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di Rienzo, all'Italia. Nella prima invita il Pontefice a ripigliare l'impresa delle Crociate; nella seconda esorta il Tribuno a rendere a Roma la pristina sua grandezza; nella terza consiglia tutti i Signori italiani a stringersi insieme per combattere gli stranieri. Il principio di questa è pieno di maestà: essa procede con impeto ognor crescente: lo stile vi è vigoroso, ne sono splendide le sentenze, l'affetto v'è maschio e vivo.

Chiuderò questo discorso con una osservazione giustissima del Giordani. Dice egli, che come Dante è scultore in quanto allo stile, così è da tenersi il Petrarca per compositore di musica soavissima. E veramente non è melodioso soltanto nelle parole: tale egli è ancor nei concetti. E questo avvenne, perchè il cuore e la fantasía furono in esso sempre in accordo. Armonía rara a trovarsi, cagione però di somma bellezza in tutte le arti, desiderabile da chiunque ne speri lode. Essa non tanto viene dalla natura, che molto non vi abbia parte la volontà. Imperocchè, dando l' uomo stabili e savie norme alla vita, è portato ad amare il bello siccome il bene; e dall' uno e dall' altro si tempera poi l'ingegno, e conduce armoniosamente l' opere sue.

LEZIONE DECIMASECONDA.

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SOMMARIO.

Nobiltà e utilità dell' ufficio dello scrittore.

Delle doti a lui necessarie. - Come sia profittevole ai giovani lo studio dei trecentisti, e come si debba fare. Dei primi scrittori di prosa ch'ebbe l'Italia. Perchè alcuni di essi fossero eloquenti, comecchè privi di arte. Si porta giudicio intorno ad alcuni prosatori del secolo XIV. De' cronisti. Pregi dei Villani.

Sua Cronaca.

Dino Compagni. - Sua vita.

Quali bellezze siano in essa, e quali effetti morali

ne vengano in chi la legge.

Niuna potenza è da comparare a quella che ha lo scrittore. Imperocchè ov' ei sia tale, che avendo sano giudizio, ingegno fecondo, vivace immaginazione e gagliardo affetto, abbia dai bene condotti studii imparato il modo di commovere, d'instruire, di persuadere, ottiene sulla mente degli altri si grande impero, che modera a sua posta la volontà, non solo degli uomini del suo tempo, ma sì di quelli che nasceranno. Questa è nobilissima specie di monarchia, non sottoposta all' arbitrio della fortuna, sicura da tutte le offese umane. Perchè se alcuno può costringere e tormentare lo scrittore nella persona, niuno ha forza nel suo pensiero; il quale liberissimo per natura spazia liberamente nel campo della verità, della scienza, della morale. Comparate gli effetti delle conquiste di Cesare e di Alessandro su i popoli dell' Oriente e dell' Occi

dente con quelle fatte sopra l'errore dai filosofi sommi di tutti i tempi; e poi negate, che delle prime più durevoli e più gloriose siano le seconde. Che rimane delle vinte battaglie e del sangue sparso da tanti conquistatori? Non altro che dolorose memorie e tristi ruine. Ma la voce di Platone risuona per tutta Europa, siccome sonava in Grecia, persuasiva consigliatrice d'alti pensieri. Vive l'eloquenza di Cicerone, e noi ne sentiamo gli stessi effetti che ne sentivano i suoi Romani: tuoni egli contro le audaci ambizioni o per via di argomenti dimostrativi desti negli altri l'amore del retto. Che ha potuto il tempo su Dante, e sopra tanti altri grandi poeti, facondi oratori, storici illustri? La sua forza, che abbatte i marmi e rovescia i troni, si spezza contro gl' ingegni, i quali, simili al Sole, che, avendo illuminato la nuova terra, la illumina nel presente e continuerà a illuminarla nell' avvenire, poichè dettero luce alla loro età, diffondono sulla nostra il loro splendore, nè cesseranno di rischiarare i tardi nipoti.

Quindi pensando alla dignità e all'efficacia dello scrittore, non poco mi maraviglio, che, mentre tanti vanno tentando tutte le vie per crescere di ricchezza, o per ottenere odiata e fuggevole autorità, si scarso sia il numero di coloro che aspirino a una potenza, la quale è pacifica, com'è salda, e tanto legittima quanto è bella. Vero è però che a farla tale non basta nello scrittore l'ingegno e l'arte: uopo è che quello ei rivolga al bene comune, e adorni con questa pensieri di bellezza morale e di pubblica utilità. Chè, dove egli facesse altrimenti, non più giusto moderatore delle opinioni dovría chiamarsi, ma corruttore di esse,

e il suo ministerio in turpe esercizio di tirannesca violenza si muterebbe.

Più gravi danni che dagli armati, discesi giù dalle Alpi, pati l'Italia e patisce ancora dalle perverse dottrine dei forestieri. In breve risorgono le città, poichè dal ferro nemico furon guastate. I campi corsi da esercito vincitore tornano in breve fecondi, siccome prima. Chi però rende all' anima la sua fede, chi la secura innocenza ridona al cuore, se l' una da ragioni sofistiche a lei fu tolta, se l'altra in lui fu turbata dalle lascivie di licenziosi scrittori ?

Beato quegli che acceso dal desiderio di fare gli uomini più felici col farli buoni, vivendo tutto a' suoi dolci studii, veracemente può a sè stesso far testimonio di non avere mai scritto cosa, di cui dovesse arrossire, o aver poi rimorso! Più beato ancora colui, che dalla sua tacita cameretta esce in mezzo alla folla co' suoi pensieri, e può con la virtù della mente ricondurre alla via del bene intere nazioni, e non restringendo il suo impero ai limiti angusti di questa fugace vita, regna sulla coscienza degli avvenire, spronandoli ad opere virtuose, e ad essi rendendo facile e chiara la cognizione del vero!

L'ambizione di farsi grande scrittore è la sola, che nel presente stato d'Italia dee avere un uomo d'ingegno, se a tanto dalla natura sia preparato. Nè affermo ciò, pensando alla fama ch' ei ne può avere. E per fermo, che è ella mai, per essere, da chi ha senno, con indomabile affetto desiderata? Incerta, spesso contesa, e spesso divisa con tali, che non sono degni di lei, se gli uomini nel dispensarla guardassero alla

bontà sustanziale piuttosto che alla grandezza di alcune imprese eccitanti la maraviglia, non basta a far pago l'animo nostro. Però io voglio tanto libero lo scrittore, che non serva neppure all'amor di quella. Chè assai gli sarebbe difficile il conseguirla, se apertamente gridando il vero mostrasse, la civiltà dell' Europa essere in molte parti peggiore della barbarie, e virilmente compiendo l'ufficio suo non adulasse nè i grandi nè il popolo, e d'ogni vizio, ancorchè potente, fosse franco riprenditore.

Io non so come possano gl' Italiani usare con dignità di quell' ozio, che loro hanno dato i tempi, ove non intendano fortemente alle nobili discipline. Tenete il corpo nelle delizie, e avrete la mente fiacca e annoiata: impiegate l'oro a variare i vostri piaceri, e di questi sarete stanchi prima che sazii. Datevi a fri voli studii, ne coglierete l'errore, ne sarete riarsi dalle passioni. No, l'uomo non isperi letizia e pace, non si confidi di avere un' ora di bene, finchè turpe schiavo della ignoranza ad alto fine non indirizza l'ingegno suo. O vantate, vantate le vostre feste, le vostre allegrezze tumultuose, genti mondane! Che sono esse, paragonate col tranquillo diletto, che infonde in noi la sapienza, compagna della virtù? Quelle si dileguano come nebbia al soffio del vento, dopo di sè lasciando il rimorso: questo dura quanto la vita, anzi diviene infinito, poiche ci è mezzo alla gioia, che non ha termine nè misura.

Troppo a lungo mi porterebbe l' enumerare le qualità che deve aver lo scrittore, e il dire partitamente com' egli debba alla filosofia domandare la co

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