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Tu, cui si spesso vinse
Dolor degl'infelici,

Che il Bisogno sospinse
A por le rapitrici
Mani nell' altrui parte

O per forza o per arte;
E il carcere temuto

Lor lieto spalancasti;
E, dando oro ed aiuto,
Generoso insegnasti
Come senza le pene
Il fallo si previene. 1

IV.

L'EDUCAZIONE.

Torna a fiorir la rosa
Che pur dianzi languia,
E molle si riposa
Sopra i gigli di pria:
Brillano le pupille
Di vivaci scintille.

La guancia risorgente
Tondeggia sul bel viso;
E, quasi lampo ardente,
Va saltellando il riso
Tra i muscoli del labro,
Ove riede il cinabro.

I crin che in rete accolti

Lunga stagione, ahi! foro,

1 Questa è fra le odi del Parini una delle più profonde di pensiero e più belle di forma. Una quistione sociale di supréma importanza, e oggi più che mai viva in Europa, venuta alle mani di questo Poeta, perde la sua astrazione scientifica, per pigliare senza sforzo, spontaneamente, la concretezza e la vita dell'arte. E qui sta il punto. Date un soggetto come questo a un poeta mediocre, e ne farà una predica in versi,

Sull'omero disciolti,
Qual ruscelletto d'oro,
Forma attendon novella
D'artificiose anella.
Vigor novo conforta
L'irrequieto piede:
Natura, ecco, ecco, il porta,
Sì che al vento non cede,
Fra gli utili trastulli
De' vezzosi fanciulli.

O mio tenero verso,

Di chi parlando vai,
Che studi esser più terso
E polito che mai?

Parli del giovinetto

Mia cura e mio diletto?1

Pur or cessò l'affanno

Del morbo ond' ei fu grave:

Oggi l' undecim'anno
Gli porta il Sol, soave
Scaldando con sua teda
I figliuoli di Leda.2
Simili or dunque a dolce
Mèle di favi iblei3
Che lento i petti molce,
Scendete, o versi miei,
Sopra l'ali sonore
Del giovinetto al core.
O pianta di buon seme,

Al suolo, al cielo amica,
Che a coronar la speme
Cresci di mia fatica,

Salve in sì fausto giorno
Di pura luce adorno.

1 Questo giovinetto, scolare del Poeta, è Carlo Imbonati. Vedi i versi di Alessandro Manzoni nella morte di lui..

2 Castore e Polluce, o i Gemelli. Il sole entra in questo segno il 21 di maggio.

311 mèle d'Ibla, monte di Sicilia, stimavasi oltre modo squisito dagli antichi.

Vorrei di geniali

Doni gran pregio offrirti;
Ma chi diè liberali
Essere ai sacri spirti?1
Fuor che la cetra, a loro
Non venne altro tesoro.
Deh! perchè non somiglio
Al tessalo maestro,2
Che di Tetide il figlio
Guidò sul cammin destro? 3

Ben io ti farei doni

Più che d'oro e canzoni.

Già con medica mano

Quel Centauro ingegnoso
Rendea feroce e sano
Il suo alunno famoso;
Ma, non men che alla salma,
Porgea vigore all'alma.

A lui che gli sedea

Sopra l'irsuta schiena,
Chiron si rivolgea
Con la fronte serena,
Tentando in sulla lira
Suon che virtude ispira.

Scorrea con giovanile

Man pel selvoso mento
Del precettor gentile,5
E con l'orecchio intento
D'Eácide la prole

Bevea queste parole:

1 Sacri spirti o sacri ingegni solevano chiamarsi i poeti.

Chirone centauro, il quale educò Achille, figlio di Teti e di Peleo, che fu

figlio di Eaco.

3 Destro qui vale retto, buono.

Questi fu tal nella sua vita nuova

Virtualmente, ch'ogni abito destro
Fatto averebbe in lui mirabil pruova.

Dante, Purg., XXX, 115.

In senso buono, cioè coraggioso, guerriero, impavido e indomabile ne'pericoli. In prosa non si direbbe.

5 Viva pittura.

Garzon, nato al soccorso

Di Grecia, or ti rimembra,
Perché alla lotta e al corso
Io t'educai le membra.
Che non può un'alma ardita
Se in forti membri ha vita?
Ben sul robusto fianco

Stai; ben stendi dell'arco
Il nervo al lato manco;
Onde al segno ch' io marco
Va stridendo lo strale
Dalla cocca fatale..
Ma invan, se il resto oblio,
Ti avrò possanza infuso.
Non sai qual contro a Dio
Fe' di sue forze abuso
Con temeraria fronte
Chi monte impose a monte?1

Di Teti, odi, o figliuolo,

Il ver che a te si scopre.
Dall' alma origin solo
Han le lodevol' opre:
Mal giova illustre sangue
Ad animo che langue.

D' Eaco o di Peleo

Col seme in te non scese
Il valor che Teseo
Chiari e Tirintio 2 rese:
Sol da noi si guadagna,
E con noi si accompagna.
Gran prole era di Giove
Il magnanimo Alcide,
Ma quante egli fa prove
E quanti mostri ancide,

1 I Giganti che per dare la scalata al cielo sovrapposero il monte Pelio al monte Ossa. Qui la mitologia non ci sgarba, essendo Chirone quello che parla; ma si può dire invece che tutti que' precetti di sana morale e anco di religione, che vengon più giù, non istanno molto bene in bocca di questo mezzo bestia. 2 Cioè Ercole, da Tirinto suo regno.

Onde s'innalzi poi

Al seggio degli eroi?
Altri le altere cune

Lascia, o garzon, che pregi:
Le superbe fortune

Del vile anco son fregi.
Chi della gloria è vago,

Sol di virtù sia pago.
Onora, o figlio, il Nume

Che dall' alto ti guarda:
Ma solo a lui non fume
Incenso o vittim' arda.
É d'uopo, Achille, alzare
Nell' alma il primo altare.
Giustizia entro al tuo seno
Sieda, e sul labbro il vero;
E le tue mani sieno
Qual albero straniero,
Onde soavi unguenti
Stillin sopra le genti.
Perchè sì pronti affetti
Nel core il ciel ti pose?
Questi a ragion commetti,
E tu vedrai gran cose:
Quindi l'alta rettrice1
Somma virtude elice.2
Si bei doni del cielo

1 La ragione.

No, non celar, garzone,
Con ipocrito velo

Che alla virtù si oppone.

Il marchio ond' è il cor scolto3

Lascia apparir nel volto.

Dalla lor mèta han lode,

Figlio, gli affetti umani.

2 Trae, cava, dal lat. elicere. Non si trova che in poesia e in questa voce soltanto.

3 Verso durissimo e da non imitare, ma tutto il pensiero è bello e poetico.

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