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del poeta. Qui non è più madonna vestita di bianco, come apparve primieramente a Dante, invece è di vermiglio ch'ella si veste, e notiamo che l'arma dei Ghibellini era il giglio bianco in fondo vermiglio, ora pertanto il poeta rimane sbigottito per gli avvenimenti politici del tempo, ma pensando poi che il racconto è fatto da Dante ghibellino, potremo facilmente ammettere volersi dimostrare lo sbigottimento della città in quel momento, la paura di tutti i poeti amanti della patria, che la desideravano ardentemente col cuore, e la servivano ansiosi di libertà.

Che questo nostro dettato sia conforme al vero, ne trova un' affermazione, nei poeti che risposero a Dante secondo il suo sonetto. Esaminiamo il seguente di Guido Cavalcanti:

Vedesti al mio parere ogni valore,

E tutto gioco e quanto bene hom sente,
Se fosti in prova del Signor valente,
Che signoreggia lo mondo de l'onore
Poi vive in parte, dove noia more
E tien ragion nella pietosa mente:
Si va soave per li sonni alla gente,
Ch'e' i cor ne porta senza far dolore.

Di voi lo core ne portò veggiendo
Che vostra donna la morte chiedea:
. Nodrilla d'esto cor, di ciò temendo.

Quando t'apparve, che sen gia dogliendo
Fu dolce sonno, ch' allor si compiea,
Che il suo contraro la venia vincendo.

Evidentemente in questo sonetto si parla della Libertà; infatti esaminandolo vediamo prima di tutto come il Cavalcanti dice a Dante che vide certamente la libertà, ch'è tutto valore, che è quella virtù valente che è signora del mondo dell' onore.

Questo ardentissimo bisogno di libertà padroneggia a tutti il core, e nei sonni prende il primo posto, e tutti quelli che anelano alla libertà, alla notte la sognano, e sono bei sogni e non dolorosi, e ciò è naturalissimo. Ma in quel trambusto succeduto alla guerra interna sembrò scuotersi e cadere la libertà, ma fu sostenuta dagli ardenti cuori di quanti la desideravano.

L'ultima terzina chiarisce poi meglio la situazione, infatti il Cavalcanti rivolto all' Alighieri gli dice: quando credesti vedere che amore piangesse per la partenza dei Ghibellini fu un sogno veramente, poichè sopratutto per quella partenza ne doveva avere piacere, era il contrario, il riso, ovvero ancora la Libertà raffermata che veniva vincendo, e quando vedesti che col tuo cuore la nutriva fu vano timore, e generoso pensiero, che si cambiò in completa sicurezza in seguito alla conquista della pace.

Cino da Pistoia rispose anch' egli a Dante sopra il medesimo soggetto, come il Cavalcanti, esaminiamone il sonetto:

Naturalmente chere ogni amadore
Di suo cor la sua donna far savente:
E questo per la vision presente,
Intese di mostrare a te Amore,

In ciò che dello tuo ardente core
Pasceva la tua donna umilemente;
Che lungamente stata era dormente,
Involta in drappo, d'ogni pena fore.
Allegro si mostrò amor venendo
A te per darti ciò che 'l cor chiedea,
Insieme due coraggi comprendendo:
E l'amorosa pena conoscendo
Che nella donna conceputo avea,
Per pietà di lei pianse partendo.

Questo, a nostro parere, è ancora più evidente di quelli di Dante e del Cavalcanti, e basterebbe da solo alla spiegazione del nostro concetto, l' allegoria spiegata con l'allegoria è palese, per la qual cosa viene esclusa ogni idea che si tratti di una donna. Cino ci dice che ogni amatore deve naturalmente far conoscere alla sua donna il suo amore, ma essendo questa donna la libertà, la quale in quegli anni non si era potuta completamente mostrare, cioè era stata dormendo nelle altrui mani, a lei non si era potuto ancora partecipare il grande amore. Infatti Amore, questo desiderio continuo della libertà, si presenta allegro a Dante, per dargli ciò che il core chiedea da tanto tempo, ma conoscendo egli la grande

pena provata durante gli ultimi avvenimenti, piange ricordandosi, non del suo stato presente, ma per la pietà che le avea fatto durante il timore di essere per sempre, la libertà, sbandita da Firenze.

A nostro parere la verità delle nostre asserzioni si raddoppia, pensando come i sonetti del Cavalcanti e di Cino, servano a chiarire viemaggiormente l'allegoria penosa che Dante espone ai suoi amici, e l'idea vera di queste poesie al lettore. Studiando solamente il sonetto del nostro si potrebbe dar luogo al dubbio sull' autenticità delle nostre proposizioni, ma il confronto degli altri, ci toglie ogni pensiero riguardo alla personificazione della libertà. 1

1

1 Il chiarissimo Prof. D' Ancona nota, con molta verità, nel sonetto di Dante, e nella prosa che lo precede, l'accompagnarsi nel poeta il costante pensiero dell'amore e della morte, e cita in nota (Pag, XLII. Discorso su Beatrice) un brano del Commento del Tommaseo che qui trascrivo: « Nessuna letteratura può mostrare altro amore dove a tanta serenità d'immagini sia congiunta tanta mestizia e tanta ombra di morte. L'Amore di questo uomo e simile e cenobita penitente che si tiene continuo dinanzi agli occhi la vista di un teschio ignudo. Ogni pensiero all'aspetto di lei non si dilegua, ma muore: il viso tramortisce; morta è la vista degli occhi ch' hanno di lor morte voglia. E per l'ebrietà del gran tremare. Le pietre par che gridin: Muoia, muoia.... Vedete come pieno di morte fosse l'amore di quell' anima; come dal sepolcro gli sorgesse più pura e più lieta l'immagine d'una imarcescibile bellezza. Forte, ben dice la Bibbia, come la morte è l'amore: e nessun uomo lo

Lo verace giudicio del detto sogno non fu veduto allora per alcuno: ma ora è manifesto alli più semplici.

Se qui si trattasse di amore vero per una donna, sarebbe stato anche prima manifesto a tutti, poichè un poeta componendo poesie per una donna non ha da rendere spiegazioni a nessuno, e nemmeno ha bisogno d'indirizzarle ad altri perchè ne facciano il commento, invece si parla

senti più che Dante ». Tutte queste belle frasi non reggono, poichè si riferiscono solamente alle parole di Dante e le spiegano male. Quando il Cavalcanti e il Cino da Pistoia si sono presi la briga di rispondere a Dante, non hanno mai pensato a tutto quello che ci vorrebbe far credere l' insigne commentatore. Infatti, domandiamo noi, se può essere ammesso che un poeta, a cui, arride giovinezza spensierata, a cui arride la speranza di essere amato dall'oggetto dei suoi pensieri, ed a quello scopo tutti i suoi sensi sono intenti, domandiamo se è naturale che pianga al pensiero della di lei morte; ma questo pensiero non ci verrà, e se viene, ciò succederà dopo ottenuto l'amore della donna desiderata, quando la riflessione succederà al delirio, mai prima poichè evidentemente non c'è posto per tale pensiero. Ma in Dante diventa naturale questo pensiero di morte, poichè è rivolto alla Libertà, poichè è sempre grande il timore di perderla, non appena conquistata. L'amore di una donna vera ha per conseguenza naturale l'oblio d'ogni cosa, l'amore della libertà si trae sempre dietro il timore di perderla, poichè in chi ama potentemente la Libertà, e molti che hanno vissuto ai tempi scabrosi dell'Italia lo sanno, questi due pensieri vanno sempre congiunti. Ecco perchè in Dante si riuniscono Amore e Morte, non per altro.

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