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Nè meno graziosa è un' altra ballata, in cui parla della sua bella Mandetta:

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Ch'altro non chiama che lei, nè desia.
Ella mi fiere sì, quand' io la guardo,
Ch'io sento li sospir tremar nel core.
Esce dagli occhi suoi, là ond' io ardo,
Un gentiletto spirito d'Amore,
Lo quale è pieno di tanto valore,
Che, quando giugne, l'anima va via
Come colei, che soffrir no 'l poria.

Alcuni di questi versi furono poscia imitati dall'Alighieri. Nei seguenti si scorge quel medesimo sentimento, al quale egli diè colore nella sua nuova maniera di poetare:

Veggio negli occhi della donna mia
Un lume pien di spiriti d'amore,
Che portano un piacer novo nel core,
Sì che vi desta d'allegrezza vita.

Là dove questa bella donna appare

S'ode una voce, che le vien davanti,
E par che d'umiltà 'l suo nome canti
Si dolcemente che, s'io 'l vo contare,
Sento che il suo valor mi fa tremare:
E movonsi nell'anima sospiri,

Che dicon: guarda, se tu costei miri,
Vedrai la tua virtù nel ciel salita.

Come il Cavalcanti compose rime assai più gen tili che non erano quelle del Guinicelli, così fu vinto da Cino da Pistoia nella dolcezza del numero e delle immagini. Cino fu seguace di parte Bianca, andò esu

lando dalla sua patria in varie città d'Italia, fu tra i più famosi legisti dell' età sua, e innamoratosi di Selvaggia de' Vergiolesi cantò prima la sua bellezza, e quindi in rime pietose sfogò il dolore della sua morte. Lo stile di Cino è più grazioso che vivo: le sue parole movevano dal suo cuore; ma questo non aveva la maschia tempra del cuore dell' Alighieri, nè la tenerezza e la soavità del cuor del Petrarca. Forse i gravi studii legali gli avevano un poco agghiacciata la fantasía: forse l'affetto da lui dipinto ci sembra freddo, perchè quando egli cantò di Selvaggia non era nel primo fior della giovinezza, sicchè più non aveva un' anima nuova alle amorose passioni. Adunque noi lo porremo tra gli eleganti scrittori, se porre non lo possiamo tra i veri poeti, quali furono l' Alighieri e il Petrarca. Non è poi a lui piccol vanto l'essere stato lodato dal primo, nel libro della Eloquenza volgare, come elegante e bel parlatore. Trascriviamo qui alcuni suoi versi a provare la verità del nostro giudizio:

Questa donna, che andar mi fa pensoso,

Porta nel viso la virtù d'amore,
La qual fa risvegliare altrui nel core
Lo spirito gentil, che v'era ascoso.
Ella m' ha fatto tanto pauroso,

Poscia ch' io vidi quel dolce signore
Negli occhi suoi con tutto il suo valore,
Ch' io le vo presso e riguardar non l'oso.
E quando avvien che que' begli occhi miri,
Io veggio in quella parte la salute,
Ove lo mio intelletto non può gire.
Allor si strugge sì la mia virtute,

Che l'alma, onde si movono i sospiri,
S'acconcia per voler dal cor partire.

Più caldo affetto è nella canzone in morte della Selvaggia; in cui sono alcuni versi che sembrano del Petrarca. Vedete in fatti quanto pietosi siano i seguenti:

La dolce vista, e 'l bel guardo soave
De' più begli occhi che si vider mai,
Ch' io ho perduto, mi fa parer grave
La vita sì, che vo' traendo guai.
E in vece di pensier leggiadri e gai,
Ch'aver solea d'amore,

Porto desii nel core,

Che son nati di morte

Per la partita che mi duol sì forte.
Ohimè! deh! perchè, Amore, al primo passo
Non mi feristi sì, ch'io fossi morto?
Perchè non dipartisti da me lasso
Lo spirito angoscioso, ch' io diporto?
Amore, al mio dolor non è conforto:
Anzi quanto più guardo,

Al sospirar più ardo,
Trovandomi partito

Da que' begli occhi, ov' io t'ho già veduto.

Quando per gentile atto di salute

Vêr bella donna levo gli occhi alquanto,
Si tutta si desvia la mia virtute,
Che dentro ritener non posso il pianto;
Membrando di Madonna, a cui son tanto
Lontan di veder lei;
O dolenti occhi miei,

Non morite di doglia?

Sì, per nostro voler, purchè Amor voglia.

Chi confrontasse le rime del Guinicelli, del Cavalcanti e di Cino con quelle di Guittone d' Arezzo,

di Dante da Maiano e di altri poeti de' tempi loro, in cui sono aspre voci e modi plebei, vedrebbe avere la lingua acquistato molta vaghezza, ed essersi in alcune parti nobilitata l'arte del verseggiare. Dal che potremo inferire l'amore del bello essere già surto in Italia; e perchè, quando esso comincia a manifestarsi, tutte informa e di sè colora le facoltà della mente, avvenne che, mentre il volgare eloquio tra noi assumeva qualità di poetico e di gentile, anche le arti del disegno, deposta la tetra rozzezza della barbarie, si mostrassero conformi al loro principio, il quale è nell' intelletto, ed in lui viene da Dio. Ne toccherò brevemente, essendochè, se la poesía è una pittura parlante, le arti belle si potriano chiamare poesía muta: muta però per l'orecchio, ma non pel cuore, non per la mente; questa e quello intendendo il loro linguaggio, e facendo esse con le linee e con i colori il medesimo ufficio che fanno gli armoniosi vocaboli e le animate immagini del poeta. Volendo io dunque mostrare in queste lezioni quale sia l'indole, quale la veste e la perfezione ch' ebbe in Italia il bello ideale per opera degli eccellenti scrittori, parmi non sia alieno dal mio soggetto trattare alquanto di lui in ordine alle nobili arti: conciossiachè l'artista e il poeta traggono dalla stessa sorgente i loro pensieri; e, se ad essi danno rappresentanza con modi e con istrumenti diversi, tendono però tutti ugualmente allo stesso fine.

Caduto l'impero d' Occidente, furono guaste dalla ignoranza lettere ed arti. Spenta la poesía, muta l'eloquenza, venuta meno la civiltà, non si vide ne' dipinti e nelle sculture alcun segno della semplicità greca o FERRUCCI, Lezioni. — I.

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della grandezza romana. L'architettura diventò bizantina e poscia tedesca, e se il carattere da lei preso con la santità della religione cristiana si concordava, l'eccesso dell' ornamento alterov vi il bello, e l'unità del concetto e la maestà insieme con essa mancò agli edificii, per essere troppo sminuzzate le parti loro. Considerando, poi, siccome gli artisti del Medio Evo goffamente trattassero la scultura, niuno può rimanersi dal lamentare gli effetti della barbarie. Quell' arte, che aveva potuto già dare al marmo morbidezza quasi di carne delicatissima, anzi più veramente spirito e senso, sicchè il Giove di Fidia mettea divino terrore in chi lo guardava, era allora tornata alla grossolana rusticità de' primordii suoi: nè mai gli scultori egizii, comecchè fossero affatto imperiti nel maneggio dello scalpello, fecero opere più rozze, o peggio condotte di quelle che si facevano per l'Italia. Che dirỏ della pittura, corrotta anch'essa dalla ignoranza e quindi da cieca superstizione? Imperocchè temendo non la bellezza espressa ne' volti della Vergine, del Salvatore, de' santi divertisse gli animi de' Cristiani dai religiosi pensieri, i Bizantini mutarono le norme di quella: e, posto ogni loro studio a ritrarre il brutto, dettero alle figure nei loro dipinti un aspetto fiero ed un' aria truce, trascurando con la bontà del disegno la vaghezza del colorito.

Al risorgere della libertà destossi nei nostri popoli il desiderio di nobilitare con pubblici e con privati edifizii la patria loro. Però, dopo avere provvisto alla utilità dell'universale, scavando canali, facendo ponti e conducendo dalle vicine montagne entro la

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