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ardite, o troppo lontane dalle idee, che dovrebbero rischiarare, la più armoniosa fra quante lingue moderne abbiano facoltà di dare voce all' affetto e vita al pensiero? Tornate alla imitazione di quelli che furono grandi, perchè essendo sapienti furono buoni e, avendo cara la gloria, più di lei amarono la virtù. Prendete a sdegno i troppo facili studii: chè niuno ebbe vanto di dotto senza fatica; e però in erudire il vostro intelletto nelle nobili discipline impiegate il tempo, che ora perdete nelle vanità e ne' piaceri. Considerando la storia della nostra Letteratura, vedrete come il savio e fermo volere abbia vinto gli uomini e la fortuna, e come in tutte le condizioni dei tempi i buoni ingegni siano potuti venire in fama; non essendo in altrui potere di fare schiava la mente, o sterile e fiacca la fantasia.

LEZIONE PRIMA.

SOMMARIO.

Decadimento delle lettere latine. - Invasioni dei Barbari: effetti che ne seguirono: come l'ignoranza universale in que' tempi fosse combattuta dal Cristianesimo. - Della instituzione de'Comuni in Italia, e quindi delle Crociate. Si tocca della filosofia italiana nei tempi di mezzo, e dei beni recati dalla religione all'ingegno nostro.

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La virtù aveva dato principio ed augumento alla romana grandezza, i vizi la fecero in basso precipitare: onde, spenta la libertà, lo sdegno mancò nei cuori, il vigore negl' intelletti. Se la ragione, l'interno senso, l'esperienza della vita e l'autorità della storia non si concordassero ad insegnarci, niun popolo essere stato mai grande senza virtù, l'esempio di Roma antica basterebbe a farcene persuasi. Poichè, siccome ne' terreni poveri e arsicci le biade non crescono rigogliose, così ne' popoli, in cui vien meno l'amore del retto, le intellettive potenze perdono in breve l' ingenita gagliardia.

È opinione di molti non avere le lettere latine conservato la semplicità e la bellezza loro, perchè gli scrittori venuti dopo Virgilio e gli altri del secolo d'oro volendo superarli nell'arte di dare figura al bello, oltrepassarono i limiti a quella posti; onde per fare maestoso lo stile lo fecero gonfio e caddero nell'affettazione cercando la grazia. Ciò è vero in parte:

ma non è vero che solo per questo la letteratura latina si corrompesse. Gli scrittori perdettero la misura e l'amore del bello, perchè aveano innanzi perduto quello del buono: onde l' inutile affaticarsi, ch'essi fecero a spingere l'arte oltre ai suoi certi confini, deve dirsi non la cagione del gusto viziato, ma si l'effetto della licenza degli animi e de' costumi. La quale fu così grande che, da lei guasto ogni ordine dello Stato, guaste furono pure le leggi della famiglia, onde turpe fu ne' soggetti la servitù, come tremenda negl' imperanti la tirannia. Niun freno più ritenne dal male il mondo corrotto dal predominio de' sensi sulla ragione. Vero è che negli stoici rimase pure alcun segno della virtù passata, ma questa era in essi o rigida troppo o priva di quella forza, che fa l'uomo potente sulla fortuna. Onde, se la vita sembrava loro grave od infame, si ammazzavano taciti e disdegnosi, quando era tempo di fortemente operare.

Nè le altre dottrine filosofiche allora in voga potevano ricondurre gli uomini al bene. Chè quella col ripor nel piacere il fine del viver nostro troncava i nervi alla volontà, questa teneva incerte nel dubbio le umane menti; e a tutte mancava l'autorità della fede nelle verità sovrumane. Imperocchè i popoli addetti al culto de' falsi dii erano piuttosto superstiziosi che religiosi, non essendo nelle antiche teogonie alcuna parte che avesse forza di persuadere la ragione. I pochi, cioè i sapienti, che dalla plebe si allontanavano col pensiero, seguivano le dottrine del panteismo, il quale tanto a Dio toglie, quanto superbamente ardisce arrogare all' uomo: anzi quello annichila col volere a tutte

le cose da lui create la sua indivisibile essenza comunicare.

Non era adunque possibile che il romano impero si mantenesse in tanto disordine di costumi, di leggi, di opinioni, di affetti; nè il Cristianesimo avrebbe potuto manifestare la virtù sua in mezzo al putridume de' vizi del mondo antico. Però come i furiosi venti, se disertano le campagne, giovano a purgar l'aere della malignità in lui diffusa, così l'inondazione dei Barbari, recando inauditi mali all'Italia e a tutte le provincie romane, ebbe per conseguenza il rinnovamento della società e de'costumi. Io non dirò come l'Italia fosse da quelli corsa e predata, nè come le sue terre, già liete d' alberi, di vigneti, di mèssi, diventassero scure selve o tetre paludi. Nè qui starò a ricordare, avere il cittadino romano vedute in sè vendicate le indegne offese fatte dai suoi maggiori agli schiavi, cui quelli dall' umana natura aveano bandito. La narrazione di queste cose non è del tèma da me trattato: onde tralasciandola dico, che mentre non era parte d'Italia che non patisse la legge del vincitore, mentre in mezzo allo strepito della guerra più non si udiva la voce della giustizia, la Provvidenza per quella già preparava tempi migliori.

Era grandissima l'ignoranza ne' popoli istupiditi dalla paura, la vita a tutti sembrava lungo e quasi insoffribile patimento: pure già cresceva la occulta forza, che doveva mutare in meglio la comunanza civile: essendochè il Cristianesimo tanto acquistava di autorità, quanta ne perdevano in quella terribile confusione le umane leggi. Onde coloro, che, poste in

fuga le romane legioni, già vincitrici di tutto il mondo, si ridevano de' pericoli e della morte, chinavano riverenti la fronte innanzi ad un pontefice inerme, e imparavano a poco a poco a temere Iddio.

Nessun vestigio in Europa sarebbe rimasto dell'arte e della sapienza antica, se la Chiesa ne' tempi più fieri della barbarie non avesse aperto scuole e tenuto vivo l'amore verso le scienze sacre. Chi prende in esame l'essenza del Cristianesimo vede, che non solo esso contiene le ribellanti passioni, ma presta grande vigore alle facoltà intellettive col revocare la mente dell' uomo dal mondo esterno a conversar con sè stessa, e col farla liberamente spaziare nelle idee dell' eterno e dell' infinito. Quindi la barbarie non dura a lungo là dove regna la legge di Gesù Cristo, e la civiltà presto o tardi fiorisce tra le nazioni, che si prostrano fraternamente innanzi alla croce.

Iddio pertanto, mentre con la sua voce traeva i Barbari dalle native loro foreste a punire le colpe del mondo antico, ci dette una religione riparatrice d'ogni sventura. E quando il lume della greca e della latina sapienza pareva spento, egli spirò nel cuore di pochi il desiderio di conservare almeno una parte delle ricchezze intellettuali accumulate in Italia da tanti secoli. Anime dolci e contemplative avevano certamente coloro, che, per fuggire le insolenze e gli strazi dei vincitori, si riparavano nelle grotte sugli alti monti, ed ivi, fondando poi monasteri, chiedevano pace alla solitudine, ai boschi, a Dio. E poichè non fu loro ignoto, essere nel volere di questo, che l'uomo lavori sia con la mente, sia con la mano, dopo avere passato

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