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ricordandomi di lei, disegnava un' angelo spra certe tavolette: e mentre io 'l disegnava, volsi gli occhi e vidi, lungo me uomini, a quali si conveniva di fare onore. E' riguardavano quello ch'io facea, e secondo che mi fu detto poi, egli erano stati già alquanto, anzi che io me n' accorgessi. Quando li vidi, mi levai, e salutando loro dissi: « Altri era testè meco e perciò pensava ». Onde partiti costoro, ritornaimi alla mia opera, cioè del disegnare figure d'angeli. Facendo ciò, mi venne un pensiero di dire parole per rima, quasi per annovale di lei, e scrivere a costoro, li quai erano venuti a me: e dissi allora questo sonetto che ha due cominciamenti. Il primo:

Era venuta nella mente mia

La gentil donna, che per suo valore
Fu posta dall'altissimo Signore

Nel ciel dell'umiltate, ov'è Maria.

il secondo:

Era venuta nella mente mia

Quella donna gentil, cui piange Amore,
Entro quel punto che lo suo valore,
Vi trasse a riguardar quel ch'io facia.
Amor, che nella mente la sentia,
S'era svegliato nel distrutto core,
E diceva a' sospiri: Andate fuore;
Per che ciascun dolente si partia.

Piangendo uscivan fuori dal mio petto
Con una voce, che sovente mena

Le lagrime dogliose agli occhi tristi.

Ma quelli, che n'uscian con maggior pena,
Venien dicendo: O nobile intelletto,

Oggi fa l'anno che nel ciel salisti.

Il poeta nel giorno che compiva l'anno della perdita della libertà, trovavasi nella sala delle deliberazioni, facendo alcuni progetti di libertà, quando fu visto dagli anziani, ai quali egli dimostrò rispetto, e disse che avea parlato del suo ideale, e questi partiti, egli posesi di nuovo a lavorare ai suoi notevoli progetti. E fu per la rimembranza di questa data che egli compie il sonetto, e questo non è altro che un rimpianto per la perduta libertà, proprio nel luogo in cui questa era più discussa, ed è in questi pensieri che Dante di poi vede affacciarsi un progetto e che per un momento lo abbraccia credendolo il migliore.

Infatti più oltre ci dice che in quei pensieri non trovando come escirne, serrò gli occhi come per cercar una nuova ispirazione, e vide una donna, gentile, giovane e bella molto; da una finestra mi riguardava molto pietosamente quant' alla vista; sicchè tutta la pietade pareva in lei accolta ecc. E più oltre: E non può essere che con quella pietosa donna non sia nobilissimo amore.

Quindi compie il seguente sonetto:

Videro gli occhi miei quanta pietate
Era apparita in la vostra figura,
Quando guardaste gli atti e la statura
Ch'io faccio pel dolor molte fïate.

Allor m'accorsi che voi pensavate

La qualità della mia vita oscura,
Sicchè mi giunse nello cor paura
Di dimostrar cogli occhi mia viltate.

E tols mi dinanzi a voi, sentendo
Che si movean le lagrime dal core,
Ch'era commosso della vostra vi-ta.

Io dicea poscia nell'anima trista:
Ben é con quella donna quello Amore,
Lo qual mi face andar così piangendo.

Questo fa seguito al precedente dettato nel quale il poeta disegna gli angioli, e dopo questa preoccupazione non trovando una soluzione equa al suo lungo pensare, alza gli occhi ed in quello gli balena alla mente un nuovo ideale, cercare cioè di ridonare la libertà come egli la pensava, egli stesso imponendosi agli altri col sapere e coll' influenza che poteva esercitare sugli altri ma egli si sente vile, perchè il suo pensiero è di giungere allo scopo non però per via libera e piana, ma per la via tortuosa della politica, tanto più che in quella non trovasi male e ne compone i sonetto. Infatti in esso dice che egli s'accorse che quella donna alla quale il

poeta aveva alzato gli occhi, riguardava la sua vita oscura, ossia veniva al poeta il pensiero che egli forse non avrebbe potuto quasi nulla, non essendo influente nella patria, e si tolse a quel pensiero suo malgrado, perchè in quella donna era veramente il suo ideale, ma per via lunga e difficile. Ma l'impressione che aveva fatta nel poeta era grande, e il desiderio di arrivarci non sminuiva in lui la smania di parlarne, e la somiglia un poco a Beatrice, e ne canta un sonetto ch'è il seguente:

Color d'amore, e di pietà sembianti,

Non preser mai così mirabilmente

Viso di donna, per veder sovente

Occhi gentili e dolorosi pianti,

Come lo vostro, qualora davanti
Vedetevi la mia labbia dolente;

Si che per voi mi vien cosa alla mente,
Ch'io temo forte non lo cor si schianti.

lo non posso tener gli occhi distrutti
Che non riguardin voi spesse fïate,
Pel desiderio di pianger ch'egli hanno:
E voi crescete si lor volontate,

Che dalla voglia si consuman tutti,

Ma lagrimar dinanzi a voi non sanno.

Egli dice che nessuna cosa prese mai tanto colore della sua donna come questa pietosa, alla quale il poeta stava davanti pregando, ed alla mente sua si affaccia la possibilità di effettuare

con questa donna il suo ideale ed a questo pensiero gli si gonfia il cuore di gioia, e non lo può abbandonare, che per quanto pensi ad altre cose la mente ritorna a quella donna e non si vuol dipartire, tanto gli sembra buono pensarci, e gli occhi suoi non si stancano e non hanno più lagrime per piangere. Ma a forza di mirare quella donna gli occhi del poeta si dilettarono troppo e quasi quasi cominciava a dimenticarsi del suo primo ideale, delle sue ispirazioni, e gettarsi tutto in braccio ai suoi pensieri di dominio; ciò che era tutto all'opposto del primo suo amore; e questa lotta lo rendea infelice e lo rendea pensoso, ed i sospiri lo assaltano gravi ed angosciosi. In questo stato compose il seguente sonetto:

L'amaro lagrimar che voi faceste,

Occhi miei, così lunga stagione,
Faceva lagrimar l'altre persone
Della pietate, come voi vedeste.

Or mi par che voi l'obliereste,
S'io fossi dal mio lato sì fellone,
Ch'io non ven disturbassi ogni cagione,
Membrandovi colei, cui voi piangeste.
La vostra vanità mi fa pensare,
E spaventarmi sì, ch'io temo forte

Del viso di una donna che vi mira.

Voi non dovreste mai, se non per morte

La nostra donna, ch'è morta, obliare

Così dice il mio core, e poi sospira.

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