SOPRA I SEPOLCRI DI UGO FOSCOLO E DI IPPOLITO PINDEMONTE.
Delio, non già ch' io di saver, d'arguto Sottilissimo senso, a cui nè un solo Pur de' minimi fugge, il vanto impugni All' esimio Clitarco, o a lui m' attenti Folle adeguarmi, ed inviargli il guanto; Ma ier, quand' ei della loquace sera Nel crocchio il lieto frascheggiar2 soppresse, Librando i versi, onde l' altera splende Di feral luce anima d' Ugo, e quelli, Con che Ippolito i cuori ange e consola (Facciasi dritto al ver), già non lasciommi Pago ei così, ch'io me gli acqueti in tutto. Dunque, se i tratti delle aerie vie
Quell' animoso a trasvolar, de' suoi,
Non de' vanni dircèi, 3 s' impenna il tergo, E se quest' altro non amò le tracce, Che al tenue conversar de' ricambiati Fogli segnava il Venosin Maestro,
Daremlo a colpa ? E come poi d' iniquo
O di stolto giudicio osiam purgarci,
Giovanni De Cristoforis, al quale è dedicata l' Epistola.
2 Frascheggiare vale scherzare, burlare, ec. « Non altrimenti con uno scoare credendosi frascheggiare, che con un altro avrebbe potuto. » Bocc., Nov., 77. 3 Dircèi vale Pindarici.
Si capisce subito che questo esimio Clitarco doveva essere un solenne pe
Allor che, tipo di se stessi, e a nullo Ligi, vantiamo a ciel Pindaro e Flacco?1 Ed in altro mi spiacque: o a cotal voce Lite intentava, per negar che vera Cittadinanza avesse, o a bipartita Unisillaba coppia 2 il naso avverso Raggrinzava e le labbra; e paventava Ogni bello ardimento. In nebbia forse Di crasso error ravvolto, io mal discerno; Ma gli aurei doni delle sante Muse, Cred' io, con pietra cimentar si denno Altra da quella che sciegliea Clitarco. Chi teco il dir mi vieta ? Anco del mio Sentir su quelle note averti chieggio Consapevole, o Delio. È dolce cosa, Senza timido vel, sia pur qual vuolsi, Tra i cari amici profferir sua mente, E la memoria delle sante Muse
A chi già tempo vagheggiolle e n' arse, È voluttade che le vene inonda.
Tu pur con meco a ragionar di loro Godi ritrarti, se talor di tregua Ne son cortesi i supplici libelli,
E gli elenchi e i compendi. Oh come ratti Van quegl' istanti ! Oh come allora in petto, Alle ingenue parole, onde il celato
Tuo senno emerge, e il pieno animo esala, Sento i vestigi dell'antica fiamma,
E in nuova quasi gioventù rifarmi!
Dunque il legno sciogliam. Principio sia
Da quel che Ugo al suo dir principio assunse, E, in ordine, di lui poscia e dell' altro
Di passo in passo seguitiam le vie ;
Oh bella! Lodiamo l'originalità negli antichi e poi la mettiamo a peccato ne' moderni ! Vedi Antologia della prosa, pag. 441 e seg.
3 Agnosco veteris vestigia flammæ. Virg, Aen, IV, 23.
Conosco i segni dell'antica fiamma.
Dante, l'urg, XXX, 48.
Tal che le parti ad una ad una, e il tutto In lor vero scorgiam. Delio, che dici? Impresa ardua affrontammo. E tu il credesti? Oh! male abbiasi il gel di sì squisito Disaminar; ch'io già sento nel mezzo Delle cose rapirmi.1. Ecco le chiare Sponde del tosco fiume. Ahi! chi vegg'io Solo e pensoso, e così fiero in vista Misurar queste arene? Oh sommo spirto! Nè la tibia famosa, un dì conforto All'irato tuo duol, pur ti accompagna? Deh! come crebbe il tuo pallor, com'erra Disperato lo sguardo! Ahi! ben si legge, Che morte è il tuo desio. — Quale Ugo il vide Ove Arno è più deserto, e tale io il miro; Chè non parole, a vero dir, non tratti
Son di pennello, ma viventi forme
Quelle, ond' ei lo appresenta. — Infra quest' urne Crudel talento a ragionar di morte
Or ti mena, o Vittorio! A cotal fine Già non fùr poste. E tu venivi un giorno Con istinto più mite, e ne traevi All'alte imprese tue stimolo, e nervi....3 Deh'l nostro immaginar, Delio, difenda Pietoso Iddio; ch' uomini noi, l'umano Consorzio, e noi medesmi a cotanto odio Non ci rechiam miseramente ! * A noi Dolce tristezza, e di laudevoli opre, Chè il ponno assai, maestre sian le tombe; E l'inno accompagniam, che te beata Predica, o pia Firenze. Almi lavacri,
1 Frase d'Orazio, il quale lodando Omero dice fra le altre cose: Semper ad eventum festinat et in medias res
Non secus ac notas auditorem rapit....
2 Talento qui, come in tutti gli antichi scrittori di nostra lingua, vale voglia, desiderio, brama.
3 Allude al Sonetto dell' Alfieri Sul sepolcro di Dante. Vedi pag. 84.
Ci senti l'uomo buono, e gli vuoi bene. Vedi nell'Antologia della prosa la Lettera 20".
Odorate convalli, e in sul pendío De' colli elette vigne; infra gli olivi Case da lunge biancheggianti, ameni Silenzii della luna, or chi vi pinse Altra volta così, che in tanta bramá Ne accendesse di voi? Nè più leggiadro, Nè in più cara giammai vista ne apparve Quel vindice d' Amor candido Cigno, Onde suonan fra noi sì dolci nomi Sorga e Valchiusa.1 O te beata, o molto Prediletta dal ciel, bella Firenze ! Il vago sito, e lo aver tu la voce Informata a quel Grande e ad altri mille, Che fanno Italia invidiata e altera, Doni furon del ciel; ma son tua laude Le serbate reliquie, e i marmi augusti, Onde grato terror, misto a sublime Reverenza, mi fan brivido al core; Ch' io ne veggo i coperchi sollevarsi Nel buio della notte al fioco lume Della lampada sacra, e alzar le teste, E fuor mostrarsi infino alla cintura, E ragionar fra loro le grandi ombre. Delio, è pur vero; alta virtude abbonda
In queste, che a compor le morte spoglie Religiosa cura innalza o scava,
Lugubri case. E quante al cener muto
Sacrar memorie ed amorosi uffici
La pietà de' viventi ebbe in costume, Esca fûr sempre di possenti affetti.
Sien grazie e plauso ai due, che, utile sfogo Quindi cercando al mesto ingegno e forte, Sepper così colla magia de' versi
Gl' impressi in loro dal funereo téma Propagare in altrui moti e pensieri.
1 Chiama il Petrarca candido cigno vindice d'amore, perchè ne'suoi versi ingentili l'amore e lo purificò dagli affetti non degni. Vedi Foscolo, Sepolcri, pag. 157.
Di seste armata, e tutta angoli e cifre, E masse e spazii, l'età nostra ride Dell' altrice di sogni antica etade; Ma la perenne di cipressi e cedri Sui lacrimati avelli ombra olezzante, E la lieve fra i rami aura, che mille Atomi invola di profusi unguenti, E il concorde con lei mormorío dolce Del purissimo fonte, in vario errore Tra le fiorite margini vagante, Non ti si fan quasi invidiar, leggendo, Quei dì, che poco nella mente, e tutto Ragionava nel cor?' Quand' uom dicea: Con quest'occhio vid' io gli occhi morenti Del caro amico in vêr l'aperto cielo Natar, cercando il sole; una scintilla Io stesso adunque ne torrò, che possa Laggiù, dove l' amato corpo dorme, Parte recar della dïurna lampa. Certo, se in sua ragion più innanzi cresce Questo nostro saper, tutti la terra S'ingoierà disfatti i monumenti
Di que' che fûro; anco le candide urne, O Pindemonte, che ne' bei recessi Locan dell' ampie ville, e di copiose Lacrime bagnan vedove britanne, Ed orbi padri: anco le tetre sale Della contrada Etnéa: sol ne' tuoi carmi Ne apparirà vestigio; e alcuna forse Anima eletta sentirà per loro, Come, temprate di funébre vista, Le tacenti delizie eran più care:
Nè potrà teco, senza un gel, che tutta Di gradevol ribrezzo la distringa,
1 Bel modo per significare i tempi ricchi di affetto e di poesia, e scarsi di cognizioni, di scienza. Così il Leopardi, parlando de' poeti antichi, gli chiama:
I vetusti divini, a cui natura
Parlò senza svelarsi.
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