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delle loro città. Sarebbe di troppa noia a chi legge, se a confermazione della sentenza dantesca io qui recassi canzoni o sonetti de' poeti sopracitati: basti che ne trascriva uno di Guittone d' Arezzo, ch' ebbe maggior nome degli altri, il quale fu de' Frati Gaudenti, fondò in Firenze il monistero degli Angioli, e mori nel 1294:

Già mille volte, quando Amor mi ha stretto,
Eo son corso per darmi ultima morte,
Non possendo ristare all' aspro e forte
Empio dolor, ch' io sento dentro il petto.
Voi veder lo potete qual dispetto

Ha lo meo core, e quanto a crudel sorte
Ratto son corso già sino alle porte
Dell' aspra morte per cercar diletto.
Ma quando io son per gire all' altra vita,
Vostra immensa pietà mi tiene e dice:
Non affrettar l' immatura partita.
La verde età, tua fedeltà il disdice;

Ed a restar di qua mi priega e 'nvita,
Sì ch'io spero col tempo esser felice.

Veramente questa non è poesia, dove s' intenda per essa non il corrispondersi delle rime e la misura del verso, ma la novità, la soavità, la grazia e l' impeto del pensiero con efficaci e con armoniose parole espresso. L'avere usato lingua plebea fu in parte cagione della rozzezza de' versi de' dugentisti, secondo la sentenza di Dante già riferita : ma nella Divina Commedia egli ne adduce un'altra ragione più filosofica, e quindi più persuasiva, mostrando come Guittone e gli altri della sua schiera non furono, ed essere non poterono, veri poeti, perchè mancò loro l'ispirazione

di un vivo e gagliardo affetto. Insegnamento importantissimo per chiunque si pone a scrivere in verso o in prosa. Ch'ei non potrà l'ideale bellezza con le immagini e con le parole rappresentare, nè commovere o dilettare gli animi altrui, ove non dipinga vere passioni e vivamente sentite, appropriando lo stile all'indole loro. Ond'è manifesto come i giovani, i quali mirano a diventare scrittori, debbano tenersi lontani da tutti gli affetti eccessivi, malvagi, disordinati, i quali, turbando la fantasia, viziano il cuore, sicchè questo non è più atto a nutrire sensi nobili, delicati o virili, che sono materia buona alla poesia. La quale derivata dal bello eterno, cioè dall'ordine perfettissimo, ama la temperanza armoniosa nel sentimento, e rifugge da tutti gli estremi delle passioni. E che ciò sia vero si vede ne' classici, e per converso nelle poesie di alcuni moderni. I quali per avere preso a soggetto de' versi loro affetti immoderati e lontani dal vero e dall' ordine, le leggi del quale mai non dee lo scrittore dimenticare, non arrivano al segno prefisso,

1 Dante, rispondendo a Bonagiunta da Lucca, che gli aveva chiesto s' egli era quelli che trasse fuori le nuove rime, dice di sè stesso:

« ....

I'mi son un che, quando

Amore spira, noto, ed a quel modo
Che detta dentro, vo significando.
O frate, issa vegg' io, diss' egli, il nodo,
Che 'l Notaio e Guittone e me ritenne
Di qua dal dolce stil nuovo ch'i' odo.
Io veggio ben come le vostre penne

Diretro al dittator sen vanno strette,
Che delle nostre certo non avvenne. >>>

(Purgatorio, canto xxiv.)

ovvero quello oltrepassano fuor di modo. Sicchè quando vorrebbero produrre nell' animo degli ascoltanti il timore, vi generano lo spavento; e il pianto loro non è di persone afflitte, ma di furenti o di disperate: e nel dipingere l'amore, raffreddano con artificiosi concetti le sue passioni, o le fanno trascorrere a voluttà; sempre in su gli estremi, non mai nel mezzo, nel quale è il bello nell' arte, come nella morale è l'onesto. A fuggire pertanto il biasimo, che a costoro vien dato dagl' intendenti, fa d'uopo che i giovani custodiscano gelosamente la purezza e la verecondia dei loro cuori: da un animo buono e gentile per sua natura, fatto dall'educazione e dagli studii delle lettere più gentile e più buono, sgorgano affetti soavi, immagini caste, parole piene di dolcissima melodia; come pura zampilla l'acqua da una fontana che giace in riposta valle, e chiusa intorno da dense piante e da rupi non teme di essere intorbidata nè dagli armenti, nè dai pastori.

Da questa digressione, a cui mi ha condotta quel desiderio che ho sempre avuto ed avrò sempre grandissimo di vedere le lettere e la morale di nuovo in Italia nobilitate, e questa dare i concetti, quelle la forma alle opere degli scrittori, ritornando al nostro soggetto ricorderò, siccome Guido Guinicelli fu il primo ad avere favella e spirito di poeta, onde l' Alighieri lo dice:

padre

Mio, e degli altri miei miglior, che mai
Rime d'amore usar dolci e leggiadre.

(Purgatorio, canto XXVI.)

Questa lode ampliata nel libro della Volgare eloquenza, in cui Guido è chiamato massimo, fu confermata dal Poliziano. Essa non parrà eccessiva a chi, avendo riguardo ai tempi del Guinicelli, consideri la semplicità de' suoi versi, nei quali concetti dalla scuola platonica derivati vengono espressi con purità di favella; come si vede in quelli che qui trascrivo:

Al cor gentil ripara sempre Amore,

Siccome augello in selva alla verdura.
Nè fe Amore anti che gentil core,
Nè gentil core, anti che Amor, Natura.
Che adesso com' fu il Sole,

Si tosto fue lo splendor lucente,
Ne fu davanti al Sole.

E prende Amore in gentilezza loco
Così propiamente,

Come il calore in chiarità di foco.

Ma sopra ogni altro ebbe fama di elegante poeta nell'età sua Guido de' Cavalcanti, amico di Dante, molto erudito in filosofia, d' animo nobilissimo, d' indole solitaria e sdegnosa. Arricchi la lingua di nuovi modi, e superò il Guinicelli nell' arte del verseggiare. Perciò Dante alludendo a lui, e poscia a sè stesso con la libera, non superba schiettezza d'uomo, che sente la sua virtù e i meriti suoi, cantava:

Così ha tolto l'uno all' altro Guido

La gloria della lingua; e forse è nato
Chi l'uno e l'altro caccerà di nido.

(Purgatorio, canto XI.)

Il Cavalcanti tenne co' Cerchi contro i Donati, e

però mentre recavasi a san Iacopo di Gallizia, messer

Corso, capo di quelli, cercò di assassinarlo, ma non gli venne fatto; di che l'odio di Guido sempre più crebbe. Stando a Tolosa s'innamorò di una fanciulla di nome Mandetta, e poscia la celebrò ne' suoi versi. Essendo poi le discordie tra i Neri e i Bianchi in Firenze venute a tale, che vi stavano tutti in grande sospetto, i priori, de' quali era Dante, confinarono messer Corso con altri della sua parte, e per mostrare di essere giusti nelle loro sentenze, confinarono alcuni di parte Bianca, e Guido fra questi. Ma essendo egli caduto infermo a Sarzana, a lui e ad altri de' suoi fu tolto il bando. Indi a non molto poi si mori.

È lodatissima la canzone del Cavalcanti intorno alla natura di Amore, benchè l'avervi egli posto le forme della scolastica diminuisca di molto la sua bellezza. Ad essere intesa avrebbe bisogno di non brevi dichiarazioni, e però qui non la pongo. Vediamo invece come il suo stile sia acconcio a delineare immagini schiettamente soavi:

In un boschetto trovai pastorella,
Più che la stella bella al mio parere.
Capegli avea biondetti e ricciutelli,
E gli occhi pien d'amor, cera rosata,
Con sua verghetta pasturava agnelli:
E scalza, e di rugiada era bagnata,
Cantava come fosse innamorata,
Era adornata di tutto piacere.
D'amor la salutai immantinente,
E domandai se avesse compagnia:
Ed ella mi rispose dolcemente
Che sola sola per lo bosco gìa.

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