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GIOVANNI TORTI.

I.

SOPRA I SEPOLCRI DI UGO FOSCOLO
E DI IPPOLITO PINDEMONTE.

1

Delio, non già ch' io di saver, d'arguto
Sottilissimo senso, a cui nè un solo
Pur de' minimi fugge, il vanto impugni
All' esimio Clitarco, o a lui m' attenti
Folle adeguarmi, ed inviargli il guanto;
Ma ier, quand' ei della loquace sera
Nel crocchio il lieto frascheggiar2 soppresse,
Librando i versi, onde l' altera splende
Di feral luce anima d' Ugo, e quelli,
Con che Ippolito i cuori ange e consola
(Facciasi dritto al ver), già non lasciommi
Pago ei così, ch'io me gli acqueti in tutto.
Dunque, se i tratti delle aerie vie

Quell' animoso a trasvolar, de' suoi,

3

Non de' vanni dircèi, 3 s' impenna il tergo,
E se quest' altro non amò le tracce,
Che al tenue conversar de' ricambiati
Fogli segnava il Venosin Maestro,

4

Daremlo a colpa ? E come poi d' iniquo

O di stolto giudicio osiam purgarci,

Giovanni De Cristoforis, al quale è dedicata l' Epistola.

2 Frascheggiare vale scherzare, burlare, ec. « Non altrimenti con uno scoare credendosi frascheggiare, che con un altro avrebbe potuto. » Bocc., Nov., 77. 3 Dircèi vale Pindarici.

dante.

Si capisce subito che questo esimio Clitarco doveva essere un solenne pe

Allor che, tipo di se stessi, e a nullo
Ligi, vantiamo a ciel Pindaro e Flacco?1
Ed in altro mi spiacque: o a cotal voce
Lite intentava, per negar che vera
Cittadinanza avesse, o a bipartita
Unisillaba coppia 2 il naso avverso
Raggrinzava e le labbra; e paventava
Ogni bello ardimento. In nebbia forse
Di crasso error ravvolto, io mal discerno;
Ma gli aurei doni delle sante Muse,
Cred' io, con pietra cimentar si denno
Altra da quella che sciegliea Clitarco.
Chi teco il dir mi vieta ? Anco del mio
Sentir su quelle note averti chieggio
Consapevole, o Delio. È dolce cosa,
Senza timido vel, sia pur qual vuolsi,
Tra i cari amici profferir sua mente,
E la memoria delle sante Muse

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A chi già tempo vagheggiolle e n' arse,
È voluttade che le vene inonda.

Tu pur con meco a ragionar di loro
Godi ritrarti, se talor di tregua
Ne son cortesi i supplici libelli,

E gli elenchi e i compendi. Oh come ratti
Van quegl' istanti ! Oh come allora in petto,
Alle ingenue parole, onde il celato

Tuo senno emerge, e il pieno animo esala,
Sento i vestigi dell'antica fiamma,

E in nuova quasi gioventù rifarmi!

Dunque il legno sciogliam. Principio sia

3

Da quel che Ugo al suo dir principio assunse,
E, in ordine, di lui poscia e dell' altro

Di passo in passo seguitiam le vie ;

Oh bella! Lodiamo l'originalità negli antichi e poi la mettiamo a peccato ne' moderni ! Vedi Antologia della prosa, pag. 441 e seg.

2 Cioè, la dieresi.

3 Agnosco veteris vestigia flammæ. Virg, Aen, IV, 23.

Conosco i segni dell'antica fiamma.

Dante, l'urg, XXX, 48.

Tal che le parti ad una ad una, e il tutto
In lor vero scorgiam. Delio, che dici?
Impresa ardua affrontammo. E tu il credesti?
Oh! male abbiasi il gel di sì squisito
Disaminar; ch'io già sento nel mezzo
Delle cose rapirmi.1. Ecco le chiare
Sponde del tosco fiume. Ahi! chi vegg'io
Solo e pensoso, e così fiero in vista
Misurar queste arene? Oh sommo spirto!
Nè la tibia famosa, un dì conforto
All'irato tuo duol, pur ti accompagna?
Deh! come crebbe il tuo pallor, com'erra
Disperato lo sguardo! Ahi! ben si legge,
Che morte è il tuo desio. — Quale Ugo il vide
Ove Arno è più deserto, e tale io il miro;
Chè non parole, a vero dir, non tratti

Son di pennello, ma viventi forme

Quelle, ond' ei lo appresenta. — Infra quest' urne
Crudel talento a ragionar di morte

Or ti mena, o Vittorio! A cotal fine
Già non fùr poste. E tu venivi un giorno
Con istinto più mite, e ne traevi
All'alte imprese tue stimolo, e nervi....3
Deh'l nostro immaginar, Delio, difenda
Pietoso Iddio; ch' uomini noi, l'umano
Consorzio, e noi medesmi a cotanto odio
Non ci rechiam miseramente ! * A noi
Dolce tristezza, e di laudevoli opre,
Chè il ponno assai, maestre sian le tombe;
E l'inno accompagniam, che te beata
Predica, o pia Firenze. Almi lavacri,

1 Frase d'Orazio, il quale lodando Omero dice fra le altre cose:
Semper ad eventum festinat et in medias res

Non secus ac notas auditorem rapit....

Poet, v. 148.

2 Talento qui, come in tutti gli antichi scrittori di nostra lingua, vale voglia, desiderio, brama.

3 Allude al Sonetto dell' Alfieri Sul sepolcro di Dante. Vedi pag. 84.

Ci senti l'uomo buono, e gli vuoi bene. Vedi nell'Antologia della prosa la Lettera 20".

Odorate convalli, e in sul pendío
De' colli elette vigne; infra gli olivi
Case da lunge biancheggianti, ameni
Silenzii della luna, or chi vi pinse
Altra volta così, che in tanta bramá
Ne accendesse di voi? Nè più leggiadro,
Nè in più cara giammai vista ne apparve
Quel vindice d' Amor candido Cigno,
Onde suonan fra noi sì dolci nomi
Sorga e Valchiusa.1 O te beata, o molto
Prediletta dal ciel, bella Firenze !
Il vago sito, e lo aver tu la voce
Informata a quel Grande e ad altri mille,
Che fanno Italia invidiata e altera,
Doni furon del ciel; ma son tua laude
Le serbate reliquie, e i marmi augusti,
Onde grato terror, misto a sublime
Reverenza, mi fan brivido al core;
Ch' io ne veggo i coperchi sollevarsi
Nel buio della notte al fioco lume
Della lampada sacra, e alzar le teste,
E fuor mostrarsi infino alla cintura,
E ragionar fra loro le grandi ombre.
Delio, è pur vero; alta virtude abbonda

In queste, che a compor le morte spoglie
Religiosa cura innalza o scava,

Lugubri case. E quante al cener muto

Sacrar memorie ed amorosi uffici

La pietà de' viventi ebbe in costume,
Esca fûr sempre di possenti affetti.

Sien grazie e plauso ai due, che, utile sfogo
Quindi cercando al mesto ingegno e forte,
Sepper così colla magia de' versi

Gl' impressi in loro dal funereo téma
Propagare in altrui moti e pensieri.

1 Chiama il Petrarca candido cigno vindice d'amore, perchè ne'suoi versi ingentili l'amore e lo purificò dagli affetti non degni. Vedi Foscolo, Sepolcri, pag. 157.

Di seste armata, e tutta angoli e cifre,
E masse e spazii, l'età nostra ride
Dell' altrice di sogni antica etade;
Ma la perenne di cipressi e cedri
Sui lacrimati avelli ombra olezzante,
E la lieve fra i rami aura, che mille
Atomi invola di profusi unguenti,
E il concorde con lei mormorío dolce
Del purissimo fonte, in vario errore
Tra le fiorite margini vagante,
Non ti si fan quasi invidiar, leggendo,
Quei dì, che poco nella mente, e tutto
Ragionava nel cor?' Quand' uom dicea:
Con quest'occhio vid' io gli occhi morenti
Del caro amico in vêr l'aperto cielo
Natar, cercando il sole; una scintilla
Io stesso adunque ne torrò, che possa
Laggiù, dove l' amato corpo dorme,
Parte recar della dïurna lampa.
Certo, se in sua ragion più innanzi cresce
Questo nostro saper, tutti la terra
S'ingoierà disfatti i monumenti

Di que' che fûro; anco le candide urne,
O Pindemonte, che ne' bei recessi
Locan dell' ampie ville, e di copiose
Lacrime bagnan vedove britanne,
Ed orbi padri: anco le tetre sale
Della contrada Etnéa: sol ne' tuoi carmi
Ne apparirà vestigio; e alcuna forse
Anima eletta sentirà per loro,
Come, temprate di funébre vista,
Le tacenti delizie eran più care:

Nè potrà teco, senza un gel, che tutta
Di gradevol ribrezzo la distringa,

1 Bel modo per significare i tempi ricchi di affetto e di poesia, e scarsi di cognizioni, di scienza. Così il Leopardi, parlando de' poeti antichi, gli chiama:

I vetusti divini, a cui natura

Parlò senza svelarsi.

Carme ad Angelo Mai.

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