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bella relazione perchè esso Marte è il quinto: relazione

dunque perfetta.

Questa prima proprietà, del trovarsi il cielo di Marte nella più bella relazione cogli altri, è ancor nella musica la quale, come Dante soggiunge, è tutta relativa, siccome si vede nelle parole armonizzate e nelli canti, de' quali tanto più dolce armonia resulta quanto più la relazione è bella, la quale in essa scienza massimamente è bella perchè massimamente in essa s' intende.

Queste parole vogliono un breve commento. Innanzi tutto è da osservare che Dante parla dei rapporti intercedenti tra le parole armonizzate e li canti. Lasciando stare ogni questione sulle facoltà espressive e significative dell'arte dei suoni, certo è che quando la musica si unisce alla poesia deve essere a questa appropriata. E appunto dell'unione tra le parole e la musica tratta il passo del Convivio che esaminiamo, il quale può molto bene esser chiarito da quanto l'Alighieri medesimo scriveva nel trattato De Vulgari Eloquentia, al cap. VIII del Libro II. Ivi egli dice: Praeterea disserendum est utrum Cantio dicatur fabricatio verborum armonizatorum, vel ipsa modulatio: ad quod dicimus quod nunquam modulatio dicitur Cantio, sed sonus, vel tonus, vel nota, vel melos. Nullus enim tubicen, vel organista, vel citharaedus, melodiam suam Cantionem vocat, nisi in quantum nupta est alicui cantioni, sed armonizantes verba opera sua Cantiones vocant: et etiam talia verba in

Di

chartulis absque probatore jacentia Cantiones vocamus : et ideo Cantio nil aliud esse videtur quam actio completa dictantis verba modulationis armonizata. questo medesimo passo dovremo valerci più tardi ad illustrare un verso della Divina Commedia: qui basti notare che, dal combinato esame di esso e di quello del Convivio che ora studiamo, chiaramente resulta come colle locuzioni parole armonizzate e canti l'Alighieri abbia voluto indicare il testo e la musica, e trattare della relazione che deve esister tra loro quando si trovano uniti. Or questa relazione deve esser bella, cioè conveniente e appropriata, se vuolsi che ne resulti dolce armonia, ed è cosa strettamente musicale: giacchè se in tutto l'Universo, se in tutte. le cose, se in tutte le scienze domina una legge suprema di ordine che pone le varie parti in armonica relazione col tutto e fra loro, tale armonica relazione più che in ogni altra arte, o scienza, come Dante la chiama, si rivela nella musica e in essa massimamente è bella perchè massimamente in essa s'intende. Il che è quanto dire che nella musica massimamente si comprende come tutto derivi dalla relazione dei suoni: essa dunque è l'arte che più chiaramente di ogni altra ci fa percepire la bellezza delle relazioni, le quali per conseguenza in essa sono massimamente belle. Riassumendo e conchiudendo adunque su questo punto del Convivio (anche meno degli altri commentato finora), la prima ragione per cui Dante paragona il cielo di Marte alla musica consiste nel trovarsi

quel pianeta nella più bella relazione cogli altri, per essere il quinto, come la bellezza dell'arte musicale consiste nella più bella relazione dei suoni, la quale in essa è più viva, più appariscente e più comprensibile che in qualsiasi altra scienza.

L'altra ragione è meno fisica e molto più estetica. Come Marte dissecca e arde le cose e attira a sè i vapori, che pur molte volte s'accendono, così la musica trae a sè gli spiriti umani che sono quasi principalmente vapori del cuore. Fin qui non abbiamo che una immagine, una similitudine, nella quale è adombrata la potenza della musica sopra lo spirito umano. Ma tanto più appare qual conto Dante facesse di tale efficacia della musica sull'animo nostro, dalle parole che seguono: sicchè (gli spiriti umani) quasi cessano da ogni operazione. Dunque, secondo il pensiero di Dante, l'attrazione esercitata dalla musica sullo spirito nostro è tale da assorbirlo interamente e da distoglierlo da ogni altra manifestazione della sua attività: esso s'immerge tutto nel godimento delle sensazioni che la musica desta, e a nessun'altra cosa, a nessun altro pensiero più si rivolge. Ritroveremo la medesima idea nel 2o canto del Purgatorio quando osserveremo il Poeta e il suo Maestro e le anime ch'eran con lui, così assorti e così estasiati nell'udire il canto di Casella da starsene fissi ed attenti alle sue note

Come a nessun toccasse altro la mente.

Non solo: ma a questa idea del non rivolgersi l'anima ad altro, quando in una forte e assorbente impressione si raccoglie, troveremo accennato sul principio del IV canto del Purgatorio là dove dice: Quando per dilettanze ovver per doglie che alcuna virtù nostra comprenda l'anima bene ad essa si raccoglie,

par che a nulla potenza più intenda:

e i versi che vengono poco dopo, nel medesimo canto, valgono a spiegare le parole che seguono in questo passo importantissimo del Convivio.

Dopo aver detto che gli spiriti umani cessano da ogni operazione quando a sè li attira la musica, lo scrittore soggiunge, quasi per dar la ragione di ciò che ha affermato: si è l'anima intera quando l'ode e la virtù di tutti quasi corre allo spirito sensibile che riceve il suono". Che l'anima sia intera, quando ode la musica, significa indubbiamente che resta inattiva, inoperosa di fronte ad ogni altra impressione che quella della musica stessa non sia. Questa interpretazione trova il suo fondamento nei versi 10-11 del canto citato, ove si dice

ch'altra potenza è quella che l'ascolta

ed altra è quella che ha l'anima intera,

cioè, come nota il Casini, altra è la facoltà che ascolta o vede, altra è quella che l'anima serba intera, cioè inoperosa, non toccata dall' impressione. Ma si avverta che mentre, nel passo del Purgatorio, intera,

cioè inoperosa, è una delle facoltà, una delle potenze dell'anima, in quello del Convivio è detto che l'anima stessa rimane inoperosa od intera, quando ode la musica. Se non che deve intendersi che resta inoperosa ad ogni altra manifestazione, non a quella della musica che in sè tutta l'assorbe: il che si deduce dalle parole che seguono, le quali spiegano interamente il concetto dicendo che la virtù di tutti gli spiriti, cioè di tutte le facoltà dell'anima, quasi corre allo spirito sensibile che riceve il suono. Dunque la potenza della musica è tanta che tutta l'attività dell'anima si concentra nello spirito sensibile che riceve il suono, mentre ogni altra facoltà dell'anima stessa resta inoperosa, cioè incapace di ricevere altre e diverse impressioni. A questo fatto del potersi l'anima tutta concentrare in ciò che più l'attira, tanto da rimanere estranea ad ogni altra cosa, si riferisce anche un passo del Purgatorio, (1) nel quale si dice che neppure il fragore di mille trombe varrebbe a scuotere chi è assorto in un profondo pensiero :

O imaginativa che ne rube

tal volta sì di fuor, ch'uom non s'accorge

perchè dintorno suonin mille tube.

E qui torna opportuno notare come l'acuta mente e il caldo sentimento artistico dell'Alighieri abbiano

(1) Canto XVII, v. 13.

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