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Che mosse me a far lo simigliante.
O ombre vane, fuor che nell' aspetto!
Tre volte dietro a lei le mani avvinsi,
E tante mi tornai con esse al petto.

Ed io Se nuova legge non ti toglie
Memoria o uso all' amoroso canto,
Che mi solea quetar tutte mie voglie,
Di ciò ti piaccia consolare alquanto
L'anima mia, che, con la sua persona
Venendo qui, è affannata tanto.
Amor che nella mente mi ragiona,
Cominciò egli allor si dolcemente,
Che la dolcezza ancor dentro mi suona.
Lo mio Maestro, ed io, e quella gente
Ch' eran con lui, parevan sì contenti,
Com'a nessun toccasse altro la mente.

(Purgatorio, canto II.)

Non senza ragione dice il poeta che quelle ombre al vederlo e poscia all' udire il canto dolcissimo di Casella avevano quasi dimenticato il fine del loro viaggio. Con questo vuole significare che l' uomo al principio della sua emenda è molto ancora nelle terrene cose involuto, sicchè per esse lascia i pensieri che lo richiamano al cielo. Ma lo zelo della giustizia risorge in lui; ond' egli si pente d'aver cercato quel che doveva fuggire: ciò è simboleggiato in Catone che sopravviene, e nell' impeto quasi di spaventate con cui le ombre obbediscono alla sua voce:

Noi eravam tutti fissi ed attenti

Alle sue note, ed ecco il veglio onesto,
Gridando: Che è ciò, spiriti lenti?

Qual negligenza, quale stare è questo?

Correte al monte a spogliarvi lo scoglio,
Ch'esser non lascia a yoi Dio manifesto.
Come quando, cogliendo biada o loglio,
Gli colombi adunati alla pastura,

Queti, senza mostrar l'usato orgoglio,
Se cosa appare, ond' elli abbian paura,
Subitamente lasciano star l'esca,
Perchè assaliti son da maggior cura;
Così vid' io quella masnada fresca

Lasciar il canto, e fuggir vêr la costa,
Com' uom che va, nè sa dove riesca:
Nè la nostra partita fu men tosta.

(Purgatorio, canto II.)

Immagina il poeta che nelle anime, cui la speranza è pietosa consolatrice, duri l'amore delle cose e delle persone ch' ebbero care vivendo. Dal che viene alle sue narrazioni grande bellezza. Chè l'uomo vuol ritrovare per tutto l'uomo. Però se Dante avesse ritratto quelle ombre in modo che núlla avessero di somigliante con noi, le sue descrizioni non avrebbero effetto sul nostro cuore. Quindi ci piace vedere in esse que' sentimenti che noi proviamo. E tanto cresce il nostro diletto quanto le nostre stesse passioni si palesano in quelle purificate, più tenere e più soavi quando son dolci, sciolte dall' ira e dal desiderio della vendetta, allorchè movono dall' odio del vizio, o da virtuoso risentimento. Onde ci sembra scorgere in esse l'umana natura idealmente rappresentata, e vi ritroviamo un imitabile esempio. Conciossiachè le passioni non debbono essere oppresse nel nostro cuore, ma con mano gagliarda tenute in freno, nascendo dal buon governo di esse i forti pensieri e le opere generose. Oltre a ciò

non potrebbe la nostra immaginativa senza stancarsi seguire a lungo il poeta negl' invisibili mondi, in cui ci trasporta, se a quando a quando non ci richiamasse alla terra col descrivere umani affetti. Ed in vero, allorchè racconta, siccome l'anima di Manfredi della sua morte e degli oltraggi che furono fatti alla sua memoria gli favellasse, noi scorgiamo in tutte le sue parole non solo la securità di chi nulla dagli uomini spera o teme, ma l'indignazione magnanima di colui che delle terrene ingiustizie si appella a Dio. E la pittura di questi affetti ci tocca in guisa, che pietà e sdegno sentiamo leggendo i versi seguenti, siccome il poeta nel dettarli sentiva sdegno e pietà:

lo mi volsi vêr lui, e guardail fiso:

Biondo era e bello, e di gentile aspetto;
Ma l' un de' cigli un colpo avea diviso.
Quand' i' mi fui umilmente disdetto

D'averlo visto mai, ei disse: Or vedi;
E mostrommi una piaga a sommo il petto.
Poi disse sorridendo: I' son Manfredi,
Nipote di Gostanza imperadrice:
Ond' io ti prego che, quando tu riedi,
Vadi a mia bella figlia, genitrice
Dell' onor di Cicilia e d'Aragona,
E dica a lei il ver, s'altro si dice.
Poscia, ch' i' ebbi rotta la persona
Di due punte mortali, io mi rendei
Piangendo a Quei che volentier perdona.
Orribil furon li peccati miei;

Ma la bontà infinita ha sì gran braccia,
Che prende ciò che si rivolve a lei.
Se 'l Pastor di Cosenza, ch' alla caccia
Di me fu messo per Clemente, allora
Avesse in Dio ben letta questa faccia,

L'ossa del corpo mio sariano ancora
In co' del ponte presso a Benevento,
Sotto la guardia della grave mora.
Or le bagna la pioggia e muove il vento
Di fuor dal Regno, quasi lungo il Verde,
Ove le trasmutò a lume spento.

(Purgatorio, canto III.)

Come Manfredi desidera di essere ricordato alla sua figliuola, le altre ombre, con le quali si avviene Dante, lo pregano di tenerle nella memoria dei loro cari. Quanta pietà non è in questo amorevole desiderio! E con quale ricchezza d'immagini e di concetti non fu dal poeta espresso! Ora egli introduce un'ombra, che piange la ingrata dimenticanza della sua moglie; ora altre, che o da lui sperano una preghiera, o per suo mezzo ne fanno dimanda ai vivi:

Io fui di Montefeltro, i' son Buonconte:
Giovanna, o altri non ha di me cura,
Perch' io vo' tra costor con bassa fronte.

Ricorditi di me, che son la Pia :

Siena mi fe', disfecemi Maremma:
Salsi colui che inanellata pria,
Disposato m' avea con la sua gemma.

(Purgatorio, canto v.)

Quando sarai di là dalle larghe onde,
Di' a Giovanna mia, che per me chiami
Là dove agl' innocenti si risponde.
Non credo che la sua madre più m'ami,
Poscia che trasmutò le bianche bende,
Le quai convien che misera ancor brami.
(Purgatorio, canto VIII.)

Si è già notato, lo sdegno degli spiriti eletti nel Purgatorio non essere mai iracondo o vendicativo: esso si mostra quale deve sentirsi da chi ha il vizio in orrore, perchè ama il bene. Ne abbiamo esempio nei versi, in cui Ugo Capeto biasima le turpi azioni dei re di Francia, e in quelli, con che Forese riprende l' inverecondia delle donne de' tempi suoi.

Quanto è di grande, di nuovo, di portentoso nel mondo dei sensi, o in quel del pensiero, è stato soggetto di poesía. Ella si spazia pel vastissimo giro del l'universo. I costumi e le passioni degli uomini, i subiti mutamenti della fortuna, le grandi virtù e i grandi vizii, il vario aspetto del cielo e della campagna, il moto degli astri, il muggire del mare, la bontà di Dio, la sua grandezza infinita, la sua sapienza, e quanto commove il cuore, quanto perturba o riscalda la fantasía, tutto venne cantato dalla sua voce. Nè quella fu solo emula o imitatrice della natura, ma volle farsi rivale all'arte, e scolpi e dipinse. Nel che le si opposero gravi difficoltà. Essendochè le cose narrate ci colpiscono meno gagliardamente delle vedute. Pure i poeti tentarono l' ardua prova di trasmutar le parole in linee taglienti, in ombre, in luce, in colori, e con ciò fecero manifesto essere la poesía la prima e la più efficace di tutte le nobili arti, anzi avere virtù di trasfonderle tutte in lei, operando sola gli effetti che sono proprii di ciascuna di esse in particolare. Onde ritrovi ne' suoi ben concertati suoni la melodia della musica, ed il poeta ora ti sembra pittore ed ora scultore. E se non può superare l'uno e l'altro nella evidenza, li supera nel descrivere a parte a parte un' azione e gli effetti

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