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son quelli che s'incontrano nel XXVIII del Purgatorio e nel XX del Paradiso.

Nel primo, dopo aver descritto la dolce tranquillità del luogo, dove l'aura fa leggermente tremolare le foglie, dice che queste, pure inchinandosi, non si dipartivano tanto dalla lor posizione da impedir di cantare agli uccelli:

Non però dal lor esser dritto sparte
tanto, che gli augelletti per le cime
lasciasser d'operare ogni lor arte:
ma con piena letizia l'ôre prime,
cantando, ricevièno in tra le foglie

che tenevan bordone alle sue rime.

Si osservi qui, innanzi tutto, che il Poeta colloca il canto degli uccelli in un grado superiore alle altre manifestazioni sonore della Natura e degli altri animali, chiamandolo addirittura lor arte. E dice che gli uccelli cantando lietamente, ricevevano tra le foglie le prime aure, chè questo è il significato della parola ôre, in tal senso adoprata anche dal Petrarca e da altri. Non posso tuttavia omettere di ricorIdare che il Landino e il Vellutello intesero che gli uccelli cantassero proprio le ore, a similitudine (dice il Vellutello) che fa la Chiesa la quale a tal ora canta prima, terza e sesta. Alla quale sentenza si acconciò anche il Biagioli sostenendo che oggetto del canto fossero proprio le ore del giorno, e citando in appoggio della sua tesi, le parole del Boccaccio: quando Fiammetta da' dolci canti degli uccelli, li

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quali la prima ora del giorno su per gli arboscelli tutti lieti cantavano invitata si levò

Al canto di questi uccelletti fa da accompagnamento lo stormir delle foglie: e per indicar ciò Dante ricorre alla terminologia musicale:

che tenevan bordone alle sue rime.

Bordone, oltre ad essere il nome della più grossa canna della piva o cornamusa, la quale, mentre le altre variano i suoni, con grave invariato tuono suona il contrabbasso, è voce che, per analogia, passò anche a significare l'accompagnamento di un suono basso (o strumentale o vocale) usato specialmente alla quinta. Tanto che quella forma armonica sì largamente usata nel Medio-Evo (e che il dottissimo Sbardi, spagnuolo, chiamò l' Aurora della musica) nella quale il Canto Fermo era affidato, invece che alla più bassa, alla voce più acuta, venne perciò appunto denominata Falso-Bordone. Usando adunque questo vocabolo, Dante volle significare che mentre squillante ed acuto, come è naturale, era il canto lietissimo degli uccelletti, le foglie stormendo lo accompagnavano, gli tenevan bordone, con un mormorio di suoni bassi e profondi.

L'altro passo che dobbiamo or ricordare è quello soavissimo della lodoletta

che in aere si spazia

prima cantando, e poi tace contenta

dell'ultima dolcezza che la sazia.

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La similitudine, scriveva il Venturi, è di una giocondità che innamora: e i versi son pieni di moto e di canto. Quello pertanto che a noi preme notare è l'accenno alla soddisfazione che l'uccello medesimo prova alla dolcezza del proprio canto, sì che tace saziato e contento. Simile accenno aveva già fatto un'altra volta il Poeta nel ricordare la favola di Progne trasformata

nell'uccel che a cantar più si diletta, (1)

e l'acuta osservazione, fondata su quello che veramente ci appare della gioia che gli uccelli provano al loro medesimo canto, conduce il nostro pensiero anche a quell'intimo ed ineffabile compiacimento umano che l'artista prova, conscio del suo valore e sinceramente soddisfatto dell'opera propria.

(1) Purg., XVII, 20.

VI.

CENNI MUSICALI NELL'INFERNO.

GLI STRUMENTI.

Per venire ora a trattare di ciò che nel Poema si riferisce direttamente e veramente alla musica, dobbiamo uscire dalla valle d'abisso dolorosa. Chè se, come dice il Cesareo, l'elemento musicale nel Paradiso è più scarso che nel Purgatorio e nel Purgatorio più scarso che nell'Inferno, ciò deve intendersi riferito alla musicalità generica del verso e alla sua armonia imitativa, non agli accenni alla musica vera e propria. Questa tace in Inferno: non solo perchè Dante, conscio del conforto ineffabile ch'essa reca all'animo nostro non volle che apparisse là dove le pene dei dannati non debbono essere in alcuna guisa alleviate, ma anche perchè, come pur notarono prima il Papini e successivamente il Bellaigue, nell' Inferno tutto è disordine.

In fatto la musica infernale non potrebbe essere più assordante nè più disarmonica:

Quivi sospiri, pianti ed alti guai
risonavan per l'aer senza stelle,
perch'io al cominciar ne lagrimai.
Diverse lingue, orribili favelle,
parole di dolore, accenti d'ira,

voci alte e fioche e suon di man con elle

facevano un tumulto, il qual s'aggira

sempre in quell'aria senza tempo tinta
come la rena quando a turbo spira. (1)

Ora la musica-arte è ordine per eccellenza: è regolarità, proporzione, euritmia; cose tutte incompatibili col disordinato scompiglio infernale.

Prima però d'uscire d'Inferno, ricordato, anche pel vocabolo musicale con cui termina, il verso Or incomincian le dolenti note, (2)

e ricordate pure quelle pallide ombre dei traditori che tremano nella ghiaccia

mettendo i denti in nota di cicogna, (3)

in cui par di sentire il rumor secco e stridente che fa la cicogna nel battere insieme le due parti del becco, onde Ovidio diceva

Ipsa sibi plaudat crepidante ciconia rostro; (4)

soffermiamoci per un istante a rilevar la menzione di alcuni strumenti musicali nella prima cantica del Poema dantesco.

Incontrandosi con mastro Adamo, dal collo scarno e sottile, dal ventre invece rigonfio per l'idropisia, il Poeta ne descrive la figura con una similitudine in cui è ricordato uno strumento molto in uso nel Medio-Evo:

(1) Inf., III, 22.

(2) Inf., V, 25.
(3) Inf., XXXII, 36.
(4) Metam., VI, 97.

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