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la servile mollezza, sarebbero quali devono essere in popolo libero.

Ma dopo più di dieci anni di un vano e desideroso aspettare con infinito dolore sento di giorno in giorno la mia speranza diminuire. Imperocchè, quantunque in Italia siansi le scuole, i maestri, gli esami, forse anche oltre il giusto, moltiplicati, scarso è, come a me pare, il profitto che dalle fatiche loro traggono i giovani. E in molti dei libri, che ora si danno alle stampe, non leggo cose, che siano meritamente da commendare per la dottrina e per la bontà del dettato.

Che se poi guardo ai nostri costumi, il mio dolore si muta in fierissima indignazione. Dov'è ora la riverenza dovuta alle verità religiose? dove il rispetto all'autorità delle leggi? dove la roba e la vita sono sicure? Perchè questo popolo, il quale, mentre le città nostre erano con ordini liberi governate, non moveva mai alla battaglia, se nel Carroccio non aveva la Croce tra le sue schiere, e in testimonio della sua religiosa fede innalzò tanti magnifici monumenti all'onore di Dio, ora empiamente bestemmia il suo santo nome, e nulla più crede di quanto credettero i padri nostri? A me pare che la cagione principalissima dell'odierno discadimento de'buoni studii sia nel modo in questi ultimi anni prescritto all'insegnamento delle lettere umane, siccome quella della incredibile corruttela ch'è nei costumi debba vedersi nelle dottrine

dei materialisti e degli atei. Në mi si opponga che una falsa filosofia non può guastare nè l'animo, nẻ la mente dei popolani, cui mancano l'ozio e le qualità, onde l'uomo è atto a occupare l'ingegno suo nelle astratte e sottili disputazioni. Ciò è vero, ed io non vorrò negarlo: ma vero è pure, che quando tu vai dicendo, nulla di noi rimanere dopo la morte, avere tutte le religioni il principio loro da paurosa superstizione, o da cupidigia di ambiziosi e di astuti, quanti non hanno le cognizioni bastanti a conoscere la falsità di tali dottrine, le accettano come vere, perchè, sciolto da esse il freno alle impetuose passioni, fanno apparire lecito all'uomo ciò che per lui è di utilità o di piacere.

Chiunque pertanto vuole che tra noi rifioriscano nuovamente studii e costumi, e creda vedere il modo ch'è da tenersi, affinchè possano gli uni e gli altri l'antica bontà e purezza recuperare, per carità della patria, anzi per ubbidire alla sua coscienza, ha stretto dovere di esporre liberamente le sue opinioni, quantunque egli per esse possa essere fatto segno agli scherni di saputelli scrittori, o all'ira e al biasimo dei potenti. Per ciò io, che nella mia solitaria e nascosta vita nulla dagli uomini spero, nulla desidero, nulla temo, dirò con sicura schiettezza quello che io penso, non arrogando alle mie parole l'autorità dell'ingegno e della dottrina, che in me non sono, ma soltanto quella del mio lungo e sincero amore verso l'Ita

lia, che amo già vecchia, siccome l'amai nella giovinezza ed in tutto il corso degli anni miei.

A me pare adunque che lo studio dei classici latini e italiani debba essere il fondamento alla instituzione dei giovani. Non ignoro che a quello danno essi opera in tutte le nostre scuole: ma la via, in cui da' maestri loro furono messi, non li conduce a quel punto, a cui potrebbero facilmente arrivare, seguendone un' altra. Perchè dallo studio dei classici imparino i giovani a bene educare la potenza immaginativa, a disporre con ordine, con chiarezza e con efficacia il discorso, a dare allo stile nerbo, calore, lucidità, ad accrescere la bontà naturale del loro ingegno, onde possano anch'essi riuscire scrittori eleganti in verso ed in prosa, non giova, anzi nuoce, il tenerli per lungo tempo occupati nello studiare l'etimología dei vocaboli, le forme grammaticali, le somiglianze o le differenze che hanno tra loro le varie lingue, l'origine di ciascuna di esse, e da chi e da quali cagioni avesse principio la nostra letteratura. Imperocchè, mentre essi attendono a cose, che o dovrebbero già sapere, o possono, senza danno, essere nella età matura imparate, la loro immaginazione sterile e fredda diventa e l'affetto s'inaridisce nei loro cuori. E niuno, dove sia privo di ricca immaginazione e non abbia vigore e delicatezza di affetto, sarà scrittore eccellente: perciò a raffrenare quella o a spronarla, e ad aumentare o a diminuire la naturale

forza di questo, debbono essere specialmente rivolte le cure degl'insegnanti. Parmi eziandio che il fare leggere e tradurre ai giovani, siccome si usa oggidi nelle nostre scuole, quando alcuni passi di Cicerone, di Orazio, di Tacito, di Virgilio, quando alcuni canti dell' Alighieri, dell'Ariosto, del Tasso, non possa mai porli in grado di conoscere e d'imitare l'ordine nelle opere loro osservato dai classici, ně di sentirne la intera bellezza, quella cioè che risulta dall' armonía delle parti col fine ultimo del poema o dell'orazione. Anche reputo necessario che il buon maestro parli ai suoi discepoli dei costumi, dei riti, delle leggi e di tutti gli ordini religiosi e civili delle nazioni, a cui appartennero gli scrittori, ne' quali essi studiano: onde veggano per quale maniera questi adempissero degnamente l'ufficio loro, poichè non ebbero a loro fine il solo diletto, ma intesero a rendere gli uomini più costumati e più savii, inspirando in essi l'amore delle virtù, che sopra le altre dovevano essere avute in onore nei tempi loro. Nè si ometterà di notare, siccome i classici nel dipingere i sentimenti dell'animo non mai dal vero si discostassero, dando però alla rappresentanza di esso ora con immagini di concetto, ed ora di elocuzione, nuova evidenza e bellezza nuova. Che dirò poi dell'arte mirabile veramente, onde con efficace naturalezza, fuggendo ogni ombra di affettazione, lumeggiano e coloriscono il loro stile? Il quale negli ottimi fra gli

scrittori greci, latini e italiani è sempre di rarissima perfezione in ogni sua parte, diverso pressochè in tutto da quello di molti moderni prosatori e poeti, in cui sono sovente i vizii ripresi da Orazio con questi versi:

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Brevis esse laboro,

Obscurus fio: sectantem levia nervi

Deficiunt animique: professus grandia turget;
Serpit humi tutus nimium timidusque procellæ:

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In vitium ducit culpæ fuga, si caret arte.

Ma non potrà mai imparare l'arte difficilissima dello stile colui, che, spregiando le leggi poste dai classici allo scrivere ed al comporre, speri di giungere a diventare scrittore eccellente, per sola bontà d'ingegno, o pretenda avere la facoltà di degnamente trattare soggetti elevati e gravi, adoperando la lingua parlata dal nostro popolo, senza cercare di ampliarla e nobilitarla con quella usata dai classici; siccome indarno vorrebbe essere ottimo dipintore o scultore chi prendesse a rappresentare e a copiare la natura qual' è realmente, e non quale venne ritratta da Raffaello e dagli altri artisti del Quattrocento e del Cinquecento. Ne' quali è d'uopo studiare, per conoscere in quale maniera la imitazione di lei debba farsi da chi abbia bontà di gusto e rettitudine di giudizio. Imperocchè il bello, che si palesa agli occhi o alla mente, quantunque per essere come un raggio del bello eterno tenga nella

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