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scino i sembianti delle anime (come pur quelli degli uomini) si illuminano e si rasserenano.

Prima di leggere le due terzine che a questa grandiosa cantata con coro si riferiscono, non resta che da notare il vocabolo Cantilena qui adoprato nell'antica sua significazione generica di canzone, cantata, senza quell'idea di canto monotono che modernamente a quel vocabolo suole andare congiunta: E quell'amor che primo li discese, cantando: Ave, Maria, gratia plena, dinanzi a lei le sue ali distese. Rispose alla divina cantilena

da tutte parti la beata corte,

sì ch'ogni vista sen fe' più serena. (1)

(1) Par., XXXII, 94.

XII.

LA DANZA.

I popoli antichi, e specialmente i Greci, ebbero della danza un diverso e più elevato concetto di quello che ne abbiam noi moderni. Essi l'associarono alla poesia ed alla musica, onorando di un unico culto le tre Grazie sorelle e tutte comprendendole sotto la denominazione di musica. Anzi alla danza assegnarono origini di antica nobiltà anche più che alle arti sorelle, onde Luciano scriveva: essa è nata insieme colle cose, antica come l'amore, più antica degli Dei! È pur noto che gli antichi assegnavano alla danza altissimi ufficî: ai quali forse dovette por mente l'Alighieri che la introdusse nel Poema per associarla alla poesia ed alla musica nella glorificazione dei gaudi celesti.

E poichè la danza, e pei ritmi sui quali si svolge e pei suoni a cui si accompagna, è composta di elementi musicali e sopra un fondamento musicale riposa, è prezzo dell'opera esaminar brevemente quanto di relativo ad essa si trova nel Poema di Dante.

Il primo cenno che ne incontriamo è in una di quelle sculture che il Poeta trova sulla ripa del

primo cerchio del Purgatorio. Ivi è raffigurata la storia della traslazione dell'Arca Santa a Gerusalemme. L'intaglio rappresenta una folla di gente, divisa in sette cori, in così vivo atteggiamento di cantare che sebbene, naturalmente, nulla si udisse, pur si sarebbe detto che effettivamente cantasse:

Dinanzi parea gente: e tutta quanta

partita in sette cori, a' due miei sensi

faceva dir l'un "No,, l'altro: "sì, canta (1)

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Le figure di questa gente son precedute dalla figura di David che, come riferisce la Bibbia nel libro 2o dei Re: saltavit omnibus viribus ante Dominum. Il suo era stato un ballo così incomposto che gli aveva attirato sul capo gli acerbi rimproveri di Micol: ciò vale a spiegare il vocabolo trescando usato da Dante (che già l'aveva usato nell'Inferno) (2) e che si riferisce a quel ballo saltereccio, come il Buti lo chiama, nel quale i ballerini saltano senza regola, battendo le mani, e che fu ed è tuttavia di grande uso popolare in Toscana sotto il nome appunto di Tresca o Trescone. Dice dunque il Poeta che:

Lì precedeva al benedetto vaso,
trescando alzato, l'umile Salmista

e più e men che Re era in quel caso. (3)

(1) Purg., X, 58.

(2) Canto XIV, v. 40.

(3) A David, re musicista, è fatta allusione più altre volte nella Divina Commedia e sempre col ricordo appunto delle sue qualità musicali.

Ma questa prima danza è solo raffigurata nel marmo. Una vera ed effettiva ne troviamo al canto XXVIII del Purgatorio; e la descrizione di questa è preceduta da una comparazione pur tolta alla danza. Procedimento questo di cui si vale frequentemente 'il Poeta: il quale più volte (e ne trovammo un esempio anche là dove pone a raffronto il fatto musicale effettivo di ciò che udiva, cioè il Te Deum cantato in voce mista al dolce suono, coll'altro fatto musicale effettivo del canto unito all'accompagnamento dell'organo) trae le similitudini dalla materia medesima

Così quando è collocato a rappresentare la pupilla dell'aquila, proprio il posto d'onore, conquistato col merito del suo canto:

Colui che luce in mezzo per pupilla

fu il cantor dello Spirito Santo
che l'arca traslatò di villa in villa:
ora conosce il merto del suo canto.

Par., XX, 37.

Così pure quando, rispondendo a S. Iacopo che lo aveva interrogato intorno alla Speranza, Dante afferma di averne attinta la nozione prima che da ogni altro da David che nella sua Teodia, cioè nel divino canto dei Salmi, dice: Sperent in te qui noverunt nomen tuum:

Da molte stelle mi vien questa luce;

ma quei la distillò nel mio cor pria
che fu sommo cantor del sommo duce..

Sperent in te, nella sua teodia

dice, color che sanno il nome tuo:

e chi nol sa, s'egli ha la fede mia?

Par., XXV, 72.

Finalmente, allorchè S. Bernardo spiega a Dante la disposizione dei Beati nella rosa celeste, Ruth, la moglie di Booz, è ricordata come

colei

che fu bisava al cantor che, per doglia

del fallo, disse: Miserere mei.

Par., XXXII, 10.

BONAVENTURA Dante e la Musica

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alla quale vuol riferirle. Anche qui pertanto la danza è comparata alla danza.

Nel passo che ci accingiamo ad esaminare, la descrizione e la comparazione sono singolarmente notevoli: in quanto che la maggior parte dei balli che Dante ritrae nel Poema ha quel che di solenne, di sacro, di mistico che le deriva dalla stessa indole sua, dal luogo e dalla forma in cui si svolge. Sono grandi corone di anime che si muovono in giro: sono i così detti balli-tondi, grandiosi, maestosi, come li dipinse l'Angelico. Invece qui abbiamo una danza veramente umana ed eseguita da una donna sola. Noi abbiamo già udito il canto di questa donna, che è la soave Matelda: lo abbiamo udito, col Poeta, da lungi, e poi più vicino quando ella, a sua richiesta, gli si appressò tanto che a lui venne chiaro il suono co' suoi intendimenti. Ora, questo appressarsi della Donna non era stato altro che una vaghissima danza accompagnata dal canto e condotta da lei sui fiori vermigli e gialli

ond'era pinta tutta la sua via.

Tutto concorre a conferire una singolare bellezza a questo luogo del Poema: l'immagine di Matelda che danza con atto verecondo e gentile, come vergine che gli occhi onesti avvalli: il variopinto tappeto di fiori sul quale essa danza con flessuoso moto del corpo: la splendida similitudine della donna che ballando si volge coi piedini striscianti sul suolo

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