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Cerchi e i Donati. XXI. Il Pontence, insospettito de'Cerchi come d'amici a'Ghibellini, manda a Firenze un Cardinale a paciaro. Sua mala riuscita. Confino dei principali delle due parti. XXII. Quale era stato il fatto, che determinò la nimicizia fra le due parti de'Cerchi e de'Donati: quali famiglie tennero per gli uni o per gli altri. XXIII. Degli sbanditi, alcuni rompono il confino, altri sono richiamati. Consiglio de'Donati in Santa Trinita. XXIV. Dino s'intromette, per la pace della città, fra la Signoria e i Donati. I Cerchi gridano contro; e si scuopre una congiura ordinata dai Donati pel Consiglio di Santa Trinita. XXV. I Cerchi si afforzano in Pistoia. Parte Nera e parte Bianca de'Cancellieri. Capitaneria di Cantino Cavalcanti. Condizioni della cittadinanza pistoiese. Capitaneria d'Andrea Gherardini. Cacciata de'Neri. XXVI. Deplorevoli conseguenze, alla città di Pistoia, della cacciata de'Neri. Accenno all'assedio che poi i Neri di Firenze posero a Pistoia nel 1306. - XXVII. I Cerchi non sanno profittare in Firenze della vittoria procurata a Parte Bianca in Pistoia. Schiatta Cancellieri Capitano di guerra in Firenze. Prime arti de'Donati contro i Cerchi: divisione di Parte Guelfa.

I. Quando io cominciai, proposi di scrivere il vero delle cose certe che io viddi e udì', però che furono cose notevole, le quali ne' loro princípi nullo le vide certamente come io: e quelle che chiaramente non viddi, proposi scrivere secondo udienzia; e perchè molti secondo

I. Metodo propostosi dall' A. Descrizione di Firenze.

1 Cominciai. Sottintendi, non « a scrivere », ma solo a pensare di scrivere»; come se dicesse «Fin da quando io rivolsi l'animo a questa cosa ».

2 Proposi.« Stabilii, quasi proponendo a me medesimo ».

3 Scrivere il vero delle cose certe che ece. « Scrivere cose delle quali ero certo per averle vedute e udite, e scriverne la verità ». Certezza, opposto di dubbiezza, è nella coscienza dello storico, e risguarda il fatto: verità, opposto di falsità, è nell'esposizione dello storico, e risguarda il giudizio sul fatto. Cfr. appresso, not. 5.

4 Ne' loro principi. Principio qui vale più che «cominciamento». «Princípi di fatti storici », significando e le origini di questi e il primo e genuino loro manifestarsi, vuol propriamente dire « la sostanza de' fatti ». Ond'è che talvolta principio acquista quasi il significato stesso di fatto, come dove il Petrarca (son. 139) dice che la Fortuna contrasta volentieri « a' bei principi », e cosi altrove (canz. Spirto gentil)« al«l'alte imprese ».

5 Certamente.... chiaramente. Conforme al detto poc'anzi (not. 3), vedere certamente le cose è « vederle in modo che escluda ogni dubbio »; il quale quan

do rimanga, l'effetto è che non si veggano chiaramente. Altrove [I, xxvi, 16) il Nostro, scriver certamente d'una cosa, per « scriverne con perfetta co

noscenza ».

6 Secondo udienzia. « Secondo quel che ne udissi dire ». Ma poichè ciò non darebbe ai fatti sufficiente credibilità, aggiunge: secondo la maggior fama, che risponde a quel ch'è oggi « l'opinione pubblica »; la quale dovrebbe invero essere uno de' criteri e di verità e di moralità. E singolare (cfr. Proemio), come in questa dichiarazione del metodo e degl' intendimenti propri, Dino, il narratore trecentista, vada del pari con uno de' più solenni maestri dell'arte istorica, Tucidide (Guerra del Peloponneso, I, xxII, 2): « Delle cose << operate in essa guerra, non giudicai « dovere scrivere quante cosi alla ven<< tura-mi venisse fatto d'ascoltare, nè << secondo il mio proprio avviso, ma << quelle alle quali mi ritrovai, o se nar<< rate da altri, quelle che con ogni mag« gior diligenza venni ad una ad una << appurando. Dove ebbi a durar fatica << per conoscere il vero; imperocchè « coloro che si erano ritrovati ai fatti, << non li raccontavano tutti a un modo, << ma o secondo passione o così come « se ne ricordavano ».

le loro voluntà corrotte trascorrono nel dire, e corrompono il vero, proposi di scrivere secondo la maggiore fama. E acciò che gli strani possino meglio intendere le cose avvenute, dirò la forma della nobile città, la quale è nella provincia di Toscana, di Toscana, e dedicata sotto il segno di Marte, ricca e larga di imperiale fiume di acqua dolce il quale divide la città quasi per mezzo, con temperata

7 Trascorrono. Sottintendi « oltre al vero, fuor del vero »; e così lo guastano, lo corrompono; e ciò non per errore o leggerezza (Tucidide ammette anche questo vizio nelle fonti storiche, che, secondo la distinzione dianzi, not. 3 e 5, fatta, risguarda la certezza), ma con cattiva intenzione, secondo le loro volontà corrotte, cioè « con deliberata offesa della verità ».

8 Strani.« Stranieri, forestieri »; e deve intendersi «i non fiorentini », o al più «i non toscani ». A ogni modo mostra come Dino si volgesse ad un circolo di lettori non angusto, e non come autore di semplici ricordanze o memorie, ma formalmente come istorico.

9 Diro la forma. « Descriverò ».

10 Nobile città. Anche questa volta (cfr. Introduzione, 3) si astiene dal nominarla, ma ripete l'appellazione nobile città; quasiche a far intender « Fi

renze» basti lo averla lassù chiamata la figliuola di Roma.

E dedicata ecc. [Così il ms. a, e l'ed. Mr. Tutti gli altri mss. e le edd., edificata]. Consacrata alla protezione, posta solennemente sotto gl'influssi, della stella (segno) di quell' Iddio »; del cui culto in Firenze pagana, cfr. DANTE, Inf., XII, 144, e G. VILLANI, I, XLII. La indicazione astrologica del Compagni accenna a quelle superstizioni popolari sulla fondazione di Firenze (cfr. G. VILLANI, III, 1), che nella Cronaca malispiniana (ci) sono esposte così: « Notate << qui che la nostra città è stata fondata << la prima e la seconda volta sotto la << pianeta d'Aries e di Marti, che signi<< ficano che tutti quelli della nostra città << ragionevolmente debbono essere av<< venturati e prodi uomini d'arme, e << simile in mercatanzia; e quelli della << città nostra di Fiorenza ch'useranno « le sopradette cose, per ragione sono << dotati in queste due cose essere va«<lenti; perocchè la pianeta d'Aries si«gnifica mercatanzia e quella di Marti battaglia, e ab antico i nostri antichi

« sempre faceano battaglie e guerre; e << quando non aveano con cui, tra loro << medesimi si combatteano ». E Brunetto Latini nel suo Tesoro (trad. di Bono Giamboni, I, xxxvII): « .... non è << meraviglia se i Fiorentini stanno sem<< pre in briga e in discordia, chè quella << pianeta regna tuttavia sopra loro ».

12 Larga. Abbondante, copiosa » ; nel qual senso ha esempi, e usato assolutamente, e in reggimento d'alcun nome per via della prep. di. « Larga di viti e d'arbori » chiama l'Ottimo commentatore l'isola di Creta, spiegando quel di Dante «lieta d'acque e di fronde» (Inf., xiv, 97); e ser Giovanni Fiorentino (Pecorone, XVII, 1), << fornita e larga d'ogni bene» l'Italia.

13 Imperiale fiume. Chiamansi comunemente « reali » i fiumi che, come l'Arno, portano direttamente le loro acque al mare. «Questa provincia di << Toscana ha più fiumi: intra gli altri «reale e maggiore si è il nostro fiume «< d'Arno ». G. VILLANI, I, XLIII. E << reale » e« imperiale » denotano (ma oggi imperiale» in tal senso non si dice propriamente che di « carta »), fra cose della medesima specie, le maggiori o le eccellenti. «Buono pianeta impe<< riale è il sole per Brunetto Latini (Tesoro, II, XLI). Anche per Dante «< il

fiumicel che nasce in Falterona » (Purg., XIV, 17) è, dopo preso il suo corso, « fiume reale» (Purg., v, 122), e, quando bagna la gran villa », il «bel fiume » (Inf., xxiii, 95).

14 Di acqua dolce. [D' acque dolci, i mss. E, H, s]. Cfr. Fatti di Cesare, ed. Banchi, p. 93: <.... quattordici fiumi << di dolci acque, e queste nascono di fon<< tane e di vene d'alpi »; come l'Arno dalla Falterona. Illustra ambedue i passi uno di Brunetto Latini (Tesoro, III, v; cfr. sul medesimo argomento i Trattati d'Agricoltura di Palladio, del Crescenzio, ecc.), dove raccomanda, per « la « bontade dell'acqua », che « la non esca << di palude..., che 'l suo colore sia lu

aria, guardata da nocivi venti, povera di terreno, abbondante di buoni frutti, con cittadini pro' d' armi, superbi e discordevoli, e ricca di proibiti guadagni, dottata e temuta, per sua grandezza, dalle terre vicine, più che

amata.

Pisa è vicina a Firenze a miglia XL, Lucca a miglia XL, Pistoia a miglia xx, Bologna miglia LVIII, Arezzo

cente, il sapore dolce e di buono odo«re», pure parlando di « fiume ben << corrente su sabbione ecc. » Dell'Arno poi in particolare, un Cronista del 1339 scriveva: Arnus... per civitatem de<< currit, cuius aqua est valde suavis,

quae per meatus terrae totius civitatis <se effundens, dat unicuique potentiam in domo propria puteum perficere optimae aquae ». (S. BALUZII, Miscel lanea, ed. Mansi, IV, 117).

15 Porera di terreno. « Scarsa di territorio; cioè, che Firenze avea piccola giurisdizione, era un piccolo Comune: come quella che dovette prima guadagnarsi il suo contado con le armi contro i nobili feudatari che lo abitavano da signori, poi difenderlo più d'una volta contro l'Impero, in nome del quale i nobili resistevano. Riferisci bensi tutto questo a' primi tempi del Comune fiorentino.

16 Frutti. «Tutti i prodotti del suolo coltivato ». Nello stesso senso il Boccaccio (Decam., Introd.): « I frutti delle << terre ».

17 Discordevoli. Non tanto vale « discordi», quanto « amatori di discordia, facili a díscordia»; ed è la solita desinenza che notammo in prosperevole, la quale atteggia l'add. a significare qualche cosa di possibile e futuro.

18 Proibiti. «Illeciti, men che onesti »; quelli che Dante (Inf., xvi, 73) chiama, pur parlando di Firenze, «subiti».

19 Dottata. Partic. del verbo antiquato dottare (provenz. doptar e dupter; franc. douter; dal lat. dubitare), che significó «temer con sospetto, con dubbio, dubitando di male o pericolo ». E si usò il neutr. pass. dottarsi, e il sost. femm. dottanza (provenz. doptance; ant. franc. doutance; basso lat. dubitantia); e in pari senso si foggiò ridottare, ridottabile, ridottevole (provenz. redoptar; franc. redouter, redoutable).

20 Grandezza. Intendi di « spiriti » o d'animo»: e nota come risalta, in questo senso, l'indole fiera che Dino

attribuisce alla repubblichetta «povera di terreno ». E il Villani rammenta, pur della vecchia Firenze, la grandigia» e la signorevole superbia ».

21 vicina a Firenze a miglia ecc. « La misura delle miglia del contado << di Firenze si prendono ed è loro ter«< mine, delle cinque sestora che sono << di qua dall'Arno, alla chiesa ovvero << duomo di Santo Giovanni; e del con<< tado di là dal fiume d'Arno, si pren<< dono alla coscia del Ponte Vecchio << di qua dall' Arno, dal piliere dov'è << la figura Marti. E questa fue l'an«<tica consuetudine de Fiorentini, e il << migliaio si fu mille passini, che ogni << passino si è tre braccia alla nostra << misura ». G. VILLANI, IV, XXXIII. Restituimmo sopra A ed altri mss. le indicazioni delle varie distanze, che altri editori, molto inopportunamente, hanno voluto correggere. Forse che le strade da Firenze a tutti que' luoghi erano ne'tempi di Dino nè più ne meno lunghe che oggi sono, dopo cinque secoli e mezzo? le quali anzi usavano allora mulattiere, e poi si fecero rotabili e carrozzabili; e dalle une alle altre, anche quanto a lunghezza, c'è una bella diversità: e la testimonianza in Dino di queste diversità è tutt'altro che da togliersi via. Basta solo, per confronto, accennare le distanze odierne (il miglio toscano è eguale a chilometri 1,653607); e questo farò io qui, riferendomi per esse al Repetti (Dizion, geogr. fis. stor. della Toscana). Pisa è a miglia 49; Lucca, 44; Pistoia, 20; Bologna, 57; Arezzo, 44 per la vecchia strada, 50 per la nuova; Siena, 40; San Miniato, 25; Prato, 10; Figline, 18 per la vecchia strada, 24 per la nuova; Poggibonsi, 24. Solamente per Monte Accenico, ho creduto necessario correggere i mss., che hanno quali x e quali XII, con manifesto errore; perocche Monte Accianico, o Accinico, o Accenico, che voglia dirsi, fu un castello in Val di Sieve oltre la terra di Scarperia, la quale è lontana da Firenze più che 20

miglia XL, Siena miglia xxx, Santo Miniato verso Pisa miglia xx, Prato verso Pistoia a miglia x, Monte Accenico verso Bologna miglia XXII, Fighine verso Arezzo miglia XVI, Poggibonizi inverso Siena miglia XVI. Tutte le predette terre con molte altre castella e ville, e da tutte le predette parte, son molti nobili uomini conti e cattani, i quali l'amono più in discordia che in pace, e ubidisconla più per paura che per amore. La detta città di Firenze è molto bene popolata, e generativa per la buona aria; e' cittadini bene costumati, e le donne molto belle e adorne; i casamenti bellissimi, pieni di molte bisognevoli arte, oltre all'altre città d'Italia. Per la qual cosa

È dunque da credere che i copisti omettessero (d'altre corruzioni del testo in fatto di numeri, cfr. I, XI, 17; II, xix, 13; xxix, 10; III, xx1, 10) una x. Perchè poi Dino rammenti, fra gli altri luoghi notissimi, il castello di Monte Accenico che, quando scriveva, era già stato distrutto da' Fiorentini, lo vedremo nel lib. II, cap. xxx e seg. [Poggibonizi, conforme dissero gli antichi, sostituimmo al Pogibonzi o Poggibonzi, del ms. a e di altri, e delle edd. MT, *T, B, sulla fede dei mss. D, F, L, M, Q, R, e secondo la ed. MN].

22 Tutte le predette terre... castella... ville. [Così i mss. e le edd. MT, т. Arbitraria la sanazione dell'anacoluto nelle edd. MN, B, In tutte ecc. Assai somigliante costrutto in G. MORELLI, Cron., 218: « Dico che 'l detto paese di Mu<< gello si può narrare di esso molte

nobili e perfette bontà »]. Terra è denominazione generica di «luogo chiuso da mura », fosse esso o città come Pisa, Lucca, Pistoia, Bologna, Arezzo, Siena, ovvero castello o villa, come San Miniato al Tedesco, Prato (ambedue oggi città), Montaccenico, Figline, Poggibonsi. Castello era più che villa o villata, cioè « villaggio » 0 piccolo paese di contado» poco o nulla fortificato, laddove luogo forte, ancorché piccolo (G. MORELLI, Cron., 223: « colle <<mura ordinate, come si richiede a << castella»), era il castello. « Per ville, per cittadi e per castella», l'Ariosto (Orl. fur., xv, 60). « Uomini di città e << di castella», e« intra castella e cit«<tadi», un contemporaneo del Compagni (Fatti di Cesare, ed. Banchi, p. 10, 51).

E in Vinc. Borghini (Discorsi, I, 361), << terre principali, castella minori, ville «<e borghi », con la medesima gradazione che nel Nostro. Ben è vero che nell'uso de'nostri cronisti e storici trovansi spesso confuse o non curate queste diversità di significato: e, p. es., talvolta terra, lasciando quel suo significato generico, ne acquista uno medio fra città e castello o villa. Cfr. L. SALVIATI (Avvertim. della lingua, cap. I): « Un picciolo castelletto,... a cui il « nome di terra in alcun modo non « converrebbe ».

23 Molti nobili uomini conti e cattani. [Tutti invece di molti, il solo ms. al. Accenna a quelle forze feudali del contado, naturali nemiche della Repubblica, delle quali dicemmo in not. 15. Il carattere e la ragione della inimicizia è toccato qui maestrevolmente da Dino. I conti (comites) erano, come i duchi, i marchesi, gli ecclesiastici, vassalli immediati dell'Impero, da cui teneano il feudo; i cattani (captanei), quasi capitani, e i valvassori o varvassori (vassi vassorum, vassalli di vassalli), erano invece vassalli di quei gran feudatari, e perciò vassalli mediati dell' Impero. G. VILLANI, (III, 1), parlando pur di Firenze, ma in tempi più antichi: « Il contado era « tutto incastellato e occupato da no«<bili e possenti che non obbedieno la «< città ».

24 Bisognevoli arte. « Arti opportune ed utili ai bisogni della vita», e propriamente quelle che si esercitano per la sodisfazione del corpo più che dello spirito. [Pieni di, hanno' tutti i

molti di lontan paesi la vengono a vedere, non per necessità, ma per bontà de' mestieri e arti, e per bellezza e ornamento della città.

II. Piangono adunque i suoi cittadini sopra loro e sopra i loro i loro figliuoli; i quali, per loro superbia e per loro malizia e per gara di ufici, hanno così nobile città

mss., e le edd. T, B; e riferiscesi a casamenti, intendendo « forniti copiosamente di botteghe, dove si esercitano le varie arti opportune ecc. ». Piena di, le edd. Mт e MN, da riferirsi a città, coordinandolo con popolata e generativa].

25 Non per necessità ecc. << Non perchè gli stranieri siano da qualsiasi ragione costretti a visitar Firenze, ma perchè li attrae questo tanto fiorire delle industrie e la bellezza della città ». Rammenta il boccaccesco (Decam., Introd.) .... oltre ad ogni altra italica, bellissima. [Non per necessità e per bontà de' (o di) mestieri e arti, ma per ecc.; i mss. C, E, H, M, N, s, e l'ed. T. Non per necessità, non per bontà ecc., ma per ecc.; D, L. La nostra lezione, e quella delle edd. MT, MN, B (se non che MT е MN sopprimono la per innanzi a bellezza), è suffragata, oltre che dal senso, dagli altri mss., che hanno ma per bontà ecc., sebbene i più fra essi, ed anche il ms. A, ripetono subito appresso inopportunamente il ma, dicendo ma per bellezza ecc. E evidente che il passo venne, di copia in copia, variainente corrompendosi; e lo mostrano anche le correzioni, che alcuni mss. hanno, della loro propria lezione].

II. Danni e antica origine delle discordie civili in Firenze tra Guelfi e Ghibellini. (1215). Essendo il soggetto della Cronaca la divisione di Parte Guelfa in Bianchi e Neri, occorreva accennare per prima cosa la introduzione dei partiti guelfo e ghibellino in Firenze. Questo fa l'A. nel presente capitolo, risalendo all'anno 1215, cioè sessantacinqu' anni prima di quello dal quale muove, nel capitolo seguente, l'ordine cronologico del racconto (cfr. in fine di questo cap.). Anche il Machiavelli (II, i): « La cagione

della prima divisione è notissima, perchè è da Dante e da molti scrit<tori celebrata: pur mi pare breve«mente da raccontarla ».

1 Piangono adunque ecc. [Piangano, tutte le edd., e i mss. C, E, H, M,

o, se veramente tale lezione, la quale però in alcuno dei detti mss. è di seconda mano, dà maggior movimento e colorito al discorso; ma un consimile passo del Nostro (I, xxvi) suffraga

quella che accettiamo dagli altri mss.). Questa è la prima delle molte digressioni, le quali, o in alcuna delle tre forme d'apostrofe notate (Instit. Orat., IX, 11, 38) da Quintiliano (« sive adver<< sarios invadimus, sive ad, invocatio<< nem aliquam convertimur, sive ad << invidiosam implorationem »), o, senza le forme dell'apostrofe, come semplici o invettive o rimpianti o esclamazioni di narratore commosso, servono all'A. principalmente per formulare la sua morale storica, giudicando uomini ed eventi. Cfr. I, xxvi, 1; II, 1, 1; xvIII, 24; xxII, 1; xxiv, 19; xxxi, 1: III, xiv, 13, 22; xv, 20; xxxi, 6, 26; xxxvii, 1; XLI, 1; XLII, not. al tit. Queste digressioni interromperebbero la narrazione de' fatti, se Dino non le avesse collegate ad essa in certa mirabile ed eloquente armonia. Vedi qui come il pianger de' cittadini sulla rovina della città è collegato (adunque) con la bellezza e nobiltà di essa sopradescritte; e quella rovina (hanno disfatta ecc.) e quel pianto si riferiscono alle discordie civili, delle quali è per narrare la prima origine.

2 Suoi. « Della città » descritta nel cap. che precede.

3 I quali. L'antecedente prossimo sarebbe figliuoli »; però la relazione va indubbiamente a «cittadini ». E cfr. appresso, not. 10.

4 Malizia. Nel senso suo più generico, e presso gli antichi più comune, di << Malvagita, Malignità ». In Dante vale assolutamente male (« Lume v'è dato << a bene e a malizia » Purg., xiv, 75), come altrove peccato (« D'ogni malizia << ch'odio in cielo acquista » Inf., x1, 22).

5 Gara di ufici. «Gara fra i cittadini per avere gli uffici, le magistrature». Cfr. I, xx, 1; II, vш, 6; xii, 8; XXVI, 3. Altrove (III, xxvIII, 7) gara d'onori, conforme al lat. «< contentio honorum »>.

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