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Qui è chiaramente significata la purgazione dell' anima sciolta dal corpo, quale però doveva essere immaginata in una religione fatta dall' uomo. Imperocchè quel lungo aggirarsi dello spirito per mille anni in mezzo ai tormenti, per poi aver fine nel suo ritorno alla terra, non è conforme alla natura di esso, che tende a Dio. Ma gli antichi, inceppati e stretti dai sensi, non potevano pensare felicità, che in quelli non avesse principio o non terminasse. La vita per essi era beatitudine somma: e quindi estimavano che i buoni, purgati d'ogni bruttura terrena, dovessero avere in premio la vita.

L'Evangelo, ordinando che l' uomo espiasse i suoi falli col pentimento, ridusse a certezza di dogma i confusi presentimenti del genere umano intorno alla nostra

Son de l'antiche colpe in varii modi
Punite e travagliate: altre ne l'aura

Sospese al vento, altre ne l' acqua immerse,

Ed altre al foco raffinate ed arse:

Chè quale è di ciascuna il genio e 'l fallo,

Tale è 'l castigo. Indi a venir n'è dato

Ne gli ampi elisii campi ; e poche siamo,
Cui si lieto soggiorno si destini.

Qui stiamo infin che 'l tempo a ciò prescritto

D'ogni immondizia ne forbisca e terga,
Sì ch'a nitida fiamma, a semplice aura,
A puro eterio senso ne riduca.

Quest' alme tutte, poichè di mill' anni
Han vòlto il giro, alfin son qui chiamate
Di Lete al fiume, e 'n quella riva fanno,
Qual tu vedi colà, turba e concorso.
Dio le vi chiama, acciò ch'ivi deposto
Ogni ricordo, men de' corpi schive,
E più vaghe di vita, un' altra volta
Tornin di sopra a riveder le stelle. »>

Libro vi, traduz. del Caro.

vita avvenire. E insegnandoci che le anime di coloro, che trapassarono nella fede di Gesù Cristo, vanno in luogo, dove i tormenti da un' amorosa speranza sono addolciti, e che le preghiere e le lagrime di chi li ama nel nostro mondo affrettano il tempo della loro ultima purgazione, ristrinse insieme con dolcissimo nodo i vivi ed i morti. Ed in vero quale conforto avrebbe colui, che, avendo composto dentro il sepolcro i genitori, la sposa, gli amici, i figli, si strugge nel desiderio di rivederli, dove non tenesse per fede amarlo quelli e pregare per lui; potere egli con le ferventi orazioni alleviare le dovute pene alle anime loro; non essere dalla morte sciolti i legami che insieme qui già gli univa; e dopo breve patire e brevi fatiche tornare i buoni al seno di Dio? Allorchè io volgo nella memoria gli anni passati, e ricordo il mio venerato padre, le mie sorelle, il mio figliuoletto,' da me partiti quando più aveva bisogno l'anima mia della loro presenza e del loro affetto, mi vince tanto il dolore, che quasi non ho più forza per tollerarlo. E per una loro parola, per un sorriso del mio povero bambinello, darei le ricchezze tutte del mondo, darei la gloria, se fossero in mio potere, darei volentieri la vita mia. Ma se io penso che quelli o vivono in Dio, o tra poco debbono a Lui salire, mi

Mentre io scriveva queste parole era lieta e fiorente di sanità la mia cara figliuola Rosa, la quale erudita quanto modesta, e piena di un senno superiore alla sua età mi fu di grande aiuto nel comporre queste Lezioni. Pochi mesi dopo morì, e alcuni anni dopo morì la mia veneranda madre. Come potrei sopportare tante sventure, se non mi sostenesse la fede in Dio, rimuneratore dei buoni, e non avessi conforto dalla speranza di ritrovare nel cielo quelli, che io piango e desidero sempre qui sulla terra?

pento delle mie lagrime, ho quasi rimorso de' miei sospiri, e fra me dico con vivissima tenerezza: benedetta la religione che insieme congiunge il tempo e l'eternità! benedette le sue promesse e le sue speranze ! benedetta la fede, per cui crediamo che il pianto versato in terra si muti in allegrezza nel cielo !

La dottrina della espiazione è il soggetto della seconda parte del gran poema. In essa domina la mestizia ed una cara soavità d'immagini e di pensieri. Il che è conforme alla natura del tèma. Perchè nel pentimento non solo è dolore del male da noi commesso, ma melanconico desiderio del bene che non facemmo, e che avremmo potuto fare. La speranza ne tempera l'amarezza e la carità lo addolcisce. E perchè Dante, invece di penetrar col pensiero nella coscienza dell'uomo a considerarvi l'origine ed il progresso della sua emenda, si transferisce, siccome già nell'Inferno, fuori del tempo, e canta l'espiazione delle anime separate dai corpi loro, il luogo stesso ch'ei sceglie quasi a teatro delle sue mirabili fantasie gli apre il campo alla descrizione di tenerissimi sentimenti. Chè durando nei trapassati l'amore verso i congiunti e gli amici, il poeta ha facoltà di ritrarre ciò che più muove i cuori gentili; e le pietose memorie, la gratitudine, la compassione danno al suo stile tanti colori, quante sono le gradazioni di questi affetti nel cuore umano. Ma prima di esporre le bellezze di questa cantica, che, a parer mio, è la più bella, osserveremo di volo siccome Dante nel mondo invisibile tratteggiasse l'emenda dell'uomo che torna a Dio, e ad espiare i suoi falli tollera con amorosa pazienza dolori e pene.

Due cose ad esso son necessarie, perchè per mezzo del pentimento impetri il perdono delle sue colpe. Lo zelo della giustizia e la cognizione di sè medesimo. Nè potrà averla chiara ed intera, se conversando co' suoi pensieri non si ponga ad esaminar le cagioni de' suoi peccati, la loro bruttezza e il modo di liberarsene. Lo zelo della giustizia è figurato in Catone: nella deserta piaggia del mare la solitudine necessaria a chi vuole conoscer sè stesso a farsi migliore. E perchè l'uomo com'entra nel desiderio della virtù inco. mincia a sentire allegrezza nuova, il poeta dipinge questo stato dell'anima dipingendo la luce serena del cielo del Purgatorio:

Dolce color d'orïental zaffiro,

Che s'accoglieva nel sereno aspetto
Dell'aer puro infino al primo giro,

Agli occhi miei ricominciò diletto,

Tosto ch'io usci' fuor dell'aura morta,

Che m'avea contristato gli occhi e il petto.
(Purgatorio, canto 1.)

Non dobbiamo meravigliarci che di Catone facesse il simbolo della giustizia, e che lo ponesse in luogo chiuso a coloro che non conobbero nella vita la vera fede. Da molti passi del Convito c'è manifesto quanto Dante lo avesse in venerazione: poichè lo chiama sacratissimo petto, e gli dà lodi come a niun altro del tempo antico. Forse volle imitare Virgilio, che lo pre

1

1 Secretosque pios, his dantem iura Catonem.

Eneide, lib. VIII.

«< Luoghi de' buoni, a cui il buon Cato è duce. »

Caro, ivi.

pose alla custodia dei giusti ne'campi Elisii: forse ebbe, rispetto a lui, la stessa opinione che del troiano Rifeo, il quale è da lui posto nella sfera di Giove, perocchè visse, secondo ch'egli ne crede, con le virtù del Cristiano. Dante aveva di Dio tal concetto, che reputava non potere la mente umana intendere i suoi consigli, ed essere i suoi giudizii tanto diversi dai nostri, quanto la perfezione di Esso trascende quella d'ogni perfetta creatura. Però, scriveva nel Paradiso,

. . nella giustizia sempiterna

La vista che riceve il vostro mondo,
Com'occhio per lo mare, entro s'interna:
Chè, benchè dalla proda veggia il fondo,
In pelago non vede: e nondimeno
Egli è, ma 'l cela lui l'esser profondo.
Lume non è, se non vien dal sereno,
Che non si turba mai, anzi è tenebra,
Od ombra della carne, o suo veneno.
(Canto XIX.)

Dante crede che la osservanza delle virtù, nelle quali l'uomo può esercitarsi col solo aiuto della ragione, cioè della giustizia, della fortezza, della temperanza, della prudenza, avesse fatto ritrovar grazia a Catone dinanzi a Dio. Queste virtù sono da lui figurate nelle quattro lucidissime stelle, che non si levano mai sul nostro orizzonte: il che significa, esserne negli uomini del suo tempo venuto meno l'amore. Bellissima poi è la pittura ch'egli ci fa di Catone:

Vidi presso di me un veglio solo,

Degno di tanta reverenza in vista,

Che più non dee a padre alcun figliuolo.

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