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imperio coloro, che fingono d'essere figliuoli della Chiesa; conciossiachė vegghino lo sposo della Chiesa, Cristo, avere quello in tal modo approvato nell' uno e nell' altro termine della sua milizia. E già sufficientemente estimo avere dimostrato, che il popolo romano per ragione sopra tutti gli altri si attribui l'imperio. O felice popolo, o Italia gloriosa, sc quello che indeboli l' imperio tuo mai non fusse nalo, ovvero la sua pia intenzione mai lo avesse ingannato !

LIBRO TERZO.

Come l'autorità del monarca, ovvero dell' imperio,
dipende immediatamente da Dio.

§ I. Egli ha chiuso le bocche a' lioni, ed essi non m'hanno nociuto, perchè nella presenza di lui s'è in me trovata giustizia. Nel principio di questa opera fu nostro proposito ricercare tre quistioni, secondo che patisse la presente materia: due delle quali ne' libri di sopra estimo essere sufficientemente trattate; ora ci resta a trattare della terza. E perchè la verità di questa non si può dichiarare senza vergogna e rossore d'alcuni, sarà forse in me qualche cagione d'indegnazione. Ma perchè la verità dal suo immutabile trono ei priega; ed anche Salomone, entrando nella selva de' Proverbii, ci ammaestra che dobbiamo meditare la verità e detestare la empietà; ed ancora il precet tore de' costumi, Aristotele, ci conforta che dobbiamo, per difendere la verità, distruggere ancora le proprie nostre opinioni; io però piglierò fidanza insieme con le premesse parole di Daniello profeta, nelle quali la divina polenza è chiamata lo scudo del difensore e de' difesi, secondo il primo ammonimento di Paolo dicente: Costui vestitosi la corazza della fede, nel caldo di quello carbone, il quale uno de' serafini prese dal celeste altare, e toccò le labbra d'Isaia ; e così presa questa fidanza, io entrerò nella presente battaglia : e confidandomi ancora nel braccio di colui, che col suo sangue dalla potenza

guine suo, impium atque mendacem de palæstra, spectante mundo, ejiciam. Quid timeam? cum Spiritus Patri et Filio coæternus dicat per os David: In memoria æterna erit justus, ab auditione mala non timebit. Quæstio igitur præsens, de qua inquisitio futura est, inter duo luminaria magna versatur: romanum scilicet pontificem et romanum principem; et quæritur, utrum authoritas monarchæ romani, qui de jure monarcha mundi est, ut in secundo libro probatum est, immediate a Deo dependeat; an ab aliquo Dei vicario vel ministro, quem Petri successorem intelligo, qui vere est claviger regni cælorum.

§ II. Ad præsentem quæstionem discutiendam, sicut in superioribus est peractum, aliquod principium est sumendum, in virtute cujus aperiendæ veritatis argumenta formentur. Nam sine præfixo principio, etiam vera dicendo, laborare quid prodest? cum principium solum assumendorum mediorum sit radix. Hæc igitur irrefragabilis veritas præmittatur; scilicet quod illud quod naturæ intentioni repugnat, Deus nolit. Nam si hoc verum non esset, contradictorium ejus non esset falsum; quod est Deum non nolle quod naturæ intentioni repugnat. Et si hoc non est falsum, nec ea quæ sequuntur ad ipsum. Impossibile enim est in necessariis consequentiis falsum esse consequens, antecedente non falso existente. Sed ad non nolle al terum duorum sequitur de necessitate, aut velle, aut non velle: sicut ad non odire necessario sequitur, aut amare, aut non amare: non enim non amare est odire ; nec non velle est nolle, ut de se patet. Quæ si falsa non sunt, ista non erit falsa Deus vult quod non vult; cujus falsitas non habet superiorem. Quod autem verum sit quod dicitur, sic declaro: Manifestum est quod Deus finem naturæ vult; aliter cœlum otiose moveretur, quod dicendum non est. Si Deus vellet impedimentum finis, vellet et finem impedimenti ; aliter etiam otiose vellet. Et cum finis

delle tenebre ci liberò, gli empii e i mendaci, al cospetto del mondo, dalla palestra discaccierò. Sotto l'aiuto di colui, che temerò io? conciossiachè lo Spirilo coeterno al Padre ed al Figliuolo dica per la bocca di David : Il giusto sarà nella memoria eterna, e non temerà del male udire. Adunque la quistione, della quale prima abbiamo a ricercare, tra due grandi lumi si rivolge; e questo è tra il romano pontefice ed il romano principe. E cercasi se l'autorità del Monarca Romano, il quale di ragione è monarca del mondo, come nel secondo libro abbiamo provato, senza mezzo dipende da Dio, ovvero pel mezzo d' alcuno suo vicario o ministro, il quale intendo successore di PieIro, che veramente porta le chiavi del celeste regno.

§ II. Come nelle superiori quistioni abbiamo fatto, similmente nella soluzione di questa si vuole pigliare qualche principio fermo, nella virtù del quale si formino gli argomenti della verità, che al presente si ricerca. Imperocchè senza un principio prefisso, non giova affaticarsi ancora dicendo il vero; conciossiachè solo il principio è la rudice del pigliare i mezzi. Adunque si presuppone questa verità irrefragabile: che Iddio non vuole quello che repugna alla natura. Imperocchè, se questo non fusse vero, il suo contradittorio non sarebbe falso; il quale è che Iddio voglia quello che repugna alla intenzione della natura. E se questo non è falso, non sono false ancora quelle cose che di questo seguitano. Imperocchè egli è impossibile nelle conseguenze necessarie il conseguente essere falso, non essendo falso l'antecedente. Ma al non nonvolere l'uno de' due seguita per necessità, o volere o nonvolere; come al non odiare, per necessità seguita o amare o nonamare. Imperocchè il non amare non è odiare, nè il non volere è nonvolere, come di per sè medesimo è manifesto. Le quali cose se non sono false, non sarà falsa questa: Iddio vuole quel che non vuole; la falsità della quale non ha superiore. E che sia vero quello che qui si dice, così dichiaro: Egli è manifesto, che Iddio vuole il fine della natura; altrimenti il cielo si muoverebbe invano, la qual cosa non si debbe dire. Se Iddio volesse lo impedimento del fine, vorrebbe ancora il fine dello impedimento, altrimenti vorrebbe questo invano. E perchè il fine dello impe

impedimenti sit, non esse rei impedita; sequeretur, Deum velle non esse finem naturæ, qui dicitur velle esse. Si enim Deus non vellet impedimentum finis, prout non vellet, sequeretur ad non velle, quod nihil de impedimento curaret, sive esset sive non esset. Sed qui impedimentum non curat, rem quæ potest impediri non curat, et per consequens non habet in voluntate; et quod quis non habet in voluntate, non vult. Propter quod, si finis naturæ impediri potest, quod potest; de necessitate sequitur, quod Deus finem naturæ non vult; et sic sequitur quod prius, videlicet Deum velle quod non vult. Verissimum igitur est illud principium, ex cujus contradictorio tam absurda sequuntur.

§ III. In introitu ad quæstionem hanc notare oportet, quod primæ quæstionis veritas magis manifestanda fuit ad ignorantiam tollendam, quam ad tollendum litigium. Sed hoc fuit secundæ quæstionis, ut quomodo et qualiter ad ignorantiam ita ad litigium se habeat. Multa etenim ignoramus, de quibus non litigamus: nam geometra circuli quadraturam ignorat, non tamen de ipsa litigat; theologus vero numerum angelorum ignorat, non tamen de illo litigium facit; Ægyptius civilitatem Scytharum ignorat, non propter hoc litigium facit de eorum civilitate. Hujus quidem tertiæ quæstionis veritas tantum habet litigium, ut quemadmodum in aliis ignorantia solet esse caussa litigii, sic et hic litigium caussa ignorantiæ sit. Magnis hominibus namque rationis intuitum voluntate prævolantibus, hoc sæpe contingit: ut male affecti, lumine rationis posposito, affectu quasi cæci trahantur, et pertinaciter suam denegent cecitatem. Unde fit persæpe, quod non solum falsitas patrimonium habeat, sed plerique, ut de suis terminis egredientes, per aliena castra discurrant, ubi nihil intelligentes ipsi, nihil intelliguntur; et sic provocant quosdam ad iram, quosdam ad indignationem, nonnullos ad risum. Igitur contra veritatem, quæ quæritur, tria hominum genera maxime colluctantur. Summus namque Pontifex, domini nostri Jesu Christi vicarius et Petri successor, cui non quicquid Christo sed qui

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dimento egli è il non essere della cosa impedita, seguiterebbe che Iddio volesse non essere il fine della natura, il quale si dice volere essere. Imperocchè se Iddio non volesse lo impedimento del fine, come e' non volesse, così seguiterebbe al non volere, e nulla si curerebbe dello impedimento o fusse o non fusse. Ma chi non cura lo impedimento non cura quella cosa che si può impedire, e conseguentemente non l'ha nella volontà; e quello che alcuno non ha nella volontà, non vuole. Per la qual cosa, se il fine della natura può essere impedito, di necessità séguita che Iddio non vuole il fine della natura; e così séguita quello di prima, e questo è: Iddio volere quello che non vuole. Adun- ̧ que è verissimo quello principio, del cui contradittorio tante assurde cose seguitano.

§ III. Nel principio di questa quistione è da intendere, che la verità della quistione prima fu più da manifestare per levare l'ignoranza, che per levare la lite. Ma la verità della seconda quistione fu per levare l'ignoranza e il litigio. Molte cose sono che noi non sappiamo, nientedimeno non ne litighiamo imperocchè il geometra non sa la quadratura del circolo, ed anche non ne litiga; il teologo non sa il numero degli angeli, e di quello non fa lite; e lo Egizio non sa la civiltà degli Sciti, ed anche della loro civiltà non contende. Certamente la verità di questa terza quistione ha tanto litigio, che come agli altri suole l'ignoranza essere cagione di lite, così qui sia maggiormente la lite cagione d'ignoranza. Imperocchè agli uomini, che volano con lo appetito innanzi alla considerazione della ragione, sempre questo séguila: che eglino male disposti, e posposto il lume della ragione, sono tirati come ciechi dallo affetto, e pertinacemente la loro cecità niegano. Onde spesso avviene, che la falsità non solamente ha patrimonio, ma che molti, de' loro termini uscendo, discorrano pe' campi d'altri, ove eglino nulla intendendo, nulla sono intesi; e così provocano alcuni ad ira ed indignazione, altri a riso. Adunque contro alla verità, che qui si ricerca, tre condizioni d'uomini massime fanno resistenza; perchè il sommo Pontefice vicario di Cristo e successore di Pietro, al quale noi non dobbiamo ciò che dobbiamo a Cristo ma ciò che dob

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