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d'armi, di cavalli, di ricche vesti, e le donzelle e le dame avere stimato grande ventura essere lodate nei versi loro? Certo è cosa che desta la meraviglia il pensare quale in que' tempi, rozzi o crudeli per tutta Europa, fosse lo stato della Provenza. Là i cavalieri convenivano ad armeggiare, e con essi i poeti per celebrarne il valore; qua i trovatori contendevano insieme con serventesi, con ballate, con madrigali, avendo a giudici le donne più nobili e belle della contrada. Le quali solevano aprire annualmente corti d'amore, ove questo ridotto a scienza dava il soggetto a sottili disputazioni. La poesia per tanto fra i Provenzali non era arte solinga di pochi, ma popolare. Sicchè moltissimi furono i trovatori,1 e molti di questi d'alto liguaggio,

Il Petrarca, nel cap. Iv del Trionfo di Amore, ricorda i nomi de' più lodati di essi:

e poi v'era un drappello Di portamenti e di volgari strani.

Fra tutti il primo Arnaldo Daniello,

Gran maestro d'amor, Ich' alla sua terra
Ancor fa onor col suo dir novo e bello.
Eranvi quei ch' Amor sì leve afferra,

L'un Pietro e l'altro; e il men famoso Arnaldo;
E quei che für conquisi con più guerra;
Io dico l'uno e l'altro Raimbaldo,

Che cantò pur Beatrice in Monferrato;
E il vecchio Pier d'Alvernia con Giraldo;
Folchetto, che a Marsiglia il nome ha dato,
Ed a Genova tolto, ed all' estremo
Cangiò per miglior patria abito e stato;
Gianfrè Rudel, che usò la vela e il remo
A cercar la sua morte; e quel Guglielmo
Che per cantare ha il fior de' suoi dì scemo;
Amerigo, Bernardo, Ugo ed Anselmo;

E mille altri ne vidi, a cui la lingua
Lancia e spada fu sempre e scudo ed elmo. >>

i quali, cantando d' amore, d'armi, di guerra, o i vizii delle genti di Chiesa vituperando, ebbero nome di valorosi poeti. Pure niuno di essi mai giunse a tale eccellenza da meritare di essere fra gli altri, siccome sommo, onorato. E sebbene l' Alighieri, parlando di Arnaldo Daniello, dicesse:

....

questi ch' io ti scerno

Col dito, e additò uno spirto innanzi,
Fu miglior fabbro del parlar materno.
Versi d'amore e prose di romanzi

Soverchiò tutti, e lascia dir gli stolti

1

Che quel di Lemosì credon ch'avanzi;

(Purgatorio, canto XXVI.)

tuttavia costui non ebbe alcuna di quelle parti che sono ne' veri poeti, quali furono l' Alighieri stesso, Omero e Virgilio. Onde chi desidera investigare la cagione della uniformità, che si scorge nello stile e nelle immagini usate dai trovatori, e dell' essere quelli tutti giunti ugualmente alla stessa altezza, senza che uno solo fra loro spiegasse più in alto il volo, la vede nella qualità della vita ch'essi menavano. Vita di amore pensato più che sentito: non contristata da grandi e indegne sventure, non fatta più intensa e forte dalla solitudine e dal silenzio.

Come poteva la mente de' trovatori creare fantasie nuove, discoprire nei concetti attinenze non più notate, dare alla elocuzione quella efficacia che nasce dall' animata corrispondenza fra la parola e l'idea, co

1 Gerault de Berneil di Limoges.

lorire vivacemente vere passioni, se ad essi mancava il tempo non solo per meditare, ma per sentire le ricevute impressioni, per trarre le accumulate ricchezze dalla memoria? Se l'animo loro diviso tra molti affetti mai non si stava fisso in un solo, il quale fosse di tal virtù, che vivamente agitando il cuore tenesse in moto durevole la potenza immaginativa? Molto in vero può la natura nel formare i nobili ingegni; non tanto però, che non vi abbiano eziandio grande parte l'educazione, non meno che la fortuna. Onde i tempi felici e quieti non sono propri ad invigorire le forze dell' intelletto, mentre queste pigliano gagliardia fra il tumultuare delle parti e l'ire guerresche, come si vide accadere in Atene e in Roma. Le quali ebbero sommi poeti e sommi oratori, allorchè l'ambizione de' cittadini osando di soprastare alle leggi, o la comune libertà essendo posta in pericolo dalle armi de' forestieri, v' erano gli animi pieni di sospetti e di sdegni, e niuno potea posarsi nella infingarda securità della pace. In mezzo alle civili discordie e alle interne guerre sursero gli eccellenti poeti e i gloriosi artisti, onde ha ed avrà sempre onore l'Italia. Tanto è vero ciò che affermai, per fare agl' Italiani giovani manifesto, la malignità della fortuna e de' tempi non togliere mai agl' ingegni la virtù loro, se da noi stessi non li facciamo deboli e inerti. Infelice per molti rispetti è al certo la condizione dell' età nostra: ella però non è tale che faccia scusa alla corruttela del gusto, alla vanità de' pensieri e alla leggerezza delle nostre instabili fantasie. Onde, se avessimo desiderio di onesta fama, cercar dovremmo ne' buoni studii l'onore, che non ci è permesso acquiFERRUCCI, Lezioni. -I.

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stare per altre vie e in cambio di perdere il tempo in oziose cure, chiedere noi dovremmo alla fede, all'amore, alla solitudine, l'ispirazione d'alti concetti, ed imparare l'arte che è necessaria a rappresentarli con graziose e nobili forme. Imperocchè niuno, che molto non ami il vivere solitario, può mettere mai alla prova le forze della sua mente, la quale nel tumulto del mondo, nel folleggiar de' piaceri perde ogni suo vigore ed insterilisce. E però i Greci, che nascondevano le verità generali sotto amabili allegorie, immaginarono che le Muse facessero loro dimora sopra arduo monte, in mezzo ad ombrose selve, ove solo lo strepito delle acque scorrenti giù dalle rupi, e lo stormire delle foglie mosse dal vento si accompagnavano al dolcissimo suono de' canti loro. L'amore della solitudine adunque, le difficoltà della vita, le battaglie di forti e contesi affetti mancarono ai trovatori: onde i loro versi eleganti, armoniosi e dolci, non rivelano nè gagliarde passioni, nè ricca e varia immaginativa; sì che sono da comparare piuttosto ad un bel disegno, che ad un dipinto, sul quale l'artista con franco pennelleggiare, con vivi tratti di luce e d'ombre, e con mirabile forza di colorito ha impresso, per così dire, l'anima sua.

La fama de' trovatori giunse in Italia, ove la lingua volgare essendo ancor rozza, molti si dettero a verseggiare in quella de' Provenzali. V'ebbe grido principalmente il manto vano Sordello, uomo d'armi e di corte, di cui la memoria vive non per i versi da lui dettati, non per le strane avventure che gli sono dal Platina attribuite, ma per la invidiabile lode dell' Ali

ghieri, la quale non al poeta, ma al libero cittadino, al caldo amatore della sua patria si riferisce.

La fantasia degl' Italiani non poteva però contentarsi di rimanere in tal povertà da non avere modi suoi propri per dare veste poetica ai suoi concetti. Onde la lingua volgare cominciò ad essere adoperata a cantar di amore, e questo avvenne prima in Sicilia per le ragioni addotte da Dante: « Quelli illustri eroi, » Federigo Cesare ed il ben nato suo figliuolo Man» fredi,... seguirono le cose umane, e le bestiali sde» gnarono. Il perchè coloro che eran di alto cuore e » di grazie dotati, si sforzarono di aderirsi alla maestà » di sì gran principi, talchè, in quel tempo, tutto quello » che gli ecellenti Italiani componevano, nella corte di » si gran re primamente usciva. E perchè il loro seg

gio regale era in Sicilia, è avvenuto che tutto quello » che i nostri precessori composero in volgare è chia» mato siciliano: il che ritenemo ancor noi, ed i po»steri nostri non lo potranno mutare. »1

Sebbene la lingua di questi antichi poeti sia detta volgare, pure non è da credere ch' ella fosse simile in tutto a quella che allora parlava il volgo; la quale aveva diversità di vocaboli, di desinenze, di suoni, in quasi tutte le provincie d'Italia, come ci è provato da Dante nel libro sopra citato. E veramente la plebe corrompe le lingue in luogo di dare ad esse regolarità e nobiltà: e niuno che scrive, purchè ami il bello, segue il suo modo di favellare; anzi, dal desiderio di ritrovare forme appropriate alla qualità de'concetti suoi, è mosso a

Volg. Eloq., lib. 1, cap. XIII.

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