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<< tiam cum Dante ». Qui è grande confusione di persone e di cose: non diciamo di tempi, poichè a tempo non si accenna menomamente. Venne a Firenze giovincello: sta bene; questi è Carlo Martello, della cui venuta a Firenze narra, in data posteriore all'89, il Villani; giovincello, o almeno giovanissimo, perchè mori a 23 anni nel 1295. Tornava dalle carceri: chi? Carlo Martello? Non vi fu mai. Vi fu il padre suo; vi furono tre suoi fratelli: ma Carlo Martello no. A Firenze, reduce dalle carceri di Catalogna, venne suo padre Carlo II, lo Zoppo, e questi veramente nell' 89; come narrano concordemente e, nel citato luogo, il Nostro e tutti gli altri istorici. Reduci pure dalle carceri catalane sarebber passati di Firenze nel 95 tre figli di esso Carlo II, stando al racconto del Villani: ma nessun d'essi era Carlo Martello. Della data poi 1289, nè di alcun'altra, la postilla non fa cenno; sibbene il Troya e il Balbo: ma su quale altro fondamento? nessuno; chè fondamento non è la venuta, nell'89, di Carlo II. Scrive, sotto quell'anno, con la sua solita ricisione e sicurezza, il Troya: «....... si condussero in Firenze Carlo II <«< di Napoli e il suo primogenito Carlo Martello .... Dante piacque << al giovane Carlo Martello ». Più cauto il Balbo, dopo aver detto ciò che ho riferito in principio di questa mia illustrazione, soggiunge: << Con questo giovane, quantunque brevissimamente fermatosi in << Firenze, pare che fin d'allora strignesse Dante ..... amicizia »; e in nota: « Così asserisce il commentator del codice caietano ... << Così pur crede il diligente Autor del Veltro ». Ma se il codice caietano e tace dell'89, e confonde i due Carli padre e figlio, il prigioniero e l'« iuvenculus », quale autorità rimane alla credenza del Troya e all'assenso del Balbo? Non è evidente che essi non avrebber dovuto fare alcun conto della postilla; e risparmiarsi, il Troya l'affermazione, il Balbo la quasi affermazione, che l'amicizia di Dante col figlio di Carlo II cominciasse nel 1289?

1 I quali tutti, nella venuta dell'89, non danno a Carlo II, come già dissi, la compagnia d'alcun suo figliuolo. Mi piace qui porre, anche per alcuni riscontri col c. 1. del Nostro, le parole della Cronica marciana magliabechiana: « Detto << anno (1289) de maggio venne in Firenze il Prence figliuolo del Re Carlo, che << venia de Catalogna, et andava in Corte di Roma per prendere la corona. Venne << poca gente con lui. Et andava per riavere Cicilia era rubellata. E a die v di << maggio si parti il detto Prence per andare a Corte de Papa ch'era a Rieti, <«<et andò per Siena ». E segue, pressappoco con li stessi particolari di G. Villani in VII, cxxx. Noto altresì che l'altra venuta di Carlo registrata dal Villani sotto il 95, e l'incontro suo con Carlo Martello, sono omessi così da questa Cronica marciana magliabechiana come, per quel ch'io m'abbia visto, dalle altre cronichette di quel tempo.

I documenti poi (oh bella cosa i documenti! quanto più bella delle postille de' codici, e delle argomentazioni o, peggio, delle. affermazioni anche dei dottissimi!), i documenti ci dicono che a dì 5 maggio 1289 ne' Consigli fiorentini si approvava una Provvisione per la quale don Angelo monaco di Settimo, « camerarius » del Comune, ha facoltà e licenza, « quod in honorando et pro honorando <<< illustrissimum virum dominum Karolum secundum, Ierusalem et << Sicilie Regem, et in provisione et pro provisione et dono sibi pro << Comuni Florentie faciendo, possit expendi de ipsius Comunis pe<<< cunia usque in quantitatem mille ducentorum florenorum auri, et << quod iamdictus Camerarius licite et impune possit et teneatur expen<< dere convertere et solvere, de dicti Comunis pecunia, usque in << dictam quantitatem mille ducentorum florenorum auri, in predictis <<et predictorum occasione, in hiis et eo modo et forma et secundum <<< quod predictis dominis Prioribus Artium videbitur convenire, pro << eodem domino Rege honorabilius providendo ». E ciò nonostante Statuti in contrario, e dopo « multa consilia sapientum virorum ante << ipsius domini Regis adventum et postea celebrata ». 1 Parlasi dunque della venuta del solo re Carlo, senz'altri con sè. Ma non così, nelle medesime Provvisioni, cinque anni appresso, cioè a dì 31 marzo 1294, che si stanziano fino a 116 lire di fiorini piccoli « in pretio et pro << pretio sex drapporum deauratorum, pro Comuni Florentie emptorum <<< et habitorum, pro honorando dominum Karolum Ierusalem et Sicilie <<< regem illustrem, et dominam reginam uxorem suam, et etiam do« minum Karolum regem Ungarie, in adventu quem nuper fecerunt << ad civitatem Florentie ». 2 Ed eccoci veramente all'incontro in Firenze fra i due angioini: il re di Sicilia che veniva d'oltremonti, e il re d'Ungheria che veniva da Napoli; lo Zoppo e il Martello; incontro mal registrato dal Villani sotto il 1295. Di esso incontro fanno manifesta dimostrazione e il nominarsi i due re l'uno dall'altro disgiunto, mediante quell' etiam, e più un' altra Provvisione de' 5 maggio pur 1294, dove si parla di ambasciatori mandati << olim » incontro fino a Siena al solo Carlo Martello, 3 pagandosi il mendo

1 ARCH. STAT. FIOR.; Provvisioni; I, c. 111.

2 Provvisioni, Protocolli; II, c. 117.

3 Ond'è da correggere la Cronica senese muratoriana (Rer. italic.; XV, co. 42), che sotto il 93 (di vecchio stile, e sta bene) registra la venuta non del solo Martello ma anche del padre; laddove del passaggio del padre « cum regina » da altra parte, cioè da Lucca, venendo essi di Provenza, fa testimonianza Tolomeo lucchese (Annal., ad an. 1293). Nè potrebbe credersi che a Siena si recassero insieme i due re, movendo da Firenze verso Napoli, perchè passarono da Perugia.

d'un cavallo, guastatosi in detta occasione, al giovane « domino << Giano domini Vieri de Cerchiis, olim pro Comuni Florentie electo «ambaxatori una cum aliis quampluribus ambaxatoribus dicti Co<«<munis, causa eundi oviam illustri domino Karulo Regi Ungarie, << usque ad civitatem Senarum, causa honorandi ipsum dominum << Regem ». 1

Oh se questi documenti avesse conosciuti il buono e bravo professor vicentino Giuseppe Todeschini, che di Carlo Martello re titolare di Ungheria e della corrispondenza fra questo principe e Dante dissertò 2 con sì garbata dottrina! Oh come lietamente avrebbe veduto dalle Provvisioni del nostro Comune, fra per quel che dicono e quello di che non han traccia, confermarsi la sua dimostrazione degli errori di Giovanni Villani, 1o, nel riferire al 1295 « l'incontro << de' due Carli in Toscana », che invece « dovette accadere ne' primi << mesi dell'anno 1294 e forse ai primi di marzo di quell'anno »; 2o, nel porre tale incontro come susseguito alla pace tra Carlo II e Giacomo d'Aragona, la quale invece non fu conchiusa che nell' estate del 1295; 3o, nel far venire a Firenze re Carlo co'tre figliuoli già ostaggi, i quali, quand' egli veramente venne in Firenze, erano sempre nella lor carcere catalana; e non ne furono liberati che dopo la detta pace; 3 e venendo col padre in Italia, non toccarono certamente Firenze (il cui Archivio infatti non ci offre pur l'ombra di testimonianze di altra venuta di Carlo II simili a quelle dell'89 e del 94), nè avrebber potuto essere incontrati dal fratel loro Carlo Martello, già morto.

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A me gode l'animo di poter confermare co' documenti le ricerche coscienziosissime del dantista vicentino, che non in questo solo argomento mi paiono modello di ottima critica. E quanto al passo della Cronica donde prendemmo le mosse, noto che anche il Compagni non fa, nè poteva fare, alcuna menzione di venuta del Martello a Firenze in compagnia del padre nella primavera del 1289.

1 Provvisioni, Protocolli cit., c. 121'.

2 Scritti su Dante cit., I, 171-210.

3 E precisamente il di 31 ottobre 1295: cfr. M. AMARI, La guerra del Vespro siciliano; Fir., 1876; II, 33.

4 Altri errori del Villani, pur notati dal Todeschini, sono: chiamar « Ramondo», invece che Luigi, uno de'tre angioini ostaggi; fare andar re Carlo co'figliuoli << a Corte di Papa », invece che a Perugia dove si teneva conclave. Lo stesso Todeschini corregge eziandio la inesatta testimonianza di Tolomeo di Lucca sulla venuta in Toscana di Carlo II e de' figliuoli.

III. Guido Cavalcanti e il Virgilio dantesco.

<< E chiamava Guido, Cavicchia. » (I, xx).

Quel che, annotando (I, xx, 48), ho detto di Guido Cavalcanti, della sua filosofica selvatichezza, e del suo impuntarsi su certe quistioni astratte e ardite, a molti può far ricordare la nota novella del Boccaccio, ch'io pure ivi ho citato. Ma quelli a'quali, nell' abbondanza dell'odierno dissertare dantesco, il poco veramente bello ed utile non isfugga, potranno forse da cotesta mia nota esser condotti a ripensare ad una nuova e ingegnosa e, a mio credere, fondatissima interpetrazione, che il professore Francesco D'Ovidio e Niccolò Tommaseo hanno negli ultimi anni proposta del contrastato verso dantesco (Inf., x, 63), dove di Guido è detto che forse ebbe a disdegno Virgilio.

Sulle ragioni di cotesto disdegno i commentatori fecero supposizioni che possono parere molto superficiali, appena uno si accorga quanto profondo senso acquisti quel verso, riferendolo non al Virgilio letterale del poema ma all' allegorico; in quanto cioè egli è << la virtù somma che a suo senno spinge Dante per gli empi giri », secondochè leggesi poche terzine innanzi, e che questa virtù movente (la Ragione), alla quale Dante ha sottomesso in tutto il proprio intelletto (cosa tutta intellettuale è il viaggio), è a sua volta mossa da una virtù maggiore (la Fede): « I' son Beatrice che ti << faccio andare ». Dante « non viene da sè stesso »; lo conduce la Ragione sottomessa alla Fede: e perciò Dio lo ha privilegiato di viaggiare, com' Enea e come San Paolo, pe' regni eterni.

La Ragione sottomessa alla Fede è il Virgilio che Guido Cavalcanti, imbevuto della miscredenza paterna, aveva in disdegno: non Virgilio poeta, non Virgilio latino. Se non che quel pio forse ci mostra, che della miscredenza del suo Guido Dante non fosse tanto dolorosamente certo, quanto di quella del padre di lui: e come tutto l'episodio ricorda la giovanile amicizia fra' due poeti, della quale è monumento la Vita Nuova, così quel dubbio affettuoso ci fa ripen

1 Il Propugnatore, Studii filologici ecc.; vol. III, parte 1, pag. 167-175, 486-390; Bologna, 1870.

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sare che ne' loro colloqui frequente fosse il conversare e il dissentire sugli alti destini dello spirito umano, sul mondo, su Dio; e che Guido in que' colloqui si ostinasse a non credere e a ricusare d'inchinarsi al mistico Virgilio dantesco.

Il motto di Corso, riferito da Dino, può dunque essere avvicinato alla nuova e retta interpetrazione del verso di Dante, inquantochè questo rappresenterebbe in Guido, sotto il velame d'un nobilissimo simbolo, quella ostinatezza e caparbietà di carattere e d'opinioni che il motto (se la dichiarazione di esso da me proposta è accettabile) con fiorentina arguzia scolpiva nel soprannome di « Ca<< vicchia ».1

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IV. Cerchi e Donati: il primo sangue, il Consiglio di Santa Trinita, i primi esilii.

<< Nel quale assalto fu tagliato il naso a Ricoverino << de' Cerchi da uno masnadiere de' Donati, il quale si << disse fu Piero Spini, e in casa sua rifuggirono. Il quale << colpo fu la distruzione della nostra città, perchè crebbe « molto odio fra i cittadini ». (I, XXII).

« .... La parte de' Cerchi, che era confinata, tornò << in Firenze (I donateschi) non contenti di loro

.......

<< tornata, co' loro seguaci si raunorono uno dì in Santa << Trinita, deliberati di cacciare i Cerchi e loro parte ». (I, xxIII).

« .... Il perchè chiaramente si comprese la congiura << ordinata per lo consiglio tenuto in Santa Trinita; onde <«< il Conte e il figliuolo e m. Simone furono condannati «< in grave pena ». (I, xxiv).

Scontro delle due parti al ballo di Santa Trinita nel calendimaggio del 1300; congiura e tentativo dei donateschi nel Consiglio di Santa Trinita, nel giugno del 1301; bando di donateschi in conse

1 Una supposizione di Emanuele Rocco, annotatore della Vita di Dante del Balbo, che quel Guido Cavicchia possa riferirsi a Vieri de' Cerchi (il cui nome hanno, invece di Guido, altre lezioni; cfr. il mio commento, l. c.), perchè « quasi

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