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giunse si presta e forte,

che 'n fin dentro a la morte

mi colpir gli occhi suoi.

Vanne a tolosa, ballatetta mia,
ed entra quetamente a la dorata;
Ed ivi chiama che per cortesia
d'alcuna bella donna sia menata

Dinanzi a quella, di cui t'ò pregata;
e s'ella ti riceve,

dille con voce leve:

per mercè vegno a voi.

Le forosette di cui ci parla il Cavalcanti si debbono ben distinguere dalle solite, poichè possiedono la chiave di ogni virtù alta e gentile, cosa che nelle solite forosette difficilmente si trova, quindi come Dante, queste rappresentano le intelligenze che circondano sempre il loro ideale. Egli le vide proprio quando era in pensiero d'amore, quindi pieno di preoccupazioni relative alla poesia. Venuti a parlare sulla natura d'amore, l' una di quelle gli domanda se si ricorda ancora degli occhi che in Tolosa lo ferirono si crudelmente d'amore. Il poeta risponde che in quella città, chi lo ferl, fu la Mandetta, da lui veduta legata strettamente. Questo nome di Mandetta, non è stato detto come quello di Beatrice, dalle persone di famiglia, o suggerito a lui dalla voce generale, ma gliel' ha imposto Amore; dunque il nome di Mandetta non esi

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steva materialmente nella mente del Cavalcanti. Perciò osserveremo se in questa esposizione di fatto può emergere il concetto della Libertà.

La Linguadoca già si fiorente per il governo protettore di ogni cosa buona, e per la produzione letteraria, dopo la iniqua crociata bandita da papa Innocenzo III, si trovò spogliata d'ogni dignità ed avvilita. Col sorgere di Luigi IX al trono di Francia le cose cambiarono in meglio, e quel paese si trovò ristorato, benchè il conte di Tolosa fosse già stato costretto a privarsi del suo stato. Ora noi possiamo supporre che il Cavalcanti sia stato a Tolosa, oppure solamente che leggendone egli le sventure, e studiandone certamente i trovatori, fosse colpito d'amore per quella Libertà, che aveva tanto prodotto di grande, e che era stata schiacciata così infamemente. Al tempo di cui parliamo era già abbastanza rinnovato lo spirito di Tolosa, e in quella Mandetta il Cavalcanti personifica la Libertà, ancora legata stretta fin dal tempo delle persecuzioni.

Seguitando nell'esame della canzone di Dante, troviamo ch'egli ci dice che la sua donna è chiesta dagli angeli che la vogliono in cielo, poichè a questo manca, ed invero in quei tempi la Libertà non era cosa da rimanersi in terra, per le controversie straniere ed interne gli uo

mini facevano ogni loro possa per perderla. Inoltre la Libertà considerata nel senso che noi le diamo, è ben mancante in cielo, e non potendo, per le cause dette più sopra, rimanere cosa terrena, era desiderata in paradiso; tanto più che c'era chi ne tramava la perdita. E se si considera che appunto in quel tempo il popolo, cercava di sbalzare dal governo i suoi due rappresentanti, si può ben arguire essere quello il « qualcuno », come poi infatti avvenne nel 1290 quando assolutamente la Libertà cadde in mano dell'ignoranza prepotente.

Più oltre dice chiaramente, che chi sofferisse di starla a vedere, chi insomma godesse della sua vera luce, diverria nobile cosa o morirebbe, e siccome poi per Dante il massimo della felicità è parlare alla sua donna, così è facile comprendere come non possa mai finire chi le ha parlato, poichè parlarle sarebbe rendersi per la medesima immortale.

Ma tuttociò che è terreno, tuttociò che lambe il mondo, non è certo cosa pura; ora questa Libertà non può, non deve essere di questa terra, non può essere cosa mortale, ell' è si adorna e pura che infatti non erano i Fiorentini meritevoli di tanto gaudio, e dovevano ben presto perdere quella Libertà che non avevano saputo comprendere e mantenere.

La chiusa della canzone è una preghiera alla medesima, raccomandando che non vada a parlare con gente villana, ossia con gente che non possa comprendere la gran virtù che si racchiude in un governo forte e formato delle intelligenze del paese, poichè il popolo ignorante che vuole sopraffare la disprezzerà; invece vada da chi la potrà comprendere, s'ingegni d'essere palese, e sappia spiegare il vero modo di rendersi liberi, ma con persone cortesi, poichè solo con loro sta la vera forma di felicità.

La citata canzone, che conferma altamente il concetto nostro nelle poesie del trecento, trovò un' eco in tutti i poeti contemporanei o quasi, di Dante, ciò che torna a rinforzarlo maggiormente. E si può ammettere senza riserve, che i poeti del dolce stile novo, cantarono unitamente a Dante il sacro tema della Libertà.

D'altronde difficilmente si potranno trovare altre ragioni buone per spiegare la somiglianza d'espressioni in tutti, questa unità di concetto con le medesime forme, quasi con le medesime frasi, ed il termine allegorico che traspare in ogni dove, le allusioni a fatti recenti accaduti, l'appellarsi a questi o a quel poeta amico, sono fatti che provano sufficientemente lo stretto legame che univa quegli scrittori, che sentirono più degli altri l'influsso salutare della Libertà.

A dare maggior forza a quanto abbiamo esposto in ordine sempre al nostro soggetto, citeremo delle poesie di altri contemporanei, poesie che hanno una certa analogia con la canzone di Dante.

Daremo la precedenza come di ragione a Guido Guinizelli; il seguente sonetto è sorprendente per la sua affinità con la precedente canzone citata; e ad un altro sonetto del massimo poeta. È tratto dalla raccolta di curiosità letterarie edite dal Romagnoli in Bologna:

Voglio del ver la mia donna laudare

et assembrargli la rosa e lo geglio,
come la stella diane splende e pare
et ciò ch'è lassù bello a lei assomeglio.
Verde rivera a lei rassembro et i' aire,
tutti colori e fior, giallo e vermeglio;
oro e azzurro e ricche gioi per dare
medesmamente ancor raffina meglio.

Passa per via adorna e sì gentile,
ch' abbassa orgoglio a cui dona salute,
e fa'l di nostra fè, se non la crede,

e non si po' appressar omo ch'è vile; ancor ve dico c'ha maggior vertute: null' om po' mal pensar fin che la vede.

Si capisce facilmente in questo sonetto il rinnovamento dell' arte, il tentativo riuscito in parte di scostarsi dal solito fraseggiare, se i primi versi sentono lo stantio, le ultime strofe sono

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