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Monte da Firenze non dissimula gli avvenimenti ed in un sonetto che non riporto per economia di spazio, avverte che la guerra sarà micidiale e che terminerà con la gloria « dello campion san Piero» e la rovina dei nemici

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e sia tutta diserta

La gente che sarà in tal mestiero.

Il notaio Cione come Orlandino predice la morte di uno dei capi combattenti, e cita ad esempio il re Barga, rimasto vinto ed ucciso sul campo di battaglia.

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Prima converrà che sangue si sparga,
Amico, qual me' faccia non lo sone;

M'a la fine l'un fia quello da Barga.

In un altro sonetto predice ai Ghibellini la disfatta, e gli ammonisce che l'uccisione loro sarà grande, e le loro membra sparse avranno molta pena a riunirsi :

Che ben avrete; ghibellini, tal

Giammai d'alcun non si rannodi pezzo.

Ma Orlandino e Cione credono intendersi meglio fra loro, il primo è convinto di ciò che dice e spera di cavarsela bene:

Ed io son or caduto in tempestare,

Di su la nave mi guardate tosto,
Ma so di nuoto, e credomi scampare.

L'esposizione qui oscilla e si cambia appunto per volere esprimere l'incrollabile convinzione, e togliere il campo ad ulteriori repliche, così Cione si aqueta, ma pensa che il solo fatto potrà rendere ragione a lui del suo cantare:

D'ogni cosa la fine è prova al saggio

conclude in un sonetto ad Orlandino, e purtroppo gli eventi gli diedero ragione.

Rustico di Filippo è amareggiato dagli avvenimenti, e grida contro i vili che si ritirano davanti ai nemici, e li avverte che ora possono ritornare che nulla hanno più da temere dagli Angioini nè dai Ghibellini, egli li ripudia:

Ma io non vo' con voi stare a tenzone.

quindi si rivolge a Firenze e ne frusta i vizi con il sonetto che comincia:

Due donzel nuovi, alloggia in questa terra1

E seguita satirico contro i turbolenti e faziosi capi Guelfi avvertendo che:

Che ci ha una lanza si fèra ed ardita,

Che se Carlo sapesse i suoi confini,

E della sua prodezza avesse udita,

Tosto n' andrebbe sopra i Saracini.

Si sferra contro i vili capi Ghibellini seguitando in vari sonetti satirici a cantare delle

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imprese del giorno e sulle conseguenze delle vittorie Angioine.

Ora pertanto noi vediamo una serie di rimatori che cantando liberamente gli avvenimenti dell'epoca, si curano ben poco dell' espressione chiara senza far uso di allegorie. Così possiamo ammettere la differenza di indirizzo in questi poeti, che pur mantenendo le forme trovadoriche, si scostano nondimeno nel concetto della poesia provenzale e sicula.

Ma dopo la rotta di Benevento ed i torbidi interni, le speranze d'Italia si ridussero in Toscana, che fra le maledizioni dei Papi, e le lotte dei partiti, cercava la propria libertà.

Tutti gli uomini d' ingenio e specialmente i nuovi poeti, hanno ne' loro canti una continua aspirazione a forme e prerogative migliori di governo.

I nuovi lirici toscani furono costretti a simulare i loro sentimenti dando luogo all' allegoria nelle loro rime, e mal si capirebbe come si potesse tornare ai concetti puramente trovadorici in un paese dilaniato, e cercante ansiosamente la propria libertà.

In generale le poesie dei rimatori Toscani hanno espressione amorosa, ma a mala pena si cela ne' versi il vero significato. D'altra parte in Italia sentivasi il bisogno di una poesia nazionale, che

desse incremento alla lingua volgare e che si affermasse gloriosamente. Il desiderio di far trionfare l'idea predominante, creò de' poeti gentili, che vestirono le loro poesie di forma splendida e sconosciuta ai precedenti.

Mal si comprenderebbe come quegli uomini si appassionati alle istituzioni libere del 1282, sì amanti della indipendenza della patria, pei quali l'unico scopo della vita era il trionfo della libertà, potessero tutti e continuamente poetare esclusivamente d'amore, senza altro fine che di piacere alla donna del loro pensiero. Ci sarebbe una differenza inverosimile fra i loro pensieri e le loro opere, differenze che mal si comprende in Cino, nel Cavalcanti e in Dante Alighieri.

Il saggio di alcune rime date più sopra, valga a dimostrare, come, non poteva rimanere isolato il fatto di occuparsi anche del proprio paese, delle proprie istituzioni, ed in Firenze appunto, in cui si compendiavano le speranze d'Italia, il significato della poesia, e la sua manifestazione doveva essere altamente patriottico, se voleva corrispondere ai bisogni presenti e pressanti.

Perciò una sana critica non deve assolutamente fermarsi al senso letterale di tutte le poesie della fine del 1300, ma indagare, se sotto al velame dei versi amorosi, vi sia un significato un concetto principale che si confaccia all' indole

dei tempi. Del resto l'indirizzo della poesia subisce sostanzialmente l'influenza dei fatti politici, e mal si comprenderebbe oggi, in un momento di crisi civile, o di guerra, che i poeti si perdessero a fare versi d'amore. Si può ammettere però benissimo, che quelli, forzati dagli avvenimenti a non potere palesemente esprimere le loro idee, usassero dell' allegoria amorosa e immedesimare al trionfo dell' Amore il trionfo della libertà della patria.

Inoltre i diversi significati che la donna in genere ha avuto nella poesia dei primi secoli della nostra letteratura, hanno un carattere tanto spiccato, che ponno servire di studio comparativo fra le diverse manifestazioni poetiche dell'epoca.

I poeti che hanno rappresentato l'origine di una letteratura, hanno cantato la giovinetta, poi la donna.

I provenzali diedero all' espressione dei loro canti, una unità di concetto derivata dalla ragione storica del loro svolgimento artistico, l'oggetto delle loro canzoni, dei loro poemi, fu la donna maritata, per la quale, secondo i codici di cavalleria, non era disdicevole, professare un culto amoroso di conserva col marito, anzi molte volte superavano questi nelle buone grazie della signora.

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