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segnano una letteratura speciale; invece la poesia amorosa ha sempre avuto esistenza, poichè è antica, seguita e durerà quanto l'oggetto che informa i suoi componimenti.

Ora pertanto nel finire del trecento uno solo come abbiamo veduto, è il concetto che informa tutti i poeti gentili, e questo non può essere che quello della Libertà.

Appresso questi esempi il poeta scrive un sonetto lo indirizza all'amico suo Cino da Pistoja, spiegando in esso cosa sia l'amore, e questo sonetto trova eco negli altri che parlarono della medesima cosa.

Esaminiamo ora quello del paragrafo ventu

nesimo.

Negli occhi porta la mia donna amore,
Per che si fa gentil ciò ch'ella mira:
Ov' ella passa, ogni uom vêr lei si gira,
E cui saluta fa tremar lo core:

Si che, bassando il viso, tutto smuore,

E d'ogni suo diffetto allor sospira;
Fugge dinnanzi a lei superbia ed ira:
Ajutatemi, donne, a farle onore.

Ogni dolcezza, ogni pensiero umile
Nasce nel core a chi parlar la sente:
Ond'è laudato chi prima la vide.

Quel ch'ella par quand' un poco sorride

Non si può dicer nè tener a mente,

Si è novo miracolo gentile.

Perchè siano possibili e vere tutte le virtù che il poeta dà alla sua donna, bisogna assolutamente che sia un simbolo e che rappresenti la Libertà, poichè altrimenti tutto ciò che Dante esprime non sarebbe vero. Appunto per questo nel precedente sonetto la personificazione della Libertà è veramente stupenda, e torna facilissimo il formarsene un'idea esatta, come lo studiarla anche negli altri poeti che dissero in rima press' a poco la stessa cosa.

Certamente sotto la vigilanza, la salvaguardia della libertà, tutto diventa gentile, tutto è fatto migliore, e dove ella abita, tutti certamente si volgono con piacere ad ammirarla ed ognuno la desidera e ne gioisce; trema il core di entusiasmo a quelli che hanno saputo ottenerla, tanto, che fuggendo dal cuore di ogni buon cittadino tutte le passioni, mira con occhio severo le passate colpe, e gode del presente che le ha cancellate.

Sotto l'egida della Libertà, non è chi s'attenti sturbare la pace, ed ogni essere anche il più ambizioso, non ha nulla da desiderare, e resta umile a mirare tanta felicità.

Chi poi per propria virtù e senno fu primo a procurarla, quegli è lodato come persona sacra e degna di starle al fianco.

Cino da Pistoja nel seguente sonetto ha cantato molto somigliantemente a Dante:

Questa donna che andar mi fa pensoso,

Porta nel viso la virtù d'amore,

La qual fa risvegliare altrui nel core
Lo spirito gentil che v'è nascoso.

Ella m'ha fatto tanto pauroso,
Poscia ch' io vidi il mio dolce Signore
Negli occhi suoi con tutto il suo valore,
Ch'io le vo presso a risguardar non l'oso.

E s'avien poi che quei begli occhi miri,
Io veggio in quella parte la salute
Ove lo mio intelletto non può gire.

Allor si strugge sì la mia virtute,
Che l'anima che move li sospiri
S'acconcia per voler dal cor partire.

Dopo queste prove passiamo ad esaminare il paragrafo ventiduesimo:

Appresso questo non molti dì passati, sì come piacque al glorioso Sire, lo quale non negò la morte a sè, colui ch' era stato genitore di tanta maraviglia quanta si vedeva ch'era questa nobilissima Beatrice, di questa vita uscendo, se ne gia alla gloria eternale veramente. Onde, conciossia che cotale partire sia doloroso a coloro che rimangono, e sono stati amici di colui che se ne va; e nulla sia così intima amistà, come quella da buon padre a buon figliuolo e da buon figliuolo a buon

padre; e questa donna fosse in altissimo grado di bontade, e lo suo padre, siccome da molti si crede, e vero è, fosse buono in alto grado; manifesto è, che questa donna fu amarissimamente piena di dolore. E conciossiacosa che, secondo è l'usanza della sopradetta cittade, donne con donne, e uomini con uomini si adunino a cotale tristizia, molte donne s' adunaro colà, ove questa Beatrice piangea pietosamente, ond' io veggendo ritornare alquante donne da lei, udii loro dir parole di questa gentilissima com'ella si lamentava. Tra le quali parole udi' che diceano : « Certo ella piange sì, che qual la mirasse dovrebbe morire di pietade. » Allora trapassarono queste donne; ed io rimasi in tanta tristizia, che alcuna lagrima talor bagnava la mia faccia, ond' io mi ricopria con porre le mani spesso agli occhi miei. E se non fosse ch' io attendea anche udire di lei, però ch' io era in luogo onde ne giano la maggior parte di quelle donne che da lei si partiano, io mi sarei nascoso incontanente che le lagrime m' aveano assalito. E però dimorando ancora nel medesimo luogo, donne anche passarono presso di me, le quali andavano ragionando e dicendo tra loro queste parole: « Chi dee mai essere lieta di noi, che avemo udito par

lare questa donna si pietosamente? » Appresso costoro passarono altre, che veniano dicendo: « Questi che quivi è, piange ne più ne meno come se l'avesse veduta, come noi avemo ». Altre poi diceano di me: « Vedi questo che non pare desso: tal è divenuto ». E così passando queste donne, udii parole di lei e di me in questo modo che detto è.

Dopo queste parole è inevitabile una domanda, chi è o chi può essere il padre della Libertà? Evidentemente il padre bisogna che sia chi l'ha creata, chi l'ha messa per la prima volta in vita e chi la nutrisce.

Ora pertanto la città è addolorata da questa perdita che certamente causerà la perdita pure della libertà.

Per spiegare il pensiero di un qualsiasi autore è d'uopo porsi nell' ambiente morale ov'egli vive, e perciò esaminando il circolo d'azione del poeta e le sue aspirazioni, è evidente che egli parlerà del suo sentimento come lo ravvisa e come lo possono sentire quelli che lo circondano e quelli che la pensano come lui. Ora pertanto è chiaro che dopo la battaglia di Campaldino, si perdettero in Firenze tutte le prerogative che avevano creata una libertà ordinata e sapiente, osserviamo inoltre che nel pensiero di Dante la libertà è coordinata a tutto ciò che è buono,

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