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Così ad ogni cancellazione di uno dei P dalla fronte di Dante e conseguentemente ad ogni sua liberazione e purificazione da ciascun peccato, presiede la musica: alla quale dunque egli assegna l'altissimo ufficio di assistere alla progrediente elevazione dell'anima verso il supremo ideale, di confortarla nella sua ascensione, di spingerla verso la sua perfezione. La musica innalza: ben lo sapeva e lo sentiva il divino Alighieri. Che cosa adunque, meglio della musica, poteva presiedere all'innalzarsi dell'anima e al suo avviarsi, sempre più pura, verso le sfere celesti?

XI.

SOLO E CORO.

Ed ora che abbiamo parlato dei canti unisoni, dei canti a più parti e dei canti monodici, dobbiamo passare ad esaminar brevemente quei passi del divino Poema in cui la forma monodica e quella polifonica si trovan congiunte, per esservi fatta menzione di un solista seguìto dal coro.

Il primo esempio che ne incontriamo è di una soavità incomparabile, tanto più che il Poeta ha cura di preparare mirabilmente la scena e di premettervi un preludio descrittivo che addirittura ci trasporta sul luogo e nel momento in cui dovrà svolgersi il canto.

La scena è la deliziosa valletta dei principi: il momento è quello mestissimo del crepuscolo. Il preludio ci fa anche quasi sentire da lungi il suono. d'una campana che coi lenti rintocchi sembra piangere la fine del giorno: e il sentimento di mestizia che all'ora e al suono della campana si associa è reso sì dal ricordo di quella impressione di tenerezza che provano i naviganti che han detto addio ai dolci amici, e sì dall'armonia imitativa del verso che, obbligando la voce a sdrajarsi sul paja e sul

pianger, riproduce così efficacemente l'echeggiar della

squilla:

Era già l'ora che volge il disio

ai naviganti e intenerisce il core

lo di che han detto ai dolci amici addio,

e che lo novo peregrin, d'amore

punge se ode squilla di lontano

che paja il giorno pianger che si muore. (')

Il parlar di Sordello è ormai terminato: è ormai cessata l'eco della Salve Regina, che già udimmo can

(1) Al proposito della squilla giova ricordare che il Novati, nelle sue Indagini e Postille Dantesche, dimostra non potersi trattare, come fu ritenuto dalla maggior parte dei commentatori specialmente moderni, della campana che suona l'Ave Maria della sera. A suo parere deve anche escludersi, comecchè non disprezzabile, l'opinione di alcuni secondo i quali si tratterebbe della campana serale o del coprifuoco che si sonava per usi civili: e deve invece tenersi che si alluda a quella squilla che chiama a compieta, come si deduce, oltre che da altri argomenti, dagli inni stessi citati da Dante, cioè la Salve Regina e il Te lucis ante che appunto sogliono cantarsi a compieta. Alle quali osservazioni credo di poter io pure aderire, aggiungendone un'altra che può confortare questa tesi e che nè dal Novati, nè dal D'Ovidio che dello scritto di lui fece recensione (Studi sulla Divina Commedia, pag. 566) nè da altri ho trovato accennata. In quella canzone di Dante che comincia:

Così nel mio parlar voglio esser aspro,

s'incontrano, alla strofa 6, i versi seguenti:

S'io avessi le bionde trecce prese

che fatte son per me scudiscio e ferza
pigliandole anzi terza,

con esse passerei vespro e le squille.

Ora qui è evidente la indicazione di ore successive, indicate le prime due (terza e vespro) colla terminologia delle ore canoniche. Quindi è chiaro che anche le squille indicano una di tali ore canoniche, e precisamente quella che succede immediatamente al vespro, che è appunto la compieta. Onde la canzone dantesca, posta a raffronto col passo della Commedia, conferma l'idea che a compieta si sonasser le squille, e giova a raffermare l'opinione che a tale squilla, la quale chiude la giornata, si riferiscano i versi dolcissimi con cui s'inizia il canto VIII del Purgatorio.

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tare dalle anime sedute in sul verde e in sui fiori. Perciò il Poeta ha cominciato a render vano l'udire, cioè a non percepire più alcuna voce: e si volge invece ad osservare un'anima surta in piedi dall'erba su cui stava seduta, la quale fa cenno alle altre di ascoltar lei. Così Dante ci prepara alla udizione di questo cantico novo, e, prima che cominci, descrive anche l'atteggiamento dell'anima che si appresta a cantare. Essa, accingendosi ad un atto di fervorosa preghiera, congiunge le mani e le innalza, mentre volge gli occhi all'oriente, come (dice il Buti) dee fare l'omo quando adora Iddio. Quell'anima si mostra interamente assorta nel pensiero dell' imminente preghiera, come se non avesse altra cura:

Ella giunse e levò ambo le palme,

ficcando gli occhi verso l'orïente,

come dicesse a Dio: d'altro non calme.

Quindi attacca il suo canto, che è l'Inno di S. Ambrogio solito ad intonarsi a compieta; e la sua voce lo esprime con tale accento di devozione. e con tale dolcezza di suono che Dante si sente quasi smarrito: sicchè anche di questo passo potrebbe ripetersi ciò che il De Sanctis diceva del Canto di Francesca, nel quale pure il Poeta prova una simile impressione, giacchè, anche prima del suo incontro coi due cognati, il solo udire

nomar le donne antiche e i cavalieri

lo aveva fatto smarrire, e dopo l'incontro egli vien.

meno come morisse e cade; cioè che Musa ne è la pietà, pura di ogni altro sentimento, corda unica e onnipotente che fa vibrare l'anima fino al deliquio.

Ma la voce che canta non dice a solo che le prime battute dell'inno: Te lucis ante. Poi ad essa il coro si unisce per eseguire il resto dell'inno medesimo fino al suo termine, dandoci così un vero e proprio esemplare di una Cantata per solo e coro, quali ne ha pur tante la musica. Non è quindi chi non vegga l'importanza storica di questo e degli altri passi del Poema dantesco in cui si accenna a composizioni musicali per una voce sola seguìta dal coro, delle quali è per conseguenza provata l'esistenza ai tempi di Dante.

Se poi noi osserviamo le parole usate dal Poeta indicarci e il canto del solista e quello del coro, possiamo scoprire l'intima rispondenza dell'uno coll'altro, giacchè della conforme indole loro Dante, coll'alto magistero dell'arte sua, ci dà piena contezza.

Certo il tema proposto dal solista è poi ripreso dal coro: la frase melodica intonata dal primo ha le stesse qualità, lo stesso contenuto di quella successivamente intonata dal coro. Sono entrambe animate dallo stesso sentimento, la devozione, entrambe materiate dello stesso carattere, la dolcezza.

In fatto il Poeta ci dice che il Te lucis ante uscì di bocca al solista devotamente e con dolci note: e poi soggiunge che le altre anime lo seguirono appunto

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