchè tra due è questo combattimento: ovvero per contenzione di più, che si sforzano d' arrivar prima d' ogni altro a un certo

fit per pugnam athletarum currentium ad bravium. Primus istorum modorum apud Gentiles figuratus fuit in illo duello Herculis et Anthei, cujus Lucanus meminit in quarto Pharsaliæ et Ovidius in nono de rerum Transmutatione. Secundus figuratur apud eosdem in Atalanta et Hippomene, in decimo ejusdem. Similiter et latere non debet quoniam in his duobus decertandi generibus ita se habet res, ut in altero sine injuria decertantes impedire se possint, puta duelliones: in altero, autem non; non enim athletæ impedimento in alterutrum uti debent, quamvis poeta noster aliter sentire videatur in quinto, cum fecit remunerari Euryalum. Propter quod melius Tullius in tertio de Officiis hoc prohibuit, sententiam Chrysippi sequens; ait enim sic: Scite Chrysippus, ut multa: Qui stadium (inquit) currit, eniti et contendere debet, quam maxime possit, ut vincat: supplantare autem eum, quicum certel, nullo modo debet. Iis itaque in capitulo hoe distinctis, duas rationes efficaces ad propositum accipere possumus: scilicet a disceptatione athletarum unam, et a disceptatione pugilum alteram; quas quidem prosequar in sequentibus et immediatis capitulis.

§ IX. Ille igitur populus, qui cunctis athletizantibus pro imperio mundi prævaluit, de divino judicio prævaluit. Nam cum diremptio universalis litigii magis Deo sit curæ, quam diremptio particularis: et in particularibus litigiis quibusdam per athletas divinum judicium postulatur, juxta jam tritum proverbium: Cui Deus concedit, benedicat et Petrus ; nullum dubium est, quin prævalentia in athletis pro imperio mundi certantibus Dei judicium sit sequuta. Romanus populus cunctis athletizantibus pro Imperio mundi prævaluit: quod erit manifestum, si considerentur athletæ, et si consideretur et bravium sive meta. Bravium sive meta fuit, omnibus præesse mortalibus hoc enim imperium dicimus. Sed hoc nulli contigit nisi romano populo: hic non modo primus, quin et solus, qui attigit metam certaminis, ut statim patebit. Primus namque inter mortales, qui ad hoc bravium anhelavit, Ninus fuit, Assyriorum rex: qui quamvis cum consorte thori Semi

segno, come avviene a quelli atleti che corrono al palio. Il primo modo fu figurato nel duello di Ercole e di Anteo, del quale fece menzione Lucano nel quarto della Battaglia Farsalica, e Ovidio nel nono delle Metamorfosi. Il secondo modo è figurato appresso di que' medesimi in Atalanta ed Ippomene nel decimo delle Metamorfosi. È da sapere egualmente che in questi due modi di combattere è questa condizione che nell'uno i combattenti si possono senza ingiuria impedire, com'è nel duello, ma nell'altro no; perchè quelli che corrono al palio non debbono impedirsi; benchè il poeta nostro pare che abbia altrimenti senlito nel quinto, quando fece rimunerare Eurialo. E però meglio Tullio nel terzo degli Officii questo vietò, seguitando la sentenza di Crisippo, dove dice in questo modo: Rettamente sentì Crisippo in questa, come in molte altre cose, quando disse: Chi corre al palio deve sforzarsi quanto più può di vincere, ma dare gambetto a colui che con lui combatte non debbe. Fatta questa distinzione, possiamo pigliare due ragioni al proposito nostro molto efficaci: una dal combattere degli atleti che corrono al palio, l'altra dal combattere de' duelli ; e questo porrò immediatamente ne' seguenti capitoli.

§ IX. Adunque quel popolo, il quale avanzò tutti gli altri nel correre allo imperio del mondo, per divina ragione li avanzò, perchè Iddio ha cura di chiarire la lite universale molto più che la particolare. E certamente nelle particolari liti si richiede il divino giudizio, secondo quel proverbio che dice: A chi Iddio la concede, santo Pietro lo benedica. E però non è dubbio, che il prevalere de' combattenti allo imperio del mondo sia stato ordinato dal giudizio divino. Il popolo romano prevalse a lutti i combattenti per lo imperio del mondo; e questo sarà manifesto, se si considerino i combattenti, e se si consideri il premio ed il termine. Certamente il premio ed il termine fu d'avanzare tutti i mortali; imperocchè questo si chiama imperio. E questo non avvenne ad alcun popolo se non al romano; il quale non solamente primo, ma solo, pervenne al termine della battaglia, come poco dipoi dichiareremo. Il primo che tra' mortali si sforzò d' acquistare questo premio, fu Nino re degli Assiri; il quale benchè con la donna sua

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