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d'ispirazione nuova e degne di stare al paro delle poesie toscane.

Si noti poi l'eguaglianza di concetti, e l'avvicinarsi anche dell' espressione fraseologica, e mal si comprenderebbe come Dante avesse voluto copiare dal Guinizelli, per cantare della sua donna; facilmente però si capisce allorquando si pensi che lo stesso ideale, lo stesso concetto cominciato con Guinizelli, abbia informato il sommo poeta, in omaggio alla cosa cantata da entrambi, cioè la Libertà. Le lodi che il Guinizelli professa alla sua donna, che è poi la donna di tutti gli altri poeti della toscana, sono precise, e ricordano sempre il modo di poetare di Dante.

Vediamo anche quest' altro sonetto del medesimo poeta:

Gentil donzella, di pregio nomata,

degna di laude e di tutto onore
chè par di vo' non fu ancora nata
nè si compiuta di tutto valore,

pare che in vo' dimori ogni fïata
la deità dell' alto deo d'amore;
di tutto compimento sete ornata
e d'adornezze e di tutto bellore,

chè 'l vostro viso dà sì gran lumera
che non è donna ch'aggia in sé beltate
ch'a vo' davanti non s'oscuri'n cera;
per vo' tutte bellezze so' affinate
e ciascun fior fiorisce in soa manera,
lo giorno quando vo' ve dimostrate.

Di leggeri si trova confermato nell'ultima terzina il concetto della libertà; infatti per essa tutte le bellezze sono raffinate e così sembrerebbe in contradizione coi versi precedenti, nei quali dice che non è donna bella che l'oscuri davanti a lei come cera, ma considerando in questa la libertà, è chiara la spiegazione, e non salta più alla mente il contradirsi apparente del poeta. Inoltre apprendiamo che sotto l'egida della libertà, ciascun fiore fiorisse in sua maniera, ossia che hanno buon esito tutte le creazioni della mente, le arti, le industrie, che sono i fiori bellissimi che produce la Libertà, e ciascuno per loro conto hanno uno sviluppo bello e maggiore che in altri siti ove non regna quella donna. sublime.

Anche Guido Guinizelli ci offre una prova del perchè i pocti di quel tempo ponevano sotto allegorie il grande loro amore per la Libertà, ed oltre il sonetto di Cecco d'Ascoli già citato, esporremo anche il seguente, che il Guinizelli invia a ser Bonaggiunta Orbicciani da Lucca :

Omo ch'è saggio non corre leggero, ma a passo grada si com vol misura: quand' ha pensato riten lo pensero infino a tanto che 'l ver l'assicura.

Foll'è chi crede sol veder lo vero e non pensa che altri i pogna cura;

non se de' omo tener troppo altero
ma de' guardar lo stato e soa natura.

Volan per aire augelli di stran' guise
et han diversi loro operamenti,

ne' tutti d'un volar nè d'uno ardire:

deo e natura il mondo in grado mise e fe' dispari senni e'ntendimenti,

però ciò ch' omo pensa non de' dire.

Questo appurato per il Guinizelli, osserviamo se il Cavalcanti ha qualche punto di contatto con il precedente e Dante. Nella raccolta curata dal prof. Arnone trovo la terza ballata che serve molto al nostro concetto; è la seguente:

Gli occhi di quella gentil foresetta
ànno distrecta si la mente mia,
ch' altro non chiama chelle' nè desia.
Elle mi fere si quando la sguardo,
ch'i' sento lo sospir tremar nel core.
Escie dagli occhi suoi, chemme arde,
un gentiletto spirito d'amore.
lo qual è pieno di tanto valore:
quando mi giunge, l'anima va via,
come colei, che soffrir nol poria.

I' sento pianger for li miei sospiri,
quando la mente di lei mi ragiona.
E veggo piover per l'aer martiri,
che struggon di dolor la mia persona,
si che ciascuna vertù m'abandona,

in guisa ch' io non so i' mi sia;

sol par che morte m'agia 'n sua balia.

Simmi sento disfacto, che mercede
già non ardisco nel penser chiamare.
Ch'i' trovo amor, che dice: ella si vede
tanto gentile, che non po' maginare,
Che om d'esto mondo l'ardisca amirare,
che non convegna lui tremare impria;
ed i', s'i' la sguardasse, ne morria.
Ballata, quando tu sarai presente
a gentil donna, sai chettu dirai
de la mia angoscia? dolorosamente
di': quella chemmi, manda a voi, trovai:
Però che dice che non spera mai
trovar pietà di tanta cortesia,

ch'a la sua donna faccia compagnia.

Osserviamo ancora Cino da Pistoja se ci fornisce dei materiali per affermare viemaggiormente l'idea a cui noi ci siamo votati; abbiamo il seguente sonetto:

Gli occhi vostri gentili e pien d'amore
Ferito m' hanno col dolce guardare,
Si ch'io sento ogni mio membro accordare
A doler forte perch' io non ho 'l core;
Chè volontieri 'l farei servidore
Di voi, donna piacente oltre al pensare,
Gli atti e sembianti e la vista che appare
E ciò ch' io veggio in voi mi par bellore.
Come potea di umana natura

Nascere al mondo figura sì bella
Com' sete voi? Maravigliar mi fate!
E dico nel mirar vostra beltate

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Ora, a chi avrà bene osservato i precedenti componimenti poetici, potrà parere chiaro come siano molti i punti di contatto e di somiglianza con la canzone di Dante. E se naturalmente, anche le frasi non sono uguali, pure il senso di ogni verso della predetta canzone si trova riprodotto nelle poesie degli altri poeti, e questo torna assolutamente al nostro concetto, poichè è evidente che tutti avevano il medesimo scopo alle loro poesie. E non è conveniente appuntarci che tutte le poesie amorose su per giù hanno un'unità di fraseggiare che le fa tutte cantare la stessa cosa, poichè altrimenti pensando da noi, tutti i lavori poetici dovrebbero essere simili. No, nella poesia del trecento si distingue un'unità di concetto che è superiore e più evidente della somiglianza di forma; ed il guardare ed il salutare sono proprio di quel senso; d'altronde parlando di donne reali credo che i massimi piaceri non consistono solamente nel saluto e nello scambio di parole con la donna amata, la musa popolare dell'epoca lo prova, a meno che tutti i poeti d'allora non avessero subito in amore la iattura d'Abelardo. Nessun momento letterario ci presenta un fenomeno uguale a quello di Dante, ed i poeti hanno avuto unità di concetti solamente quando hanno cantato della patria o della Libertà; questi momenti sono a periodi, e

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