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I.

LA VITA RUSTICA.

Perchè turbarmi l'anima,

O d'oro e d'onor brame,
Se del mio viver Atropo
Presso è a troncar lo stame?

E già per me si piega

Sul remo il nocchier brun

Cola donde si niega

Che più ritorni alcun ?1

Queste che ancor ne avanzano
Ore fugaci e meste,
Belle ne renda e amabili

La libertade agreste.

Qui Cerere ne manda

Le biade, e Bacco il vin;
Qui di fior s'inghirlanda
Bella Innocenza il crin.

So che felice stimasi

11 possessor d'un' arca
Che Pluto abbia propizio
Di gran tesoro carca;
Ma so ancor che al potenté
Palpita oppresso il cor

Sotto la man sovente

Del gelato timor.

Unde negant redire quemquam. Cat., carm. III.

2 Pluto, dio delle ricchezze, dal greco louros, opulenza, ricchezza.

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strofa.

Me, non nato a percotere
Le dure illustri porte,
Nudo accorrà, ma libero,
Il regno della morte.
No, ricchezza nè onore
Con frode o con viltà
Il secol venditore

Mercar non mi vedrà.1
Colli beati e placidi,

Che il vago Eupili mio
Cingete con dolcissimo
Insensibil pendio,
Dal bel rapirmi sento
Che natura vi die;
Ed esule contento
A voi rivolgo il piè.
Già la quiete, agli uomini

Si sconosciuta, in seno
Delle vostr'ombre apprestami
Caro albergo sereno:
E le cure e gli affanni
Quindi lunge volar
Scorgo, e gire i tiranni
Superbi ad agitar.
Invan con cerchio orribile,
Quasi campo di biade,
I lor palagi attorniano
Temute lance e spade;
Però ch' entro al lor petto
Penetra nondimen

Il trepido sospetto,
Armato di velen.3

Qual porteranno invidia

E tale fu veramente il Parini, quale si dipinge in questa mirabile

2 Con questo nome si chiamava anticamente il lago Pusiano, presso il quale è la terra di Bosisio dove nacque il Poeta.

Il pensiero degli ultimi quattro versi di questa strofa è quello stesso espresso anco più felicemente negli ultimi quattro della strofa 3a.

A me, che di fior cinto,
Tra la famiglia rustica,
A nessun giogo avvinto,
Come solea in Anfriso1
Febo pastor, vivrò,
E sempre con un viso
La cetra sonerò!

Non fila d'oro nobili,

D'illustre fabbro cura,
Io scoterò, ma semplici,
E care alla natura.

Quelle abbia il vate, esperto
Nell' adulazion;

Chè la virtude e il merto
Daran legge al mio suon.
Inni dal petto supplice
Alzerò spesso ai cieli,
Si che lontan si volgano
I turbini crudeli;

E da noi lunge avvampi
L'aspro sdegno guerrier,
Nè ci calpesti i campi
L'inimico destrier.

E perchè ai numi il fulmine
Di man più facil cada,
Pingerò lor la misera
Sassonica contrada,
Che vide arse sue spiche
In un momento sol,
E gir mille fatiche

Col tetro fumo a vol.2

E te, villan sollecito,

Che per nuov'orme il tralcio

Saprai guidar frenandolo

Fiume della Tessaglia. Lungo le sue sponde Apollo, cacciato che fu dal cielo, guidava al pascolo la greggia di Admeto.

2 Nell'anno in che fu scritta quest' ode, 1758, ardeva la guerra che fu delta de' sette anni, e la Sassonia era desolata da' soldati austriaci e russi.

Col pieghevole salcio; *
E te, che steril parte
Del tuo terren di più
Render farai, con arte
Che ignota al padre fu;
Te co' miei carmi ai posteri
Farò passar felice;

Di te parlar più secoli
S'udirà la pendice:

E sotto l' alte piante
Vedransi a riverir

Le quete ossa compiante
I posteri venir.
Tale a me pur concedasi
Chiuder, campi beati,
Nel vostro almo ricovero

I giorni fortunati.

Ah quella è vera fama
D'uom che lasciar può qui
Lunga ancor di sè brama
Dopo l'ultimo dì! 2

II.

LA SALUBRITÀ DELL'ARIA.

O beato terreno

Del vago Eupili mio,
Ecco alfiu nel tuo seno
M'accogli, e del natio
Aëre mi circondi,

E il petto avido inondi!
Già nel polmon capace

Urta se stesso e scende

1 Guarda come sa dir tutto poeticamente.

2 In questa, e nella maggior parte delle odi del Parini, ricorrono qua e là reminiscenze classiche, ma il Poeta sa come spirare una vita nuova entro alle forme antiche, e farle sue.

3 Vedi pag. 2, nota 2,

Quest' etere vivace

Che gli egri spirti accende,
E le forze rintegra,

E l'animo rallegra;

Però ch' Austro scortese

Qui suoi vapor non mena,
E guarda il bel paese
Alta di monti schiena,
Cui sormontar non vale
Borea con rigid' ale.
Nè qui giaccion paludi
Che dall' impuro letto
Mandino ai capi ignudi
Nuvol di morbi infetto;
E il meriggio a' bei colli
Asciuga i dorsi molli.
Pêra colui che primo
Alle triste, ozïose
Acque, e al fetido limo
La mia cittade espose,
E per lucro ebbe a vile
La salute civile.
Certo colui del fiume

Di Stige ora s'impaccia
Tra l'orribil bitume;
Onde, alzando la faccia,
Bestemmia il fango e l'acque
Che radunar gli piacque.'

Mira dipinti in viso

Di mortali pallori
Entro al mal nato riso

I languenti cultori,
E trema, o cittadino,
Che a te il soffri vicino.
lo de' miei colli ameni

Nel bel clima innocente
Passerò i dì sereni

Vedi pag. 4, nota 2.

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