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altri luoghi del poema (e già lo notammo) musica e luce si uniscono, si fondono, s'integrano, come due forme sorelle.

Ed una melodia dolce correva
per l'aer luminoso, (1)

dicono i versi dolci al pari di quella dolce melodia, che par di sentire mentre si leva e si diffonde per l'aria, giungendo fievole da lontano, come un'eco indistinta. E veramente indistinta era dessa, tanto che solo più tardi il Poeta la intenderà pienamente; ma è materiata di così squisita dolcezza che non tanto per lo splendor della luce quanto per la soavità della musica, Dante dice di rimpiangere la perdita fatta dagli uomini del Paradiso terrestre, dopo il peccato di Eva. La cosa, dunque più deliziosa che doveva esservi tra le delizie dell'Eden fu, secondo Dante, la musica, della quale fa così in questo luogo nuova e mirabile glorificazione.

Ma il canto soave giungeva, come dicemmo, da lontano e indistinto: se non che avvicinandosi a poco a poco la processione di coloro da cui la melodia dolce partiva, il Poeta si accorge ch'essa non era suono soltanto, ma canto formato sopra parole, musica insomma vocale, di cui peraltro non intende ancora il contenuto. Si noti dunque l'arte con cui egli dispone questo effetto del graduale avvicinarsi

(1) Purg., XXIX, 22.

della melodia e del suo chiarirsi nelle sue parti. Prima non è che una melodia indistinta, confusa, per quanto dolcissima, della quale non si afferra se sia suono solamente o anche canto: poi si comprende che è canto; poi se ne scuoprono le prime parole, giacchè fattesi più vicine al Poeta quelle apparizioni luminose che sembravano sette arbori d'oro e dietro alle quali veniva la processione di color che cantavano, la mente sua da un lato comprende che quelle prime figure erano aurei candelabri, dall'altro che nelle voci di coloro che li seguivano, cioè dei ventiquattro seniori, era un canto di salutazione, l'Osanna, che è menzionato da Dante più volte e che riudiremo più tardi anche intonato da una voce sola, cioè dallo spirito dell'imperator Giustiniano:

Ma quando fui sì presso di lor fatto

che l'obbietto comun che il senso inganna
non perdea per distanza alcun suo atto,
la virtù, che a ragion discorso ammanna,
sì com'elli eran candelabri apprese,

e nelle voci del cantare," Osanna

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Ecco dunque che i suoni si son fatti più vicini e più chiari, tanto che il Poeta distingue il tema dell'inno, contenuto nella melodia dolce che correva per l'aer luminoso. Ma il mistico coro si avanza ancora e le voci crescono d'intensità tanto da sembrare un cantico immenso che si leva in onor della Vergine (o di Beatrice come vogliono alcuni) la quale vien salutata colle parole dell'Arcangelo Gabriele:

Benedicta tu in mulieribus coll'aggiunta di una benedizione alla sua divina bellezza:

Tutti cantavan: Benedetta tue
nelle figlie d'Adamo e benedette

sieno in eterno le bellezze tue!

E qui è da notare una curiosa rispondenza. Come l'Osanna intonato in questo momento dal coro sarà ripetuto a solo, più tardi, da Giustiniano, così l'invocazione a Maria che qui il coro intona tralasciando le prime parole, sarà con esse prime parole ripetuta a solo, nel 3o canto del Paradiso, da Piccarda Donati,

Sorvoliamo sopra un altro coro che gli angeli attaccano all'unisono, nel canto seguente, appena Beatrice, svelatasi, si tace dopo i primi acerbi rimproveri a Dante rivolti: è la prima parte (e precisamente sono i primi otto versetti) del Salmo XXXI, cioè fino alle parole pedes meos:

Ella si tacque: e gli angeli cantâro
di subito: In te Domine speravi,
ma oltre pedes meos non passâro. (1)

In te Domi- ne

spera

vi

Un altro salmo, cioè il LI al versetto settimo, s'ode uscire dalla bocca degli angeli, nel canto che

(1) Purg., XXX, 82.

segue: salmo opportunamente scelto, giacchè si canta nelle chiese mentre il sacerdote bagna il popolo coll'acqua benedetta; e qui Matelda aveva purificato il poeta immergendolo nell'acqua infino a gola.

Di questo cantico, Dante rivela la dolcezza divina dicendo che non sa ricordarlo, non che ritrarlo:

Quando fui presso alla beata riva

Asperges me sì dolcemente udissi

Ch'io nol so rimembrar, non ch'io lo scriva. (1)

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Questo canto adunque era (nota giustamente il Casini) diverso da quello di Casella che per quanto dolcissimo era pur sempre umano, mentre il canto angelico era di dolcezza divina. — In fatto, di quello ben si ricorda il Poeta, giacchè dice:

che la dolcezza ancor dentro mi suona,

mentre di questo afferma:

ch'io nol so rimembrar, non ch'io lo scriva.

A questo coro degli angeli segue un coretto formato da quattro sole voci di donna. Riparleremo di que

(1) Purg., XXXI, 97.

BONAVENTURA, Dante e la Musica 13

ste quattro belle, simboleggianti le virtù cardinali, al proposito della lor danza: qui notiamo soltanto che prima di trarre Dante innanzi al Grifone, gli danno contezza dell' esser loro cantando, e cantando all'unisono. Son poche note, poche battute, nelle quali par di sentire la chiarezza argentina delle voci femminili:

"Noi siam qui Ninfe e nel ciel siamo stelle:
pria che Beatrice discendesse al mondo
fummo ordinate a lei per sue ancelle.
Menremti agli occhi suoi: ma nel giocondo
lume ch'è dentro aguzzeranno i tuoi
le tre di là, che miran più profondo
Così cantando cominciâro.

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Indi si avanzano danzando le altre tre donne e cantano esse pure, per invitar Beatrice a guardare il suo fedele:

Volgi, Beatrice, volgi gli occhi santi,
era la lor canzone, al tuo fedele

che per vederti ha mossi passi tanti.

Finalmente (e così terminiamo il nostro rapido esame. dei canti unisoni nel Purgatorio dantesco), dopo aver accennato a quella misteriosa musica degli angelici cori che segna il tempo ed il ritmo al marciare della mirabile processione che si mette in cammino: temprava i passi un' angelica nota, (1)

fermiamoci anche noi a pie' dell'albero che al contatto del carro trionfale novellamente fiorisce.

(1) Purg., XXXII, 33.

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