Sayfadaki görseller
PDF
ePub

ossia che il nove ha la sua radice ovvero origine nella Trinità, come ci dice ancora il poeta, è chiaro diciamo che non può essere se non il numero simbolico che accompagna la Libertà. Infatti, chi portò la vera luce? Chi predicò la pace in terra? Chi cercò liberare il mondo dalla tirannide della ingiusta superiorità, secondo l'evangelio, se non Gesù Cristo? Ma questa è una persona della SS. Trinità, ovvero ancora la trinità stessa, per la qual cosa essendo la Beatrice la vera, luce, lode di Dio vera, e volendo egli personificare in essa la libertà, l'accompagna continuamente il numero nove, quadrato o conseguenza di quel numero che rappresenta il dogma fondamentale della cristianità, la cui religione per Dante come per gli altri poeti del trecento era garanzia di pace e di libertà.

Questo fatto, pare a noi, ovvio a comprendersi, se si considerano poi gli innumerevoli accenni, che nelle altre opere, il poeta fa della sua gloriosa donna. Inoltre è compatibile anche con la filosofia scolastica della epoca, nella quale Dante trova tanti argomenti al suo cantare. 1

1

1 Il Tommaseo nel numero nove scorge una adorazione illimitata per Beatrice fatta idolo da Dante. Questo, a parere nostro, non regge non concordando con le parole del poeta, quando ci dice ch'ella era un miracolo la cui radice era la SS. Trinità, non un idolo, e questa emanazione della SS. Trinità, per

Dante ritorna a vedere la sua donna dopo nove anni dalla prima volta cioè nel suo diciottesimo anno ovvero alla fine del 1382, cioè quando in Firenze la Libertà si completò col rafforzarsi del governo democratico libero.

È da notare che in questa seconda apparizione la Beatrice è vestita di bianco, rappresentante il gonfalone di Firenze, in mezzo alle Arti maggiori e minori rappresentate dalle due donne maggiori di età che accompagnavano la Beatrice.

Questa donna che personifica la libertà si volge a Dante e lo saluta, egli rimane pauroso a tanta cortesia, ma soggiunge che è oggi

l'indole dei tempi, e per le dottrine Teologiche e Filosofiche che tanto influirono sulla poesia del trecento, non può essere altro che la libertà.

Il Prof. D' Ancona trova che questo numero « congiungendosi nella mente di Dante a mistiche dottrine ed a scientifiche speculazioni, in cui egli già si compiaceva, rafforzavagli il concetto della eccelsa natura di quest' essere straordinario al quale prestava spirituale omaggio. » Prima di tutto non sappiamo per qual ragione si debba trovare dello straordinario nella Beatrice Portinari; e tuttociò di eccelso e di straordinario che il chiarissimo Prof. D'Ancona trova in Beatrice, lo troviamo anche noi, soltanto, e scusi l'illustre critico, non ammettiamo ciò che Dante ha mai detto, e restiamo con le sue parole, cioè che la sua Bice è proprio una derivazione della SS. Trinità, non un prodotto di dottrine e speculazioni in cui il poeta si compiacesse, perché Dante non l' ha mai detto, bensì, tutte queste virtù, questa natura eccelsa non si addice che alla Libertà.

Il Giuliani si crede in dovere di usare indulgenza verso il poeta, egli dice: «Ma Dante era pure alquanto soggetto alle

meritata nel gran secolo; in cui si è potuta ottenere per mezzo di uomini forti, fra i quali poi Dante che divenne suo saldo sostenitore.

A conferma poi di quanto abbiamo esposto sul numero nove, e sulla significazione della libertà nella donna cantata dai poeti trecentisti, esamineremo la seguente ballata di Cino da Pistoia:

Poi che saziar non posso gli occhi miei

Di guardare a Madonna il suo bel viso,
Mirevol tanto fiso,

Ch'io diverrò beato lei guardando.

A guisa d' angel che di sua natura
Stando su in altura

erronee speculazioni de' cabalisti del suo tempo, e conviene scusarlo dacchè amore gli crebbe e affinò ben altrimenti la virtú dell' ingenio. »

Quindi aggiunge:

Ben s' ingannano coloro che in simili calcoli vogliono vedere e fantasticare altro, a quanto per nude parole l' Alighieri ne afferma e dichiara. » Il Sig. Giuliani qui si dimentica che egli pure ha trovato degli errori nelle nude parole di Dante, e le ha accomodate a modo suo, vestendole con una falsa veste. Se egli si compiacesse, lasciando da parte il pudore, lasciar nudo ciò che Dante ha scritto nudo, vedrebbe che il poeta non s'è mai sognato di essere un cabalista, quanto ci disse proprio nudamente e chiaramente che la Beatrice è il risultato del numero tre, ossia della SS. Trinità. Questo è chiaro, e non c'è bisogno nè del Barbanera né del Casamia per trovarvi il vero significato. Padronissimo poi il Sig. Giuliani di scusare Dante per non essersi fatto capire da lui.

Il Fraticelli trova nel numero nove, che Dante pagò il tributo all' umana credulità. Guai se gli studiosi pagassero un simile tributo al Sig. Fraticelli..

Divien beato sol vedendo Dio;

Così io sento humana creatura

Guardando la figura

Di questa donna che tene il cor mio;

Possa beato divenir qui io

Tanto è la sua virtù che spande et porge
Avegna non la scorge,

Se non chi lei honora desiando.

Il poeta dunque avverte che diverria beato guardando sempre la sua donna, come divengono beati tutti nel paradiso guardando Iddio, ovvero la Trinità. Ora in quella donna ci sono tutte le virtù inerenti alla Trinità, ovvero è un prodotto di questa, ossia il numero nove di Dante. È chiaro che Cino come Dante nella sua donna, personifica la libertà.

Poi soggiunge, e ciò ritorna a vantaggio del nostro concetto, che egli sente a poco a poco formarsi una creatura umana, guardando la figura, ovvero l'effetto della libertà. Dunque la creatura vivente, la donna vera non c'è, poichè nella immaginazione del poeta, questa si formerebbe, guardando continuamente con gli occhi dello intelletto il proprio ideale; ed a guisa d'angelo invisibile che fissa cosa invisibile, diverrà beato, colla sua mente che è pure invisibile, mirando assiduamente in quella che è pure invisibile, ma che nuovamente guardandola, sembra prendere forma e sostanza.

Appresso tutto ciò, Dante racconta, che dopo essere partito dalle genti, fece un sogno che trascrisse in un sonetto, ch'è il seguente:

A ciascun' alma preso è gentil core,
Nel cui cospetto viene il dir presente,
A ciò che mi riscrivan suo parvente,
Salute in lor signor, cioè Amore.

Già eran quasi ch' atterzate l'ore
Del tempo ch'ogni stella n'è lucente,
Quando m' apparve amor subitamente,
Cui essenza membrar mi dà orrore.

Allegro mi sembrava Amor, tenendo
Mio core in mano, e nelle braccia avea
Madonna, involta in un drappo dormendo.
Poi la svegliava, e d' esto core ardendo
Lei paventosa umilmente pascea:

Appresso gir lo ne vedea piangendo.

Questo sonetto indirizzato ai poeti del suo tempo riunisce in sè l'idea dello sbigottimento prodotto nella cittadinanza dalla cacciata dei Ghibellini, quindi il sentimento della gioia che sopravvenne nell' intravedere, fra i lembi della guerra civile, la personificazione della libertà.

Ora pertanto esaminando le diverse parti senza nè stiracchiare i periodi, nè cambiare le parole, ognuno si potrà convincere della certezza del nostro asserto.

Il poeta vede la sua donna in alto, ravvolta in un panno vermiglio, che in braccio ad amore se ne va, quindi è svegliata e pasciuta col cuore

« ÖncekiDevam »