lo stesso uomo dipingesse con una fierezza che ci spaventa la terribilità dei demoni e il santo candore di quelle belle creature. Le idee della terra non fornivano a Dante colori adattati alla essenza loro: quindi ei li prese dal cielo, paragonandone lo splendore a quel della luce: Ed ecco, qual su 'l presso del mattino, A noi venía la creatura bella Bianco vestita, e nella faccia quale (Purgatorio, canto XII.) Come si frange il sonno, ove di butto Così l'immaginar mio cadde giuso, Tosto che un lume il volto mi percosse, Maggiore assai, che quello ch'è in nostr' uso. La voce degli angioli, dice Dante, è assai più della nostra viva: » simile al soffio del venticello è il soavissimo moto delle ali loro, e sono esse in bianchezza uguali a quelle del cigno. 2 1 Se io volessi toccare di tutti i luoghi che in questa seconda cantica del poema sono sopra gli altri mirabili per affetto e per fantasia, dovrei notare le straordi Canto XXIV. 2 Canto XXIX. 3 te narie bellezze delle visioni di Dante,' del suo incontrarsi con l'ombra di Stazio, poi con Forese, della sua sdegnosa invettiva alla serva Italia," e di tante vivaci nere descrizioni che vi s'incontrano ad ogni passo. Ma già lunga di troppo è questa Lezione: però, lasciando l'esame delle altre parti del Purgatorio, vengo all' ul.tima, in cui il poeta vince sè stesso. È da ricordare quello che abbiamo già riferito: essere stata, cioè, sua intenzione dir di Beatrice ciò che di donna mortale non fu mai detto. E veramente tanto ei la inalza, che la colloca accanto a Dio. Nobilissimo amore fu al certo il suo. Il tempo non v'ebbe forza: accompagnò lo stanco poeta in tutta la vita e gli aperse il cielo. Dante in Beatrice vivente credè vedere virtù e bellezza assai più che umane; vide in lei morta il simbolo della scienza rivelatrice di Dio. E perchè non intende questa chiunque serve all'errore ed alle passioni, immagina che Beatrice discenda a lui, quando per mezzo del pentimento e della debita espiazione de' falli suoi la libertà morale e intellettuale egli aveva recuperata. Nello sfoggio d'immagini, di colori, di melodie, con cui il poeta descrive il trionfo della sua donna, tu senti la riverenza amorevole del Cristiano all' eterno Vero, e alla Chiesa che n'è custode, ma senti ancora il cuore dell' amante, e dici con esso: Conosco i segni dell'antica fiamma. La doppia natura, che ha in sè Beatrice, risveglia nel 1 Canto IX, XV, XVII, XIX. 2 Canto XXI. 3 Canto XXIII. Canto VI. FERRUCCI, Lezioni. — I. 17 leggitore pensieri che sono in parte del cielo e in parte di questa terra: sicchè dalla loro mistura nasce un diletto ineffabile quanto nuovo; e la mente e il cuore per cagioni diverse ne sono commossi. L' Alighieri avea già descritto una sua visione figuratrice della santità della Chiesa. S' ode una voce che grida Veni Sponsa de Libano, » e tosto gli angioli, sul misterioso carro posati, si levano quasi dorata nube per l'aria, e, a gara invitandosi a sparger fiori su quella ch'è per venire, ripetono in coro benedizioni al suo nome. Ma che spero io ritrarre con le mie parole la più nobile poesia che mai fosse pensata da mente umana e cantata da umana voce? Udiamo piuttosto i versi di Dante: Io vidi già nel cominciar del giorno Che dalle mani angeliche saliva Donna m' apparve, sotto verde manto, E lo spirito mio, che già cotanto Per occulta virtù che da lei mosse, (Purgatorio, canto xxx.) Al venire di Beatrice Virgilio sparisce agli occhi di Dante, perchè dinanzi alle verità della fede la ragione rimane come abbagliata. Bellissimo è il modo, con cui è dal poeta espressa la compassione che hanno gli angioli santi del Paradiso delle nostre sventure e dei nostri errori. La donna in atto sdegnoso si volge a lui, e lo riprende molto aspramente dicendo: Guardami ben: ben son, ben son Beatrice: Egli l'ascolta tacito, e non si attenta di riguardarla: continua quella a rimproverargli di avere amato cose e persone che non doveva: gli angioli tosto intonano pietosamente un dolcissimo cantico di speranza, invitandolo a confidarsi nella divina bontà. Allora dice il poeta: poichè intesi nelle dolci tempre Lor compatire a me, più che se detto A questo punto la purgazione è compiuta; Matelda prende il poeta, lo immerge nel fiume Lete, e mentre ei vi perde la rimembranza di tutti i commessi falli, gli angioli con soavissimo canto ne rendono grazie a Dio. Beatrice gli volge gli occhi sereni, ed egli, abbagliato al loro fulgore, esclama: O isplendor di viva luce eterna, Chi pallido si fece sotto l'ombra Sì di Parnaso, o bevve in sua cisterna, Che non paresse aver la mente ingombra, render te qual tu paresti Tentando Là, dove armonizzando il ciel t' adombra, (Purgatorio, canto XXXI.) Da indi in poi Dante è disposto a salire al cielo. Ma come nella sua propria persona ha simboleggiato la purgazione dell' uomo, così egli prende nell' ultima parte di questa cantica a figurare la purgazione della civile comunanza. E prima mostra essere ella viziata nei due poteri, su i quali ha il suo fondamento, cioè, nell' ecclesiastico e nel laicale. Quindi fa dire a Beatrice che la sua corruttela avrà presto fine per opera d'un capitano da Dio mandato, forse per quella di Arrigo di Lussemburgo, il quale doveva, secondo sperava Dante, cessare la servitù della Chiesa, facendo che il papa tornasse a Roma, spegnere i tiranni e le sètte per tutta Italia, e sotto il suo impero ridurre a giustizia e a pace popoli e re. Nè perchè i fatti contradicessero alle parole dell' Alighieri, si deve reputar falso il concetto espresso da lui con arditissime fantasie. Essendochè è indubitato, non poter le nazioni avere quieto governo, nè stabile libertà, se l'emenda degli individui non precede la riformazione politica degli Stati. Perchè le leggi o avranno in sè alcuna parte che sia viziosa, o non potranno portare l'effetto loro, quando gli uomini schiavi delle passioni abbiano dagli errori e dal senso offuscata la mente e guastato il cuore. Da ciò si vede come ciascuno possa contribuire al bene comune col far migliore sè stesso, e coll' educare |